Albina e il primo trapianto di utero in Italia: “Sono pronta a diventare mamma. E la famiglia della mia donatrice tifa per me”

È passato un anno dallo storico intervento che ha aggiunto l’Italia tra i Paesi che eseguono il trapianto di utero e oggi Albina Verderame è pronta a procedere con la fecondazione in vitro e tentare una gravidanza.
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Kevin Ben Alì Zinati 16 Settembre 2021
* ultima modifica il 16/09/2021

In un angolo nella camera da letto di Albina c’era una valigia. Una di quelle con le rotelle che girano su loro stesse per correggere la direzione senza interrompere la corsa.

Color grigio metallizzato, aveva la maniglia che si alza e si abbassa e gli angoli arrotondati. Ci è rimasta per oltre un anno. Così a lungo che ormai Albina aveva preso l’abitudine di darle anche la buonanotte.

Era la classica valigia da vacanza, quella che qualcuno rischia di dover chiudere sedendocisi sopra e pregando che non erutti al primo su e giù dal marciapiede. La sua valigia, però, Albina aveva deciso di lasciarla mezza vuota e di riempirla solo strada facendo. Non sapeva che cosa le avrebbe riservato quel viaggio, così ha lasciato spazio per tutto.

Anno 2020, partenza il 20 agosto, 100 chilometri di strada, destinazione Catania. Forse pochi per allontanarsi da casa e sentire per davvero l’aria di vacanza. La meta di Albina, però, era diversa. Era un giovedì qualunque di un anno fa. Si trovava in mezzo ai campi dove ancora oggi lavora il marito Giovanni, il sole ormai stanco aveva cominciato a calare e l’ombra dei fili di grano s’allungava velocemente come sottili dita uscite dal terreno.

“Il momento in cui entri in lista d’attesa per un trapianto te lo ricordi, però non sai mai quando e se arriverà l’altro momento, quello in cui ti chiamano per avvisarti che il tuo nuovo organo è qui”. Quando il telefono aveva cominciato a squillare, Albina sapeva che poteva dire tutto, o niente. Così aveva risposto. “Dall’altra parte della cornetta mi dissero che c’era una compatibilità e che avrei dovuto tenermi pronta. Dentro di me c’era gioia ma anche angoscia perché era già sfumato tutto una volta”. La conferma era arrivata mezz’ora dopo.

Cellulare appoggiato sul ginocchio, valigia argentata sul sedile posteriore, era arrivata al Centro Trapianti del Policlinico siciliano come una Cenerentola moderna. Di lì a poco Albina Verderame sarebbe diventata la prima donna in Italia a ricevere un trapianto di utero.

Albina e la sua valigia argentata, all’ingresso del Policlinico di Catania.

Oggi quella valigia è un po’ più piena. L’ultima cosa che la giovane originaria di Gela, ora 30enne, ci ha infilato è un’idea semplice. E cioè che adesso, accanto al suo nome, nella stessa frase potranno starci le parole «mamma» e «figlio».

Lo scopo del trapianto di utero, infatti, è quello di offrire a una donna la possibilità di avere una gravidanza e quindi un bambino. In Europa e in altre parti del mondo è una procedura avviata già da anni, in Italia è arrivato solo nel 2018 grazie, tra gli altri, al professor Paolo Scollo, Direttore del reparto di Ginecologia e Ostetricia dell'Ospedale Cannizzaro di Catania e uno dei due medici a capo del protocollo sperimentale.

È stata Albina ad aprire le danze. Lei che nell’anima ha sempre voluto diventare mamma. Se era rimasta un po’ più sopita nell’inconsapevolezza di bambina, quando con le amiche di scuole giocava a “fare i grandi”, l’idea aveva cominciato a farsi sentire nell’adolescenza: quando il fisico cresce, muta e la distanza con il mondo dei genitori si assottiglia.

Nel giorno della diagnosi, quell’idea aveva urlato. “Ho iniziato le visite da ragazzina ma per diverso tempo non c’erano certezze sulla mia malattia. A 17 anni, le ecografie, le tac, le risonanze magnetiche e le mappe cromosomiche hanno dato il responso: sindrome di Rokitansky racconta oggi Albina. Si tratta di una patologia abbastanza rara che l’aveva privata dell’utero fin dalla nascita. Da sempre. “Lì mi è crollato il mondo addosso, sono impallidita. A 17 anni non si è piccoli ma nemmeno troppo grandi. È l’età in cui cominci a fantasticare su come vorresti che fosse la tua vita”.

Albina insieme al suo "angelo" Giovanni, mezz’ora prima di entrare in sala operatoria.

È passato un anno dall’intervento e ora Albina è pronta a provarci. “Ho conservato 8 ovociti. Per prima cosa verranno scongelati e poi si procederà con la fecondazione assistita con il contenuto genetico di mio marito. Stiamo per iniziare”.

Paura. È la parola che Albina pronuncia subito dopo, mentre spiega che la gravidanza potrebbe anche arrivare in maniera «naturale» perché con l’intervento sono state collegate anche le tube di Falloppio. Ora che l’idea, anzi il sogno, è più vicino a concretizzarsi Albina è un po’ come una tennista, quando a un punto dal torneo il braccio comincia a tremare e il servizio va in rete. In un certo senso, Albina ha un po’ di sana paura di «vincere». “Ma sono pronta a diventare mamma, mi sento all’altezza”.

Dall’altra parte, c’è anche l’altra paura. Quella di perdere. Di vedere il sogno restare soltanto un sogno. “La mia più grande paura è che non vada in porto. È una possibilità, c’è anche il rischio che non succeda. Giovanni e io lo sappiamo”. 

