Un improvviso dolore al petto, come se qualcuno vi stesse premendo sopra con un piede. Chiami un'ambulanza. Sei ancora sul mezzo, ma il medico di turno riesce a sottoporti a un elettrocardiogramma e inviare il referto all'ospedale. Mentre tu inizi a capire che forse stai avendo un infarto, al pronto soccorso dove ti stanno conducendo hanno già stabilito se sottoporti subito ad angioplastica oppure attendere. La dilatazione dell'arteria è indispensabile quando l'attacco di cuore è in fase acuta e ogni minuto diventa vitale. Questo incredibile risparmio di tempo è stato reso possibile dalla telemedicina. O meglio, da una delle sue tante possibili applicazioni.
Facciamo un altro esempio. Durante una normale visita dal medico di famiglia, ti viene prescritto un farmaco. Nello stesso instante in cui il dottore inserisce la ricetta nel sistema, viene inviato un ordine di acquisto alla farmacia. Il farmacista incarta il medicinale e lo spedisce direttamente a casa tua.
E ancora. Soffri di una patologia cronica che ti impone controlli periodici. Invece di recarti ogni volta in ospedale, puoi misurarti pressione, glicemia, saturazione e persino l'attività elettrica del tuo cuore comodamente nel tuo appartamento. In tempo reale, i dati vengono trasmessi allo specialista che ti segue, il quale potrà associare i parametri appena rilevati alle informazioni già contenute nella tua cartella clinica e che magari provengono da altre visite specialistiche. Dopo la sua valutazione, potrà anche richiedere un consulto a distanza. Avrà così una visione globale della tua situazione. "Con la telemedicina si entra a piè pari nella complessità del paziente", conferma il dottor Andrea Di Lenarda, direttore della Struttura Complessa Cardiovascolare e Medicina dello Sport dell'Ospedale Maggiore di Trieste (Asugi).
I vantaggi si possono facilmente intuire. Gestione più efficace del paziente, con prescrizione mirata di terapie, riduzione delle visite mediche in presenza e dei ricoveri in ospedale, possibilità di assistere facilmente anche pazienti che non si possono muovere da casa o che abitano in zone isolate.
Di telemedicina si parla da ben prima che arrivasse il Covid-19, ma è stata l'emergenza sanitaria a farci capire quanto ne avremmo bisogno. In Italia abbiamo progetti interessanti e innovativi, ma sono scoordinati tra loro e non formano un sistema vero e proprio. Ci mancano gli investimenti, le infrastrutture tecnologiche, ma soprattutto linee guida specifiche tarate sulle caratteristiche della medicina a distanza. A quanta distanza? Bè, negli Stati Uniti sono arrivati persino nello Spazio.
La telemedicina nasce quando le competenze mediche e quelle tecnico-informatiche si uniscono. Da questo sodalizio deriva anche la sua peculiarità: svolgere da remoto una serie di attività che ad oggi avvengono negli ambulatori o negli ospedali. Una visita, un percorso di riabilitazione e persino un intervento chirurgico. D'altronde, cosa ci ha insegnato la pandemia? I viaggi di lavoro sono stati sostituiti dalle videoconferenze, le riunioni da una rapida call e la scrivania di casa tua è diventata il tuo nuovo ufficio. Insomma, non sempre è davvero necessario uscire di casa, perdere ore nel traffico e fare la fila in sala d'attesa. Nemmeno per vedere il proprio medico.
Non è fantascienza, ci sono regioni nelle quali accade già. In alcuni casi, come in Emilia-Romagna, i primi progetti di telemedicina sono stati pensati nel lontano 2003. Per altri, il 2021 potrebbe essere l'anno della svolta. Il Friuli Venezia-Giulia, ad esempio, punta a realizzare una piattaforma che metta in rete tutte le aziende sanitarie della regione. Il nostro Paese vanta circa 450 iniziative di questo tipo che l'Istituto superiore di sanità ha mappato per avere un'idea dello stato dell'arte.
"Abbiamo iniziato censire i progetti nel 2014. Si tratta di attività sperimentali e non coordinate tra loro – fa notare il professor Francesco Gabbrielli, direttore del Centro nazionale per la telemedicina e le nuove tecnologie assistenziali dell'ISS e docente di eHealth all’Università San Raffaele di Roma, che ha realizzato l'indagine. – La maggior parte di queste non è durata più di tre anni. Pochissime sono andate avanti per 4 o 5 e rarissime sono quelle proseguite oltre".
