Amniocentesi: come si svolge il prelievo che analizza i geni del tuo futuro bambino

L’amniocentesi non è altro che un test di tipo genetico che serve per capire se il feto soffre di specifiche malattie, di cui alcune sono spesso a trasmissione ereditaria. Non è doloroso ma non è a rischio zero, questo perché per farlo devono prelevare con un ago il liquido amniotico, ossia la parte liquida in cui “nuota” il bambino durante la gravidanza. Approfondiamo insieme.
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Maria Teresa Gasbarrone 21 Agosto 2023
* ultima modifica il 10/10/2023

L'amniocentesi è un esame diagnostico che si effettua in gravidanza per indagare sulla presenza di eventuali malattie o anomalie genetiche nel feto.

L'esame consiste nel prelievo di una piccola quantità di liquido amniotico, ovvero il liquido che circonda e protegge il feto nell'utero. Si effettua al quarto mese di gravidanza, tra la 15esima e la 18esima settimana, introducendo un ago attraverso l'addome materno fino ad arrivare all'interno dell'utero e, per questo motivo, è un esame definito invasivo.

Attraverso l'analisi del liquido amniotico si può accertare la presenza, o meno, di eventuali anomalie congenite (come la sindrome di Down, la sindrome di Patau o la sindrome di Edwards) o di malattie genetiche (come la fibrosi cistica, la distrofia muscolare di Duchenne-Becker, la talassemia, la fenilchetonuria).

Più raramente, l'amniocentesi può essere utilizzata per eseguire analisi biochimiche finalizzate a scoprire errori del metabolismo e malattie infettive del feto.

L'amniocentesi è consigliata in tutti i casi a cui è associata una maggiore probabilità che il feto possa avere una malattia genetiche. Oltre a situazioni specifiche, l'amniocentesi è indicata per tutte le donne con età superiore ai 35 anni.

Per quanto riguarda i rischi associati a questo test, l'amniocentesi implica un minimo rischio aggiuntivo di aborto, comunque inferiore all'1%, rispetto al rischio di aborto spontaneo connaturato a ogni gravidanza.

A cosa serve l'amniocentesi

Durante la gravidanza il bambino è “contenuto” nel sacco amniotico, uno spazio pieno di liquido, detto appunto “liquido amniotico”, che serve a proteggerlo da urti e sbalzi termici.

L'amniocentesi è una procedura che viene utilizzata per la diagnosi di anomalie cromosomiche, infezioni e alterazioni dello sviluppo, come ad esempio la spina bifida e la sindrome di Down, prima che il bambino nasca. Si chiama in gergo tecnico “diagnosi prenatale”.

Il liquido amniotico, che è quello che viene prelevato e poi inviato a un laboratorio per l’analisi, contiene delle cellule, dette amniociti, che provengono direttamente dal feto. Quando vengono isolate possono poi essere moltiplicate e studiate in laboratorio per verificare la presenza di eventuali anomalie.

Nel terzo trimestre, fra la 32a e la 39a settimana di gravidanza, l'amniocentesi può essere utilizzata per valutare la maturazione dei polmoni del feto nelle donne in cui si consideri di anticipare il parto prima del termine della gravidanza.

Quando è necessario fare l'amniocentesi

L'amniocentesi è consigliata in diverse circostanze, che potrebbero così essere riassunte:

  • Nelle donne che abbiano avuto un risultato positivo al test di screening prenatale (test combinato, bi test, tri test);
  • Nelle donne con una età superiore ai 35 anni che non si siano sottoposte ai test di screening del primo trimestre;
  • In presenza di le donne che abbiano avuto un risultato positivo al test di screening prenatale (test combinato, bi test, tri test);
  • In caso di risultati dell'ecografia che facciano sospettare la presenza di malattie genetiche;
  • Nelle donne che abbiano avuto figli con malattie cromosomiche o difetti del tubo neurale, come la spina bifida;
  • In caso di storia familiare con specifiche malattie genetiche.

