Andare a dormire a un orario diverso dal solito non fa bene al tuo cuore

Un gruppo di ricercatori statunitensi ha condotto una ricerca sulle abitudini di 557 studenti universitari in fatto di riposo notturno e ha constatato che la loro frequenza cardiaca a riposo diventava più elevata ogni volta che andavano a coricarsi in orari inconsueti, a prescindere dalle ore dormite.
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Federico Turrisi 29 Marzo 2020
* ultima modifica il 22/09/2020

C'è una relazione tra l'aumento della frequenza dei battiti cardiaci a riposo (e quindi non legato a uno sforzo) e il fatto di non metterti sotto le coperte allo stesso orario a cui sei abituato? A quanto pare sì. I ricercatori del Center for Network and Data Science dell'Università di Notre Dame (negli Stati Uniti) sono arrivati a dare questa risposta dopo aver condotto una serie di osservazioni su 557 studenti universitari. Lo studio è durato quattro anni, per un totale di 255.736 sessioni di sonno.

Per ogni soggetto gli esperti hanno individuato la fascia oraria "normale" e hanno poi esaminato gli effetti degli "scostamenti" sul battito del cuore. È emerso che si coricava anche 30 minuti più tardi rispetto all’ora solita, la notte e il giorno successivo mostrava una frequenza cardiaca a riposo più elevata. Questo accadeva anche se si dormiva per sette/otto ore, la quantità indicata ritenuta ottimale per una persona adulta.

Non è finita qui. Lo stesso discorso vale sorprendentemente per chi si infilava nel letto prima dell'orario consueto. Il punto è che, se dovesse diventare cronico l'aumento della frequenza cardiaca a riposo, ciò potrebbe far crescere il rischio di sviluppare patologie cardiovascolari. Quello che consigliano gli esperti è dunque trovare una propria routine e cercare il più possibile di mantenerla, così da avere attraverso il sonno maggiori benefici per la tua salute. Certo, per chi ha dei turni di lavoro da rispettare, come i medici per esempio, è una sfida molto più difficile.

Fonte | "Deviations from normal bedtimes are associated with short-term increases in resting heart rate" pubblicato su npj Digital Medicine il 23 marzo 2020.

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