A 17 anni cominci a fantasticare su come vorresti che fosse la tua vita

Albina Verderame, prima donna trapiantata di utero in Italia

Nella storia di Albina le persone hanno fatto la differenza. Come Giovanni, che fin da subito ha scelto di intraprendere una relazione pur sapendo che metter su famiglia e avere dei figli, con Albina, non sarebbe stata praticabile. “Insieme abbiamo affrontato la non accettazione. Da giovane non capivo perché fosse toccato a me e solo a me. In quel momento non conoscevo altre persone con la mia stessa patologia e mi sono nutrita solo di rabbia”. 

Il giorno dopo la terapia Intensiva: era la prima volta dopo l’intervento che Albina si alzava in piedi

La rassegnazione, però, non è mai arrivata. Anche se all’inizio aveva provato a nascondere tutto, malattia e incartamenti medici, nelle braccia della mamma – “conservali tu, io non voglio sapere niente le aveva detto – Albina non ha mai mollato la presa sulla sua vita. Merito anche di quella che lei chiama fortuna. “Lo stesso giorno della diagnosi, i medici mi raccontarono che negli Stati Uniti il trapianto di utero era già in fase sperimentale e che forse, chissà, magari tra un decennio sarebbe arrivato anche qui”. 

Albina dunque non ha convissuto più solo con l’impossibilità di avere figli, ma con l’attesa e la frustrazione di una vita messa in pausa. “Ero convinta che il trapianto non sarebbe mai arrivato in Italia. Anzi, pensavo già che un giorno sarei andata in America”. Quando ha conosciuto Giovanni, tra un carezza e l’altra gliel’aveva detto subito che prima o poi sarebbe andata dall’altra parte del mondo per sottoporsi a un trapianto di utero. “Anche a costo di mettere a rischio la mia vita”. 

Albina e Giovanni all’ospedale Cannizzaro qualche giorno dopo l’intervento per le biopsie di controllo

La forza che viene dal condividere e dall’affrontare la vita in due l’ha guidata per più di dieci anni, fino alla mattina dopo il suo 20 agosto 2020 quando è arrivata la notizia della compatibilità di un utero. A donarlo è stata una donna di 37 anni, deceduta per un arresto cardiaco improvviso, che in vita aveva dato il proprio consenso alla donazione seduta in un ufficio comunale qualsiasi, durante il rinnovo della carta d’identità.

Sono pronta a diventare mamma, mi sento all’altezza. 

Albina Verderame, prima donna trapiantata di utero in Italia

Occhi aperti e utero nuovo in corpo, Albina ricorda bene il primo pensiero che l’ha invasa. La sua donatrice. “Quando mi sono svegliata ho realizzato che nella mia felicità c’era il dolore di una famiglia per la perdita di una persona cara. Che avrei potuto dare la vita grazie a qualcuno che non c’era più. Sento un’immensa gratitudine verso questa donna”. Il protocollo nazionale ad oggi prevede che il trapianto avvenga soltanto da donatore deceduto.

Albina ha sempre desiderato conoscere il nome della sua donatrice ma per rispetto della privacy e del dolore di una famiglia nessuno aveva potuto rivelarglielo. Non ha mai saputo da chi provenisse l’utero fino a qualche giorno fa. “Dopo un anno preciso – ha spiegato – sono stata contatta dalla famiglia. Hanno capito che volevo ringraziarli. Anche se sono nel dolore, sanno cosa sto provando e me l’hanno detto: fanno il tifo per me”. 

Un anno dopo: è il 20 agosto 2021 e Albina è tornata dove la sua vita è cambiata.

Il viaggio di Albina prevede altre tappe. La prima, e glielo auguriamo tutti quanti, è la gravidanza. In caso di successo ci sarà un parto cesareo, obbligatorio perché non arriverò alla 40esima settimana, e poi un altro giro in sala operatoria, questa volta per togliere l’utero.

La rimozione dell’organo, infatti, eviterà ad Albina di restare costretta a terapie immunosoppressive antirigetto anche dopo il parto. “Ho chiesto di poter tenere l’utero perché sembra portarmi anche dei benefici in termini di salute. Da un anno ho la pressione regolare e una motilità dell’intestino perfetta ma purtroppo non si può. La procedura è ancora in una fase sperimentale”. Per poter prendere in considerazione l’opzione dovranno passare almeno altri 10 trapianti e i benefici dovranno essere confermati da tutte le altre future pazienti.

Anche se sono nel dolore, i famigliari della mia donatrice fanno il tifo per me. 

Albina Verderame, prima donna trapiantata di utero in Italia

Dietro la facilità delle parole con cui Albina ci ha racconta la sua storia si nascondono però le incertezze di un’operazione tutt’altro che scontata. Perché in base letteratura scientifica odierna, l’80% dei circa 70 trapianti di utero avvenuti finora nel mondo è stato realizzato con donazioni da vivente. I bambini nati grazie a un trapianto come quello di Albina, invece, sono solo tre: uno in Brasile e due negli Stati Uniti.

Eccola qui, la paura. Di vincere e di perdere. Eppure…

“Voglio dirlo a tutte le ragazze sparse per l’Italia: credeteci. Ne vale sempre la pena. Rifarei tutto a prescindere da come andrà. La vittoria sarebbe avere il bambino, è vero. Ma un po’ ho già vinto. Oggi l’Albina di 17 anni sa che può sognare”. 

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