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Oggi finisce lo stato di emergenza per la pandemia: che futuro ci attende e cosa non dobbiamo dimenticare secondo il Prof Pregliasco

Oggi decade lo Stato di Emergenza e da domani inizierà il graduale abbandono delle restrizioni e del Green pass. Insieme al prof Pregliasco abbiamo viaggiato tra il passato e il futuro della pandemia riflettendo su cosa abbiamo imparato in questi due anni di virus e su cosa invece ci attenderà nei prossimi mesi in fatto di contagi e vaccinazioni.
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Kevin Ben Alì Zinati 31 Marzo 2022
* ultima modifica il 28/04/2022
In collaborazione con il Prof. Fabrizio Pregliasco Virologo dell'Università degli Studi di Milano e Direttore Sanitario dell'Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano

Siamo pronti per un mondo nuovo. Uguale eppure diverso.

Oggi è l’ultimo giorno dello stato di emergenza, lo scudo giuridico introdotto dal Governo lo scorso 31 gennaio 2020 sotto il quale abbiamo potuto mettere in campo tutte le controrisposte che conosci contro la pandemia, dal lockdown al Green pass, dalle vaccinazione di massa allo smart working prolungato.

Quella odierna è dunque la prova che finalmente abbiamo messo più di un piede fuori dalla pandemia. È il giorno in cui guardiamo avanti alla nuova normalità che ci attende lì fuori.

È un mondo uguale eppure diverso perché due anni di Sars-CoV-2 non passano senza strascichi, sebbene il Governo Draghi abbia già tracciato la strada per l’addio alle restrizioni e alla certificazione verde a partire da domani.

Un virus che scombussola il mondo, dalla scienza alla politica, dalla sanità all’economia, tuttavia non sparisce come una nuvola spazzata via dal vento in un cielo d’estate.

Per questo, insieme al professor Fabrizio Pregliasco abbiamo voluto guardare anche indietro ai due anni appena trascorsi: due anni folli e drammatici ma che non possiamo permetterci di dimenticare.

Il professor Fabrizio Pregliasco, direttore dell’Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano e virologo dell’Università milanese.

La nuova normalità che vivremo a partire da domani, secondo il virologo sarà impegnativa perché il virus non cesserà di esistere di punto in bianco ma continuerà a circolare e a fare parte delle nostre vite". Dovremo dunque continuare a farci i conti, seppur in misura minore e con un rischio decisamente più contenuto ma costante, almeno per qualche anno.

Per molti, infatti, dice il professor Pregliasco, la fine dello stato di emergenza è uno spartiacque quando in realtà dovrebbe essere vissuto più come un passaggio. Era necessario chiudere questo periodo di emergenza perché dopo due anni bisogna attrezzarsi per una convivenza con il virus, caratterizzata da una presenza endemica di Sars-CoV-2”. 

Tradotto, significa che nel prossimo futuro la pandemia avrà un andamento “simile alle onde di un sasso nello stagno” con un’incidenza “magari dai 5 ai 100mila casi al giorno”.

D’altronde, ha spiegato, la pandemia non finisce con una specifica condizione come la fine di tutte le restrizioni o di una particolare condizione giuridica: “una pandemia finisce quando non se ne parla più”.

Quello che un po’ preoccupa il virologo è l’abbassamento dell’attenzione generalizzata, che invece dovremo graduare nel tempo. “Nel passato andavamo a lavorare febbricitanti, mandavamo a scuola i nostri bimbi infarciti di paracetamolo e guardavamo straniti i turisti giapponesi con le mascherine. Ecco: spero che rimanga un'attenzione verso le sintomatologie che in questi mesi abbiamo imparato a conoscere ancora meglio”. 

Una pandemia finisce quando non se ne parla più.

Prof. Fabrizio Pregliasco, virologo Università di Milano

Guardiamo agli ultimi due anni con il professor Pregliasco perché ha vissuto la pandemia in prima linea su più fronti.

Indubbiamente su quello domestico, perché come tutti noi è stato alle prese con l’isolamento e i vetri delle finestre appannati dal sospiro di chi può guardare il mondo fuori solo dal di dentro.

“È stato un momento epocale – ci ha raccontato – dove c’era una condivisione da parte di tutti di uno sforzo collettivo rispetto al virus. In realtà non è stata una guerra lampo ma di trincea, che come sappiamo diventano dolore, difficili e molto faticose”. 

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Come direttore sanitario dell’Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano, però, si è ritrovato anche di fronte ai primi pazienti Covid intubati. Fin dal marzo 2020 anche lui ha visto un’emergenza sanitaria circostanziata diventare una crisi globalizzata cui non eravamo per nulla pronti.

"Arrivavamo con una guardia bassa, come i pugili, e quindi la prima ondata è stata davvero tosta. Ricordo che eravamo nel mio studio e contavamo quante mascherine e tute avevamo a disposizione e dicevamo «ma sì, in fondo ne abbiamo abbastanza»: quella prima quantità poi ci è bastata per le prime settimane”.

Eravamo così impreparati che anche lo stesso Istituto Galeazzi, un ospedale specialistico, si è visto costretto a riconvertire la propria attività per fronteggiare l’enorme flusso di pazienti. “Abbiamo anche creato uno dei primi meme che diceva: «riguardati se no degli ortopedici cureranno il Covid»” ha ricordato il virologo.