Come si esegue l'amniocentesi 

Ma come si svolge concretamente? Prima di tutto si esegue in un normale ambulatorio e non richiede una preparazione particolare. Ecco qui tutto quello che devi sapere:

  • Attraverso una normale ecografia di controllo, l'operatore controlla il battito cardiaco, la posizione del feto e della placenta;
  • Trova il punto migliore per fare il prelievo del liquido amniotico;
  • Dopo aver disinfettato la parte, l'operatore inserisce un ago sottile e cavo che raggiunge l'utero e il sacco amniotico;
  • Vengono prelevati circa 20 millilitri di liquido amniotico
  • Dopo aver estratto l’ago e concluso quindi il prelievo, l’operatore, controlla il battito cardiaco del feto.

Ci sono rischi nell'amniocentesi

Non serviranno che pochi minuti per il prelievo e non è un tipo di esame doloroso, ma è consigliato un giorno di riposo subito dopo averlo fatto. A cosa devi fare attenzione se ti sottoponi a un’amniocentesi:

  • Perdite intime di liquido o di sangue;
  • Forti dolori o crampi addominali;
  • Febbre;
  • Cambiamento della percezione dei movimenti fetali.

Se noti uno o più di questi sintomi contatta subito il tuo ginecologo.

Quanto tempo ci vuole per avere i risultati dell'amniocentesi 

Se sei in una delle situazioni che abbiamo indicato prima, o hai comunque necessità di verificare la presenza di eventuali patologie genetiche del feto, esistono in realtà diversi test diagnostici possibili.

Quelli più rapidi, che forniscono i risultati in una manciata di giorni, ti permettono di sapere se sono presenti problemi dovuti ad alterazioni del numero di alcuni cromosomi e permettono di diagnosticare la presenza di sindrome di Down (trisomia 21, causata da un cromosoma 21 in eccesso), di sindrome di Edwards (trisomia 18, causata da un cromosoma 18 in eccesso), di sindrome di Patau (trisomia 13, causata da un cromosoma 13 in eccesso) e di scoprire alterazioni dei cromosomi sessuali.

Se, invece, hai bisogno di un esame più dettagliato dei cromosomi, quindi un test che permette di verificare, o escludere, la presenza di una serie di malattie genetiche causate da alterazioni geniche sub-microscopiche, quindi  anomalie che richiedono più specificità nella ricerca, possono essere necessarie anche due o tre settimane per ottenere la risposta dell’esame.

A qualsiasi ricerca effettuata avrai come risposta “sì” o “no”. Il “sì” indicherà la presenza della patologia che il test ha ricercato, il “no” invece confermerà la piena salute del bambino. In alcuni casi, anche se è davvero molto raro, il test può produrre un risultato non chiaro e in quel caso si deve ricorrere. Ma si tratta di un caso su 100.

C’è un ultimo punto da analizzare: quando la coppia o la mamma decide di effettuare un test come questo di diagnosi prenatale normalmente si fissa un colloquio con un esperto che mette in chiaro alcuni aspetti, come:

  • patologie che possono essere accertate
  • quale test è consigliato nel tuo caso specifico
  • significato dei risultati
  • affidabilità dei test
  • rischio di avere un risultato incerto e di dover ripetere la procedura
  • rischio di aborto legato all’esame
  • tempo necessario per avere i risultati
  • opzioni disponibili nel caso in cui il feto risultasse positivo a una delle condizioni rilevate dal test.

I rischi 

Anche se il tasso è molto basso, come tutte le procedure invasive, l'amniocentesi presenta una certa percentuale di rischio d’aborto che consiste all’incirca in una possibilità su 200. C’è un’attenzione in più da rivolgere alle donne con gruppo sanguigno Rh negativo con partner Rh positivo, a cui vengono somministrate immunoglobuline anti-D: per il possibile passaggio del sangue del feto nel circolo materno, con conseguente produzione di immunoglobuline che potrebbero causare danni al bambino.

