Alzheimer, e se il declino cognitivo dipendesse dal troppo ferro nel tuo cervello?

Il ruolo del ferro nella sindrome era già stato studiato. Ora però una nuova ricerca avrebbe individuato per la prima volta degli accumuli anomali nella neocorteccia, la zone esterna del cervello legata ad attività cognitive fondamentale come il linguaggio e il pensiero. Farmaci in grado di ridurne le concentrazioni, scrivono gli autori, potrebbero aiutare a bloccare o rallentare il declino cognitivo.
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Kevin Ben Alì Zinati 2 Settembre 2020
* ultima modifica il 23/09/2020

Il declino cognitivo e la perdita di memoria sono due delle più frequenti complicanze neurologiche verso cui ti porta la malattia di Alzheimer. Le cause della patologia non sono ancora del tutto note ma un nuovo studio rimette in primo piano il ruolo del ferro. Un importante accumulo di questa sostanza nella neocorteccia cerebrale, ovvero lo strato esterno del cervello, sarebbe responsabile non solo della memoria debole ma anche dell’alterazione delle attività cognitive nei pazienti affetti da questa forma progressiva di demenza. È la prima volta che ne viene rilevata la presenza in quest’area del cervello: lo rivela uno studio pubblicato sulla rivista Radiology.

Un sospetto fondato

La medicina sta indagando ormai da anni la malattia di Alzheimer per capirne cause e origine e del possibile ruolo del ferro si erano già avute le prove. Alcuni studi avevano dimostrato che dai depositi di ferro dipende la presenza della proteina beta-amiloide responsabile della formazione di “placche” tra neuroni che interrompono la funzione cellulare. In più, alte concentrazioni di ferro erano già state associate a un aumento eccessivo della proteina tau nei neuroni, anch’essa coinvolta nella degenerazione cognitiva mentre erano da tempo note le alte dosi di ferro nella materia grigia di persone affette dalla malattia neurodegenerativa.

La novità

Un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Neurologia della Medical University di Graz in Austria, però, avrebbe aggiunto un importante indizio dall’indagine. Per la prima volta, infatti, sarebbero stati in grado di rilevare valori anomali di ferro nello strato esterno del cervello, la neocorteccia, coinvolto in attività cognitivi fondamentali come il linguaggio e il pensiero. Finora non era stato semplice studiare quest’area dal momento che la sua particolare anatomia distorce le osservazioni con la risonanza magnetica.

I ricercatori hanno così trovato un metodo nuovo, utilizzando una risonanza magnetica a 3 Tesla in grado di riprodurre dettagli anatomici con elevata precisione e in tempi brevi. Analizzando poi il cervello di 100 pazienti affetti da Alzheimer e di 100 sani, avrebbero quindi trovato un maggiore accumulo di ferro nella neocorteccia e a livello dei lobi temporali e occipitali nei pazienti malati. E più era corposo il deposito, maggiore era il declino cognitivo. Secondo i ricercatori, dunque, sviluppare farmaci in grado di ridurre l’accumulo di ferro nel cervello potrebbe potenzialmente diventare la nuova terapia per bloccare o rallentare il declino cognitivo legato all’Alzheimer.

Fonte | "Cross-sectional and Longitudinal Assessment of Brain Iron Level in Alzheimer Disease Using 3-T MRI" pubblicata il 30 giugno 2020 sulla rivista Radiology 

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