Anticorpi intelligenti creati in laboratorio: una delle strade più promettenti verso la cura per il Coronavirus

Tra gli approcci che la scienza e la ricerca stanno sondando per contrastare l’infezione da Sasr-Cov-2 c’è l’utilizzo degli anticorpi monoclonali. Si tratta di immunoglobuline create in laboratorio a partire dai linfociti B fuse successivamente insieme alla proteina Spike, quella che costituisce la corona del virus. Al momento in Italia sono stati individuati 17 anticorpi promettenti e presto potrebbe partire la sperimentazione umana per arrivare alla produzione di una cura.
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Kevin Ben Alì Zinati 22 Maggio 2020
* ultima modifica il 23/09/2020

Come stiamo fronteggiando il Coronavirus? L’approccio della scienza e della ricerca è totale, nel senso che di fronte a un virus completamente nuovo e mai visto prima si stanno perseguendo tutte le strade possibili per arrivare a due soluzioni: una cura, che possa giungere nel breve periodo e aiutare contro le conseguenze dell'infezione le oltre 10mila persone che al momento sono ricoverate in terapia intensiva o in altri reparti Covid, e il vaccino, cioè uno scudo che protegga sempre per sempre da Sars-Cov-2.

La strada per arrivare a una terapia sta contemplando varie possibilità. Una di queste è l’utilizzo in modalità “off label” di alcuni farmaci già esistenti. Significa che prodotti già presenti sul mercato vengono utilizzati in modalità diverse rispetto alle indicazioni per cui sono stati creati e approvati: l’ipotesi è che la loro composizione possa in qualche modo risultare efficace anche contro la malattia dovuta al Coronavirus. Ti avevamo raccontato, per esempio, del tocilizumab, tendenzialmente usato contro l’artrite reumatoide (sperimentazione che però l'Aifa, il 17 giugno 2020, ha interrotto poiché il farmaco non avrebbe dato alcun tipo di beneficio) o dell’antinfiammatorio anakinra. Allo stesso modo, vengono testati anche farmaci antivirali già esistenti e validati, come il remdesivir, oppure si cerca di realizzarne di nuovi, costruiti quindi ad hoc. Dall’altra parte, ricercatori in tutto il mondo stanno lavorando alla realizzazione di un vaccino: in questo caso, però, più che di strada sarebbe meglio parlare di un’autostrada perché, come ti avevamo spiegato, si tratta di un percorso molto più lungo e complicato.

Di fronte a un nemico sconosciuto e imprevedibile, servono tuttavia strategie che escano dagli schemi. Così uno degli approcci diversi che al momento sta dando anch’esso risultati promettenti è lo sviluppo e l’utilizzo utilizzo di anticorpi monoclonali. Ovvero delle immunoglobuline costruite in laboratorio che agiscono esattamente come gli anticorpi “naturali” dell’organismo, contrastando il virus. Recentemente sono stati usati anche per curare l’infezione da Ebola.

Cosa sono

Prima di spiegarti che cosa sono gli anticorpi monoclonali, faccio un passo indietro e ti do le coordinate per orientarti mostrandoti che cosa sono gli anticorpi. Si tratta di molecole che vengono generate dai famosi linfociti B, ovvero cellule appartenenti al tuo sistema immunitario. La loro produzione è subordinata alla presenza di un agente estraneo e pericoloso per il tuo organismo: viene detto antigene e può essere un batterio o un virus come nel caso di Sars-Cov-2. Questi, riconoscendo la conformazione dell’antigene, lo individuano e lo neutralizzano.

La produzione degli anticorpi nell'organismo è la risposta alla presenza di un agente estraneo detto antigene

Gli anticorpi monoclonali, invece, sono molecole che vengono comunque prodotte nel nostro organismo ma che, come in questo caso, possono essere ottenute anche in laboratorio estraendo e “coltivando” i linfociti B. In questo modo gli anticorpi che ne derivano acquisiscono l’elevata capacità di riconoscere in modo specifico e preciso il “bersaglio” a cui legarsi, neutralizzandolo. Sono progettati, dunque, per individuare un unico, determinato antigene.