La forma più nota di telemedicina è quella della visita medica da remoto. Il medico ti telefona, o si mette in contatto con te attraverso piattaforme di video-comunicazione, e ti pone domande sul tuo stato di salute. È sicuramente la modalità più semplice da attuare e durante la pandemia ne hanno usufruito tutti, soprattutto i medici di famiglia che avevano in carico pazienti Covid. "Ma la televisita è solo una delle possibilità che abbiamo a disposizione", precisa il professor Massimo Mangia, docente di Informatica Medicina alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università di Chieti, di e-Health presso la LUISS Business School di Roma e con oltre 30 anni di esperienza come consulente di aziende sanitarie. È lui a farci una panoramica dei servizi realizzabili già oggi, con le tecnologie di cui disponiamo:
Ma nel concreto come si realizzano tutte queste attività? Attraverso l'uso di apparecchi ai quali il paziente può avere facile accesso e di una piattaforma che raccolga tutti i dati. "I device che forniamo non devono essere utilizzati in modo diverso dal solito – chiarisce infatti il dottor Di Lenarda. – L'aspetto innovativo è che sono collegati via bluetooth alla piattaforma del medico, passando attraverso un'app".
Stiamo parlando, ad esempio, di una bilancia per chi deve tenere sotto controllo il peso, un saturimetro per i livello di ossigeno nel sangue, lo sfigmomanometro per misurare la pressione, ma anche il glucometro per la glicemia o sensori di posizione che avvisano se la persona cade ed eventualmente fanno partire automaticamente la chiamata di soccorso. Oltre naturalmente a un computer o un tablet per le video-chiamate. Insomma, hai molti più servizi a domicilio, sei più seguito e l'intero sistema è più rapido.
"All'estero la telemedicina è già avviata e le persone la comprendono meglio – ragiona il professor Stefano Omboni, direttore dell'Istituto Italiano di Telemedicina e professore di Cardiologia presso la Sechenov First Moscow State Medical University di Mosca. – In Europa la nazione più avanti è sicuramente la Germania, che da anni ha sviluppato servizi di telemedicina e ha fornito anche forme di rimborsabilità specifiche. Fuori dall'UE, oltre agli Stati Uniti, sono interessanti i progressi che stanno facendo Cina e Giappone".
Ma anche in Catalogna e nei Paesi Baschi sono attive modalità di gestione dei pazienti da remoto che sembrano funzionare molto bene. Il Canada, poi, è un ottimo esempio: "Le linee guida qui sono state approvate già nel 2003 – aggiunge il professor Mangia, – 18 anni fa. Sono tutte esperienze alle quali possiamo ispirarci, pur con le dovute differenze tra i vari sistemi sanitari".
La domanda sorge spontanea: in Italia che stiamo facendo in questo senso? Se lo è chiesto anche il Centro Nazionale per la Telemedicina dell'Istituto superiore di sanità che nel 2018 ha realizzato un'indagine e poi costruito una mappa interattiva per mostrare tutti i progetti avviati tra il 2014, anno in cui sono state pubblicate le prime linee d'indirizzo nazionali, e il 2017, quando è stato fondato il Centro. La prima cosa che salta all'occhio è come i progetti siano distribuiti in modo non omogeneo sul territorio nazionale. Alcune regioni, come la Lombardia, l'Emilia-Romagna, il Lazio o il Veneto risultavano in quegli anni nettamente più avanti di altre, tra cui il Friuli Venezia-Giulia, la Toscana, l'Abruzzo o la Basilicata.
"Abbiamo raggiunto il 99,6% del territorio nazionale e dunque si tratta della fotografia più nitida che esista al momento" – ci rivela il professor Gabbrielli. Gli autori hanno considerato le singole attività, ma anche i veri e propri servizi inseriti nelle aziende sanitarie e negli istituti di ricerca. "Sono emerse esperienze molto variegate tra loro, anche se le principali riguardavano contatti tra professionisti e tra medico e paziente. Sono anche i servizi più semplici da realizzare".