Di solito il rischio di aborto legato all’amniocentesi può essere ricondotto allo sviluppo di amniotite, cioè all’infezione del liquido amniotico, alla rottura delle membrane o alla comparsa di attività contrattile non controllabile con la terapia medica. È proprio a causa di questi rischi, anche se pochi, che è necessario sottoscrivere il consenso informato, in occasione della sua firma la donna, e più in generale i futuri genitori, possono ottenere ogni genere di delucidazione su modalità, limiti diagnostici e rischi della procedura. Non possiamo definirlo un esame di routine, ma un’indagine diagnostica che viene proposta solo in casi in cui la madre sia d’accordo e venga considerata “a rischio patologie” dallo specialista che la segue.

Alternative all'amniocentesi

Come abbiamo già detto, esistono anche altri test per diagnosi prenatale non invasivi, che si effettuano nel primo trimestre. È bene specificare che nessuno di questi test può eguagliare la diagnosi prenatale invasiva in termini di certezza del risultato.

Gli esami di screening non invasivi hanno infatti solo la capacità di valutare il rischio di insorgenza di malattie genetiche e malformazioni nel nascituro, non di accertarne la presenza.

I test di screening che oggi abbiamo a disposizione sono in particolare:

  • Il test combinato del primo trimestre (ultrascreen o duo test);
  • La ricerca del dna fetale su sangue materno.

Tutti questi test però hanno più elevati percentuali di falsi positivi e falsi negativi.

L’ultrascreen o bitest (o ancora duotest) consiste in un prelievo di sangue per la ricerca di due proteine (pappa-a e free bHCG), associato a un’ecografia tra l’undicesima e la tredicesima settimana di gestazione, per analizzare determinati parametri fetali:

  • la trans-lucenza nucale (spessore retro-nucale);
  • la presenza dell’osso nasale;
  • il rigurgito della tricuspide;
  • il dotto venoso.

La trans-lucenza nucale permette di stimare il rischio fetale per le trisomie 13,18, 21, ma può essere indicativo anche per cardiopatie e sindromi che insorgono in seguito.

Il test del dna fetale o NIPT ("Non invasive pre-natal test") viene effettuato, dalla decima settimana in poi, con un semplice prelievo di sangue periferico dalla madre, andando ad analizzare il dna libero all’interno del campione.

Questo tipo di test presenta una sensibilità e una specificità per la trisomia 21 superiore al 99% (99,3 per i falsi positivi e 99,8 per i falsi negativi) e leggermente inferiore per la 18 e la 13 e per le aneuploidie dei cromosomi sessuali.

Un'alternativa all'amniocentesi è la villocentesi, ma anche quest'ultima è un esame invasivo. Si tratta infatti di un esame diagnostico che viene eseguito tra la 10ima e la 13esima settimana di gravidanza. Lo scopo è quello di verificare l'eventuale presenza di malformazioni del feto o malattie genetiche.

Nella villocentesi si procede attraverso un'aspirazione dei villi coriali presenti nella placenta per analizzarne i cromosomi. Si tratta di piccole propaggini della placenta in formazione derivanti dall'ovulo fecondato e dotate dello stesso patrimonio genetico dell’embrione.

La scelta tra amniocentesi e villocentesi spetta al ginecologo in base al singolo caso e in accordo con la donna incinta. L’amniocentesi, ad esempio, ha il vantaggio di avere un rischio abortivo e un costo minori rispetto alla villocentesi, che però può essere eseguita un po' prima e restituisce i risultati più rapidamente.

Fonti| ISS; Fondazione Veronesi; Sant'Agostino

(Scritto da Valentina Danesi il 10 febbraio 2021
modificato da Maria Teresa Gasbarrone il 21 agosto 2023)

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