Come si creano

La creazione degli anticorpi monoclonali è una delle grandi rivoluzioni tecnologiche raggiunte dalla medicina che si è meritata il Nobel per la medicina nel 1984. Come avviene? Te lo anticipavo poco più su: in pratica, la tecnica generale prevedeva di fondere insieme le caratteristiche di due cellule diverse, quelle dei linfociti B che sono in grado di produrre anticorpi, e quelle di una cellula derivata da un mieloma, un tumore del sangue. In questo modo la nuova cellula originata ha una vita praticamente infinita potendo riprodursi con rapidità e senza limiti, proprio come quelle tumorali. Viene prodotta da un singolo “clone” del linfocita B e per questo gli anticorpi generati vengono detti, appunto, monoclonali. In più, questi anticorpi sono capaci di riconoscere senza errori una "parte di loro stessi", agendo quindi direttamente contro il mieloma da cui "derivano".

Nel caso del Coronavirus il procedimento è lo stesso, solo che i linfociti B sono prelevati da pazienti infetti e vengono incubati insieme alla ormai famosa proteina Spike, quella sulla parte esterna del virus che gli dà la forma a “corona” permettendogli di penetrare la parete cellulare: l’infezione inizia così. Una volta generati, vengono scelti gli anticorpi che si legano al Coronavirus più efficacemente. Altri approcci invece prescindono dai linfociti e sintetizzano direttamente gli anticorpi, li mettono in coltura con la proteina Spike e si scelgono i più efficaci. In entrambi i casi, comunque, i più “forti” diventano i candidati per la successiva e potenziale creazione di un farmaco.

I vantaggi

L’approccio con gli anticorpi monoclonali, oltreché innovativo, porta con sé anche dei vantaggi importanti:

  • possono essere usati anche per una profilassi, ovvero per un'immunizzazione passiva;
  • gli anticorpi monoclonali sviluppati per un antigene possono essere utilizzati anche per identificare gli antigeni bersaglio per lo sviluppo di vaccini;
  • possono essere sviluppati artificialmente in tempi molto più rapidi rispetto ai vaccini o agli antivirali;
  • la stessa metodica può essere applicata sia a virus che a batteri.

A che punto siamo

Sulla strada degli anticorpi monoclonali sono in corsa diversi studi e progetti che, anche negli ultimi giorni, hanno riportato risultati promettenti.

Tra Italia e Canada

Uno di quelli che è in uno stato avanzato vive a metà tra l’Italia e il Canada: è guidato dal genetista e biologo molecolare Pier Paolo Pandolfi, professore delle università di Torino e Harvard, insieme al professor Giuseppe Novelli, genetista dell’università di Roma Tor Vergata. La collaborazione sfrutta anche la “libreria” degli anticorpi monoclonali canadese “Trac” (Toronto Recombinant Antibody Centre). Novelli ha raccontato all’AdnKronos che finora sono stati identificati circa 10 anticorpi che si legano in modo molto efficace alla proteina Spike, cambiandone la struttura. A breve, hanno spiegato gli scienziati, potranno essere pronti per i test in Italia.

La ricerca olandese

È in uno stato promettente anche una ricerca olandese pubblicata su Nature Communications in cui i ricercatori spiegano l'efficacia di un nuovo anticorpo monoclonale creato da cellule umane e da quelle di ratti transgenici immunizzati. Questo anticorpo, che i ricercatori olandesi definiscono “chimerico”, si è dimostrato in grado di attaccare efficacemente la proteina Spike neutralizzando così Sars-CoV-2.

Lo studio tutto italiano

L’ultimo passo avanti in ordine cronologico l’ha compiuto il laboratorio Monoclonal Antibody Discovery della Fondazione Toscana Life Sciences in collaborazione con l’Ospedale Inmi Spallazani di Roma. I ricercatori, come si legge nell'abstract dello studio in preprint su Biorxiv, hanno reclutato pazienti ancora ricoverati o guariti dal virus e ne hanno prelevato il sangue, da cui hanno poi estratto e isolato i linfociti B che sono stati incubati con la proteina Spike. Nel giro di due mesi gli scienziati hanno selezionato oltre 1.000 cellule B capaci di produrre un numero significativo di anticorpi da testare, da questi ne hanno poi individuati 317 che producevano le immunoglobuline efficaci nel riconoscere la proteina Spike e, con un’ulteriore scrematura, ne hanno selezionati 74 in grado di inibire il legame tra il recettore ACE2 delle nostre cellule (quello a cui si lega la Spike) e la proteina virale: ma sono stati ben 17, invece, quelli che sono stati in grado di neutralizzare il virus vivo in vitro. Questi sono diventati così i candidati più promettenti per una prima sperimentazione sull’uomo: all’orizzonte si intravede dunque la meta?

Fonti | Istituto Superiore di Sanità; Ail; Fondazione Cesare Serono

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