Le esperienze ci sono, dunque. Non possiamo dire di essere a digiuno totale. Però si viaggia a velocità diverse. I singoli progetti, alcuni anche molto interessanti, sono spesso legati a finanziamenti specifici che a un certo punto si esauriscono. È carente infatti il secondo livello, che chiama in causa un coordinamento nazionale per la strutturazione di una rete di telemedicina consolidata. "Strutture solide e durature, che non siano sperimentali – chiarisce Gabbrielli. – L'Italia è già indietro più o meno di una decina d'anni su questo fronte rispetto ad altri Paesi europei".
Ridurre i tempi. Quando si sale a bordo di un'ambulanza, questa frase non è solo un buon proposito, ma un imperativo. E la telemedicina può diventare un alleato importante in questa battaglia, in grado di risparmiare complicazioni al paziente, ma anche e soprattutto di salvargli la vita. Lo sa bene il dottor Mario Balzanelli, Presidente Nazionale della Società Italiana Sistema 118: "In Emergenza ci si muove sempre su un terreno molto delicato – conferma. – Quella che appare come una semplice cefalea o un attacco di vertigini possono nascondere in realtà un'emorragia cerebrale. Al contrario, sintomi che a prima vista sembrano eclatanti si possono rivelare meno preoccupanti di quello che si temeva".
Teleradiologia e telecardiologia. Sono questi gli strumenti che aiutano gli operatori sanitari ad avere chiaro fin da subito il quadro della situazione. Nei casi gravi, si può organizzare il trasporto verso l'ospedale specializzato in quella specifica patologia. "Ma possiamo anche occuparci delle questioni meno serie direttamente sul territorio – prosegue il dottor Balzanelli, – forti soprattutto dell'approccio multidisciplinare di area critica che mette il medico di 118 in diretto contatto con lo specialista, il quale contribuisce da remoto alla definizione delle azioni che si devono compiere". Hai presente le sale d'attesa sovraffollate e i pronto soccorso intasati? Ecco, un uso più sistematico e diffuso della telemedicina può evitare tutto questo.
E aiuta anche quando il medico non può essere presente, dal momento che, come ti avevamo già raccontato su Ohga, la carenza di specialisti è sempre più marcata e non si sta facendo poi moltissimo per trovare una soluzione. "Il dolore toracico può essere valutato dal medico, dal punto di vista elettrocardiografico, in prima battuta anche da remoto. Il tracciato viene infatti teletrasmesso alla Centrale Operativa 118, dove un medico è presente h24 – conferma Balzanelli – In contemporanea si può agire anche presso l'Unità Coronarica territorialmente competente. Questa velocità di impostazione diagnostica permette di salvare, ogni giorno, numerose vite".
Oggi ciascuno di noi sa cosa sia un Fascicolo sanitario elettronico (FSE): è diffuso sull'intero territorio italiano e l'emergenza Covid ha indotto sempre più persone ad attivarlo. Uno strumento digitale che può contenere tutta la tua storia sanitaria, indicando le informazioni riguardanti il tuo stato di salute, prescrizioni di medicinali e di visite specialistiche, referti di esami e lettere di dimissione ospedaliera. Tradotto nella pratica, significa che il tuo medico curante, in futuro, potrebbe sempre avere un quadro chiaro della situazione e assisterti a sua volta in modo più efficace.
In Emilia-Romagna, se ne parla già in una delibera regionale del 2002. Diciannove anni fa, era la prima regione italiana a puntare alla digitalizzazione del rapporto medico-paziente. "Abbiamo verificato prima di tutto la dotazione informatica e di infrastrutture tecnologiche che le aziende sanitarie del territorio avevano a disposizione in quel momento – ricorda l'ingegner Gandolfo Miserendino, dirigente del Servizio regionale ITC, Tecnologie e Strutture sanitarie e responsabile della Direzione generale Cura della persona, Salute e Welfare. – L'anno successivo sono state definite le 7 fasi di realizzazione del Progetto Sole (SanitàOnLinE) e le relative scadenze. Abbiamo stabilito come doveva essere costruita l'architettura infrastrutturale, i sistemi di sicurezza da adottare e così via. Da lì nasce anche il fascicolo sanitario elettronico".