Siamo arrivati all'emergenza con una guardia bassa, come i pugili.

Prof. Fabrizio Pregliasco, virologo Università di Milano

Poi è arrivata la seconda ondata, per certi versi ancora più forte della prima perché dopo l’estate abbiamo creduto che tutto fosse finito quando, in realtà, non avevamo ancora capito di essere appena entrati nel vortice di una pandemia. “In quei mesi speravamo di ottenere il controllo della malattia ma abbiamo capito presto che non era possibile. Da lì abbiamo cominciato ad attuare una mitigazione dei casi, un rallentamento della velocità con cui si diffonde la malattia che ci ha permesso di evitare un vero disastro sanitario”.

La prima decisiva mossa di questa risalita dal vortice è arrivata il 27 dicembre 2020, il V-Day con cui si è dato simbolicamente inizio alla campagna di vaccinazione anti-Covid praticamente in tutto il mondo. Il professor Pregliasco, come medico e sanitario è stato uno dei primi a farsi pungere il braccio e in quel momento si è sentito “un privilegiato”.

Con la fiducia nella scienza ben salda in tasca, ha scelto di vaccinarsi subito per dimostrare che l’immunizzazione sarebbe stata uno dei più grandi alleati – non l’unico – per sconfiggere il virus, “anche se poi mi è stato detto che mi ero fatto inoculare dell’acqua distillata”. 

Con la ripresa della normalità, si è cominciato a riflettere anche sul nuovo ruolo della vaccinazione.

Esclusa, per ora, la possibilità di somministrare una quarta dose anche agli anziani over70 (in aggiunta ai fragili e agli immunocompromessi), con la fine dello Stato di Emergenza ci si è interrogati su come ci dovremo proteggere nei prossimi mesi.

“Credo che la vaccinazione universale non sarà attuabile – ha spiegato il virologo – ma che sarà necessario eseguire vaccinazioniripetute. Non tanto una quarta, quinta o sesta dose, a meno che non ci siano una nuova variante o un’esigenza particolare”. Ci sarà, insomma, uno spostamento verso una proposta vaccinale paragonabile e probabilmente sincronizzata con quella antinflunzale.

Il professor Pregliasco può offrirci una visione a 360gradi sulla pandemia perché è stato in prima linea anche sul fronte comunicativo.

Il suo è stato uno dei volti più apparsi nei telegiornali e sui mass media e come successo per molti altri colleghi è stato trasformato da molti nell’oracolo da cui pretendere risposte quando non potevano essercene.

Per Pregliasco la vaccinazione anti-Covid sarà paragonabile e sincronizzata con quella per l'influenza

L’incertezza, nostra compagna di vita degli ultimi due anni, è un elemento imprescindibile della scienza e comunicarlo a un pubblico non scientifico è stato difficile. “Bisogna dare alle persone degli strumenti di resilienza, di competenza e capacitazione, senza nascondere nulla. Tuttavia non è facile attraverso un mainstream e una comunicazione social che vanno avanti a slogan. La divulgazione necessità di un po’ più di tempo” ha spiegato il virologo, da anni sensibile ai temi della comunicazione della scienza in virtù anche della sua presenza televisiva storica e “stagionale” in corrispondenza dell’arrivo dell’influenza.

Dopo questi due anni, secondo Pregliasco oggi la scienza ne esce un po’ "massacrata dal punto di vista dell’immagine" ma è comunque convinto che riuscirà a superare questo impasse “comprendendo quali sono le migliori modalità di comunicazione e divulgazione”.

Contribuirà, dice, anche una diversa coscienza sociale nei confronti del mondo scientifico. “In questi anni abbiamo imparato che la scienza, in particolare nella sanità e nella salute, va avanti per tentativi ed errori, con tempi di risposta che non sono quelli tra il telegiornale del mezzogiorno e quello della sera”. 

E che Italia è, invece, quella che ci riprendiamo al dopo due anni? Come puoi facilmente intuire, quella che il direttore sanitario dell’Istituto Galeazzi di Milano ha definito una «guerra di trincea» inevitabilmente lascia qualche cicatrice. Un esempio è la quota irrisoria e circoscritta di persone “ormai arrabbiate con il sistema e che hanno canalizzato le loro diffidenza e attenzione al complottismo”. 

In ogni caso, il professor Pregliasco è comunque convinto che l’Italia e gli italiani escano con diverse certezze in più. La più importante delle quali è “l’aver imparato che le patologie infettive sono e saranno un problema da affrontare nel futuro”.

Eccola qui, la parola che ci serviva: futuro. Perché anche se ne stiamo venendo fuori e può fare un po’ paura pensarlo, non dobbiamo dimenticarci che virus e potenziali altre pandemie fanno parte della natura: È storia. La nostra, dell’Umanità. Anche Tucidide nel 400 a.C. ci ha raccontato di epidemie e morti. L’abbiamo visto anche nel Medioevo con la peste. Ora, come cittadini, dobbiamo quindi renderci conto che la salute si guadagna, che è legata allo stato sociale e alla strutturazione istituzionale. Solo così la speranza di vita e la qualità di vita possono aumentare”. 

Il video e il montaggio dell'intervista sono stati realizzati da Beatrice Barra 

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