Lo scopo? Creare "un'autostrada di comunicazione" tra pazienti, aziende sanitarie, ospedali, specialisti e medici di famiglia. Oggi Progetto Sole consente, tra le altre cose, di ottenere prescrizioni elettroniche per visite mediche e specialistiche recuperabili anche dai Cup e di risparmiare quindi tempo allo sportello delle prenotazioni, di scambiarsi in tempo reale le informazioni relative ai pazienti diabetici tra medici di famiglia e specialisti, di gestire le vaccinazioni, di avere sempre a portata di mano un profilo sanitario sintetico dell'assistito redatto dal medico di famiglia, di coordinare in modo più semplice l'Assistenza domiciliare integrata (ADI) e di inviare le prescrizioni farmaceutiche che il farmacista può anche recuperare al momento.
"Nel 2015 raggiungevamo 44mila utenti, oggi sono 1 milione e mezzo – fa i conti l'ingegner Miserendino. – Anche i servizi di supporto devono evolvere continuamente, fosse solo per garantire al cittadino risposte più rapide. Nel giro di 4 o 5 anni l'intera architettura del progetto diventa obsoleta e necessita di evoluzioni, perciò ci siamo prefissati di effettuare aggiornamenti con cadenza triennale".
A Bari invece sono state ideate delle magliette che hanno in dotazione tutti gli strumenti per rilevare i parametri vitali della persona e trasmettere il dato agli operatori sanitari. Ventiquattrore su 24. Il progetto si chiama T-Care ed è rivolto soprattutto a pazienti affetti da patologie cardiache e cardiorespiratorie, ma anche ad anziani fragili e non autosufficienti.
Dall'altra parte della rete, c'è Policlinico Ospedale Giovanni XXIII, dove da oltre 20 anni si fa ricerca sull'utilizzo della telemedicina in ambito cardiologico. "Si è rivelato uno strumento molto utile per i medici – conferma il professor Stefano Favale, direttore del reparto di Cardiologia universitaria. – Si possono monitorare pazienti che di solito devono procedere a visite di controllo ogni tre mesi e soprattutto possiamo scoprire nell'immediato un'alterazione dei loro parametri, intervenendo in modo tempestivo ed evitando che le condizioni si aggravino. Nel 2016 abbiamo fatto alcune valutazioni e ci siamo accorti di aver ridotto del 40% l'attività ambulatoriale ordinaria per chi soffre di scompenso cardiaco. Questo permette al personale di ottimizzare le proprie ore di lavoro e di aumentare l'accuratezza nella gestione del paziente".
Al momento il team del professor Favale ha in carico 2mila persone con questa modalità, ma già si prevede di aumentare il numero. Il risultato più importante, però, è un altro: "Il telemonitoraggio ci consente di raggiungere anche i pazienti che abitano nei luoghi più isolati, oppure a diversi chilometri di distanza. In Calabria, ad esempio. Può capitare che la situazione si possa aggravare senza che la persona se ne accorga, perché non ha sintomi. In questo modo invece possiamo saperlo subito ed evitare il ricovero, ma anche il decesso", aggiunge.
Il 2021 è l'anno della telemedicina e il Friuli Venezia-Giulia lo ha capito bene. Entro dicembre, puntano a mettere in rete tutte le aziende sanitarie della regione, attraverso una piattaforma alla quale un gruppo di esperti multidisciplinare sta lavorando da circa 6 mesi. Il dottor Di Lenarda è uno di questi: "Vogliamo poter svolgere diverse attività da remoto, dalla semplice televisita fino alla teleriabilitazione – si auspica. – Ci sono infatti una serie di pazienti con difficoltà di accesso a queste prestazioni che potrebbero essere seguiti a domicilio nel loro percorso di recupero motorio. Lo specialista potrebbe monitorarli quotidianamente attraverso la telemetria cardiaca, che può rilevare eventuali aritmie durante lo sforzo".
E poi, naturalmente, il teleconsulto: "Oggi la gestione multidisciplinare di un paziente cronico prevede, ad esempio, che il cardiologo lo visiti e gli suggerisca di prendere appuntamento con un diabetologo. Quest'ultimo lo vede e poi richiede nuovi esami e, a sua volta, gli consiglia un nuovo specialista al quale rivolgersi per un parere. Il paziente è visitato da più specialisti, ma nessuno di loro agisce da coordinatore". Una piattaforma digitale può invece trasformarsi in un'agorà greca e permettere a più medici di confrontarsi, garantendo una visione della persona a tutto tondo.
Non le capacità e nemmeno le conoscenze, il grande assente in Italia è un sistema nazionale di telemedicina. "Il fascicolo sanitario elettronico è diffuso in quasi tutte le regioni, ma questo vuole anche dire 20 diversi sistemi che non si parlano tra loro. Sarebbe invece fondamentale che tutte le piattaforme potessero condividere i dati all'interno di un unico contenitore, in modo che siano sempre disponibili all'individuo, ma anche ai vari medici che lo visitano". L'esempio è del professor Omboni, che aggiunge: "La mancanza di interoperabilità è un limite molto evidente".
E anche sul fronte delle infrastrutture le carenze si fanno sentire. La scarsa copertura della fibra ottica è già di per sé un limite all'accesso ai servizi di medicina da remoto, mentre non si è ancora risolto il digital divide, ovvero la scarsa confidenza che parte della popolazione over50 ha con gli strumenti informatici. "Noi ci scontriamo spesso con questi ostacoli – prosegue Omboni – anche da parte di medici o farmacisti. Non conoscono e quindi sono scettici: pensano che la telemedicina li costringa a lavorare di più".
Un sistema per essere tale deve prima di tutto darsi delle regole, chiare e condivise da tutti. L'Italia procede a piccoli passi. Prima del 2014 non esistevano linee guida pensate appositamente e in seguito non è più stato pubblicato nient'altro, ad eccezione di qualche delibera regionale. Vi si accennava nel piano per la cronicità del 2016 e nel Patto per la sanità digitale, entrambi rimasti inapplicati. L'unica altra norma degna di questo nome è quella uscita nel dicembre del 2020, sulla base di un accordo tra Stato e Regioni. "Non è esaustiva – commenta il professor Massimo Mangia. –È una base quale bisogna lavorare".
Anche per il professor Omboni si tratta di disposizione troppo vaghe e generiche. E punta l'attenzione soprattutto verso una questione per nulla marginale: la rimborsabilità delle prestazioni. "Nel testo si danno indicazioni di due tipi: verranno integrate nel prontuario del Sistema sanitario nazionale come prestazioni mediche e si procederà all'accreditamento di strutture che sono in grado di offrire questi servizi. Ma è rischioso pensare che le aziende pubbliche siano in grado di sviluppare da zero e di gestire, con le risorse che hanno a disposizione, servizi di telemedicina".
Per sopperire a questo ritardo normativo, nel 2017 l'Istituto superiore di sanità ha dato vita al Centro nazionale per la telemedicina. "Non sono vaghe e generiche – ribatte Gabbrielli. Stiamo cercando di recuperare il ritardo lasciatoci in eredità. Siamo già concentrati a scrivere sia i documenti aggiuntivi su teleriabilitazione, telemonitoraggio e telecertificazione, come previsto espressamente nel documento dello scorso dicembre e in altri documenti ulteriori per prestazioni di rilevante importanza da indirizzare correttamente a livello nazionale". Un altro compito strategico del Centro Nazionale è quello di favorire la collaborazione tra le società scientifiche che rappresentano le varie discipline per redigere linee guida specifiche per ciascuna branca di cui è composta la Medicina. "Siamo partiti dalla Neurofisiogia e stiamo proseguendo con Riabilitazione e Assistenza, Pediatria, Cardiologia e via via toccherà a tutte le diverse discipline mediche – spiega Gabbrielli. – L'ambizione è quella di portare il Sistema sanitario nazionale ad avere un sistema italiano di telemedicina. E che questo non derivi da un'applicazione copia e incolla delle soluzioni individuate all'estero, ma che sia stato creato apposta per la Sanità del nostro Paese, che ormai è quasi l'unica al mondo a essere totalmente pubblica e universalista".
"I problemi di privacy e sicurezza sono molto ampi e si possono riassumere nella mancanza di regole specifiche che si applichino alla fornitura di servizi sanitari di telemedicina", così il professor Omboni solleva una questione a cui non puoi non aver pensato fin dall'inizio di questo articolo: chi protegge i dati che vengono trasmessi e poi conservati in appositi server? I referti delle analisi, le immagini di radiografie o di TAC e tutte le altre informazioni sensibili che un paziente rivela al proprio medico durante una normale visita. "Abbiamo notato che spesso le persone che utilizzano servizi di telemedicina sono perplesse, perché gli vengono richieste determinate informazioni e perché non riescono a cogliere la differenza tra una normale app e una piattaforma che offre servizi sanitari e alla quale si deve dire tutto, esattamente come quando si va dal medico", aggiunge il professore.
I fautori di Progetto Sole, in Emilia-Romagna, si sono scontrati fin da subito con questo problema: "Quando è partita l'iniziativa non esisteva ancora la normativa di oggi – ci spiega infatti l'ingegner Miserendino – e quindi erano state previste una serie di richieste di consenso. Adesso invece si fa ricorso a quanto prevede la legge 196 del 2003 in materia di protezione dei dati personali che definisce quale deve essere l'informativa, quali sono le finalità del trattamento dei dati e così via". Lo scopo è puramente pratico: permettere a tutti i possibili fruitori, come lo specialista o l'azienda sanitaria, di avere sempre accesso a questo tipo di informazioni. Senza consenso, ad esempio, l'Asl non potrebbe nemmeno inviare una notifica al medico e al paziente per avvisarli che è stato trasmesso loro il referto delle analisi.
"Non esiste una norma che imponga alle regioni di sviluppare questo tipo di servizi. Oggi qualsiasi progetto di telemedicina viene finanziato solamente con fondi a parte rispetto al bilancio normale dell'azienda sanitaria. Trovare i soldi è un problema, senza un giusto impianto normativo". È il professor Gabbrielli a sottolineare il legame tra leggi e investimenti. Ma quali vantaggi ci sarebbero per il sistema sanitario nazionale? Riduzione delle ospedalizzazioni, meno accessi in pronto soccorso, meno esami da effettuare. In due parole: risparmio economico. Con qualche "a patto che" nel mezzo.
"La riduzione della spesa che la telemedicina può portare è potenziale", chiarisce infatti il professor Mangia. Il minor tasso di ricoveri, soprattutto per i pazienti cronici, viene valorizzato utilizzando come unità di misura le tariffe standard. Ad esempio, per ogni giornata di degenza in ospedale sono necessari 850 euro, ai quali si possono aggiungere i 150 euro di costi per l'accesso al pronto soccorso. "Ci sono alcune esperienza internazionali che dimostrano come la telemedicina abbia consentito di abbassare le spese anche del 20% o 30%. Ma affinché i risparmi diventino reali, bisognerebbe arrivare a chiudere dei posti letto e quindi ridurre la capacità degli ospedali, potenziando il territorio".
Una revisione del sistema, dunque, che per alcuni, come il dottor Di Lenarda porta più benefici che costi: "Consideriamo solo quanti soldi si sprecano in esami che vengono ripetuti, o per pazienti che si ritrovano a dover assumere 10 o 12 farmaci contemporaneamente. Ma anche quanti ricoveri si hanno a causa delle interazioni che si verificano proprio tra i medicinali. Già chi assume 7 farmaci, ad esempio, ha un rischio del 40% di essere ricoverato almeno una volta a causa dell'effetto dannoso di un'interazione".
Da circa un anno, il Centro nazionale per la telemedicina è al lavoro per dirimere la non facile questione, collaborando con un gruppo di esperti in economia aziendale. Il primo compito è stabilire le regole del gioco, ovvero redigere un documento che definisca la migliore metodologia per eseguire un'analisi costo-efficacia in Italia. "Non esiste un metodo codificato e valido a livello nazionale – spiega il professor Gabbrielli. – Ma è fondamentale per trarre gli elementi che permettano di stimare quanto costi organizzare un servizio di telemedicina e di conseguenza a quanto possa ammontare il rimborso che le regioni erogano alle aziende sanitarie. Nel provvedimento di dicembre abbiamo utilizzato la soluzione più semplice e utile durante l'emergenza, che è quella di valutare le prestazioni a distanza allo stesso modo di quelle in presenza. Ma è un meccanismo che non può durare a lungo, perché le modalità di realizzazione e messa in opera dei servizi di telemedicina, e dei relativi piani di spesa, sono molto differenti dai servizi in presenza".
Se vogliamo il risparmio, dobbiamo accettare l'investimento. Pensiamo, ad esempio, a un ambulatorio di Dermatologia. Attrezzarlo per le visite in presenza è relativamente semplice e poco costoso dal punto di vista dell'attrezzatura. Una stanza, un paio di sedie, un tavolo, un lettino e una lampada che illumini a sufficienza la zona da indagare. Ma se lo si progetta per le televisite, dovrà essere in grado di prendere in carico un numero maggiore di pazienti dislocati a distanza e avere in dotazione infrastrutture specifiche: strumenti di telecomunicazione, dispositivi digitali, piattaforme di telemedicina, sistemi di controllo e di verifica per garantire la cybersecurity. Di conseguenza, anche il rimborso ricevuto dovrà tenere conto di tutto questo. "Non c'è risparmio perché il rimborso della singola prestazione è minore, ma perché risparmiamo complessivamente nel servizio, dopo un investimento iniziale e a patto che il sistema sia progettato come si deve – specifica a tal proposito Gabbrielli. – La progettazione di servizi di telemedicina è un'attività professionale che non s'improvvisa".
E in effetti sembra che proprio il Piano nazionale di ripresa e resilienza, il Recovery Plan, abbia deciso di abbracciare questa sfida. Si tratta di un documento che dovrà spiegare alla Commissione Europea come l'Italia intenda utilizzare i fondi concessi attraverso il Recovery Fund. In tutto ammontano a 209 miliardi di euro. Il programma potrà estendersi per un triennio ed entro il 2023 dovrebbe aver coperto le "sei missioni" che il governo si è prefissato. Tra queste, compare proprio la digitalizzazione della Salute.
"Il Recovery Plan riconosce e fornisce fondi che sono destinati a due aspetti – illustra il professor Mangia. – Complessivamente garantisce 19,7 miliardi di euro alla Sanità, suddivisa in assistenza di prossimità e telemedicina. Nello specifico, destina 7,9 miliardi all'innovazione e alla digitalizzazione dell'assistenza sanitaria, che include vari tipi di interventi. Un miliardo di euro dovrebbe servire per finanziare circa 575 centrali di coordinamento che permettano di gestire 282mila pazienti in telemonitoraggio e mezzo milione di persone nel complesso. Altri 3,4 miliardi verranno utilizzati per digitalizzare i principali processi clinico-assistenziali e aggiornare le apparecchiature. Infine, l'attenzione è stata posta anche sull'evoluzione, sul completamento e la diffusione del Fascicolo Sanitario Elettronico e sul potenziamento dei flussi di dati verso il Ministero della Salute".
"Il medico deve adattarsi. Io ho lavorato per tanti anni come clinico ospedaliero e poi sono diventato medico di telemedicina. Sono due figure prettamente diverse, perché hanno un approccio differente alla gestione dei pazienti – mette in chiaro il professor Omboni. – Più che la televisita, l'applicazione principale della telemedicina è la trasmissione di parametri dal paziente al medico. Ad esempio, se una persona mi dice che ha le palpitazioni, durante una televisita non potrà far altro che ripetermi questa informazione. Quello che mi serve invece sono la misurazione della pressione, l'elettrocardiogramma e così via". Ma per uno specialista abituato a guardare in faccia il suo assistito e a parlare a lungo con lui, il cambiamento può essere complicato. "Il medico che comincia a fare telemedicina può avere difficoltà a gestire tutta questa mole di dati. In due ore di ambulatorio vedeva 10 pazienti, ora in quello stesso tempo legge decine e decine di elettrocardiogrammi, monitoraggi della pressione arteriosa, spirometrie e così via", aggiunge.
Anche il dottor Di Lenarda è d'accordo: qualche collega all'inizio farà fatica, qualcuno potrà essere scettico. Di sicuro, non lui: "Appena sarà disponibile, vorrei introdurre il teleconsulto nel mio reparto – dichiara. – Potrebbe rivoluzionare la gestione dei pazienti cronici". E il perché ce lo spiega subito: "Se il cardiologo guarda solo a come funziona il cuore e si disinteressa a tutto il resto, fa un'azione relativamente semplice. Se invece entra nelle condizioni del paziente, non solo del muscolo cardiaco che non funziona ma anche della compresenza del diabete o di eventuali patologie pneumologiche, si complica la vita. L'assistito, però, avrà enormi vantaggi. Può rivelarsi un grandissimo salto di qualità, sia per i medici che per le strutture. Sicuramente servirà una riorganizzazione delle attività e parte della giornata sarà dedicata alla discussione tra colleghi. Ma secondo me poco meno di un terzo delle visite e degli esami potrebbero essere evitati e il sistema si gioverà di questo vantaggio".
Sia chiaro però che la telemedicina non risolverà la grande lacuna della carenza dei medici. La tecnologia aiuta l'uomo, non lo sostituisce. "Potrebbe ridurre l'onere lavorativo, ma non è una soluzione al personale che manca – conferma il professor Favale. – Le ore di attività in ambulatorio sono sì ridotte, ma per permettere ai medici di concentrarsi su pazienti selezionati e che hanno bisogno di maggiori attenzioni".
Ma anche cogliendo l'opportunità storica del Recovery Plan, rimane un problema. Non basta erogare fondi e non è sufficiente estendere a tutte le aziende sanitarie i servizi di telemedicina al momento disponibili. Affinché il cambiamento sia davvero efficace "bisogna ridisegnare i modelli di assistenza", sottolinea il professor Mangia, che pensa in particolare al medico di Medicina Generale. Il suo ruolo sarebbe quello di filtro che stabilisce chi ha bisogno di ulteriori accertamenti e chi no. Invece, non riesce. Persone che insistono per una visita specialista o per un esame in più, oppure, al contrario, patologie gravi che vengono sottovalutate. Così, le liste di attesa si allungano, chi dovrebbe essere preso in carico nell'immediato si ritrova ad aspettare anche un anno e il paziente non viene inquadrato nel modo giusto. "Una possibile soluzione sarebbe quella di dedicare parte del tempo dei medici ospedalieri alle consulenze online per il medico di Medicina Generale – propone Massimo Mangia, – ma un'attività di questo tipo deve essere remunerata. Nelle linee di indirizzo nazionale appena approvate, remunerano la televisita ma non il teleconsulto, come accade anche in presenza. Di conseguenza, l'ospedale può non essere interessato a questa attività".
Lo abbiamo visto chiaramente durante la pandemia: bisogna rivedere l'equilibrio tra l'ospedale e il territorio. In favore di quest'ultimo. "I medici, però, preferiscono lavorare nelle strutture, perché è più prestigioso – fa notare il professor Mangia. – Pensare a modelli in cui sia la tecnologia a ridistribuire gli specialisti, i ruoli e le risorse non è un'opzione facile. Richiede anche la volontà politica per farlo".
"La rete territoriale è un elemento di vitale importanza – sottolinea il professor Francesco Gabbrielli – E non significa tornare a un modello di società come quello dei primi del ‘900. Dobbiamo riorganizzarci attraverso un uso opportuno e accurato della tecnologia e delle telecomunicazioni che abbiamo a disposizione oggi". Anche perché non va dimenticato che la telemedicina è, a tutti gli effetti, medicina. Semplicemente, ogni singola disciplina dovrà stabilire fino a che punto potrà utilizzare la tecnologia e secondo quali parametri. Le modalità non possono essere le stesse per un cardiologo e per un neurologo. "A mano a mano che la tecnologia avanza, fornisce nuove soluzioni e possibilità che dovranno essere sperimentate e implementate. Tutto sarà sempre in continuo movimento", aggiunge Gabbrielli.
La telemedicina è un'opportunità, ma da sola non basta
Scegliere la telemedicina significa dunque abbracciare un nuovo modo di pensare, capire come sfruttarla al meglio e come indirizzare gli investimenti, ma anche farle trovare un contesto adatto nel quale inserirsi. "Sono strategie multilivello. Richiedono una capacità di visione che purtroppo spesso manca, perché siamo presi dall'ansia di correre dietro a mille emergenze e non c'è il tempo di attuare una vera e propria riforma del Sistema sanitario nazionale. La telemedicina è un'opportunità, ma da sola non basta", conclude il professor Mangia.