Con l’assottigliarsi del tempo che ci divide dall’inizio della campagna antinfluenzale, la scala delle urgenze si fa sempre più ripida. Tra i temi caldi, uno è strettamente connesso alle norme di sicurezza imposte dalla pandemia e la domanda che tamburella nella mente dei medici di base è: dove facciamo la vaccinazione? Devi intendere il quesito in termini geografici e spaziali, nel senso che una delle grandi incognite è trovare appunto il luogo fisico in cui poter accogliere centinaia di pazienti alla volta rispettando il distanziamento e la sicurezza. Non solo, perché da qui a poche settimane bisognerà fare i conti anche con la potenziale carenza di vaccini causata dalla richiesta aumentata (in certi casi raddoppiata) da parte delle Regioni e con l’appello dei farmacisti di poter essere autorizzati anch’essi a somministrare il vaccino.
A puntare la luce sull’urgenza di recuperare spazi adatti per le migliaia di persone che dovranno sottoporsi alla vaccinazione contro l’influenza è stato il dottor Domenico Crisarà, segretario della sezione Veneto della Federazione dei medici di medicina generale. L’abbassamento dell’età a rischio da 65 a 60 anni, come ci avevano spiegato medici e pediatri, potrebbe potenzialmente portare all’aumento della popolazione eleggibile al vaccino. Secondo le previsione, l’incremento potrebbe essere addirittura di un terzo rispetto all’anno scorso che alza il rischio di ambulatori stipati e assembramenti di persone, assolutamente vietate per dalle norme anti-Covid.
Per questo, secondo Crisarà, servirà pensare ad accessi programmati e distanziati e uscite separate oltre a spazi ampi e sicuri dove accogliere i pazienti che, per di più, non potranno certo retare in coda fuori esposti alle basse temperature. L’appello del segretario regionale Fimmg è rivolto quindi a sindaci, parroci e anche alla Protezione civile per avere a disposizione luoghi adeguati alla somministrazione. Ce lo aveva spiegato anche la dottoressa di medicina generale Teresa della Pietra ricordando come l’Ats Insubria, per la zona del Varesotto, si fosse mossa penso allo sfruttamento di palestre e spazi comunali.
Un altro spauracchio che come una nuvola nera aleggia sopra la prossima stagione vaccinale è quello della carenza di farmaci. Federfarma, come ti abbiamo raccontato, aveva già lanciato l’allarme, ribadito poi dalla presidente di Federfarma Lombardia le cui parole non avevano lasciato spazio a interpretazioni: “le persone non potranno stare senza vaccini”. Il tema era sul tavolo del Ministero della Salute che, nell’incontro tenuto nelle scorse ore con le rappresentanze di FOFI, Federfarma e Assofarm, ha proposta la soluzione: rimodulare le quote dei vaccini antinfluenzali acquisiti dalle Regioni.
In questo modo verranno soddisfatte anche le richieste dalle farmacie e dei cittadini che, pur non rientrando tra i soggetti aventi diritto, vorranno comunque vaccinarsi. “Tale soluzione consentirà a cittadini che appartengono alla fascia attiva della popolazione di proteggersi dall’influenza stagionale e di evitarne il propagarsi nei luoghi di lavoro e di incontro, riducendo anche il rischio di una sovrapposizione dei sintomi influenzali con quelli del Covid-19. In questo modo si ridurrà anche la pressione sulle strutture sanitarie pubbliche” specifica in una nota Fedefarma.
Sul ruolo delle farmacie e dei farmacisti arrivano invece qualche passo in avanti e uno indietro. Nel senso che dal tavolo ministeriale è uscita la proposta di rendere disponibili in farmacia i test sierologici validati dall’Istituto Superiore di Sanità. “Il Ministero della salute – continua la nota – si è impegnato a predisporre un elenco dei test che potranno essere acquistati ed effettuati nelle farmacie, secondo modalità di svolgimento e di trasmissione dei dati da concordare con le autorità sanitarie”.
Sulla possibilità che il farmacista possa, o debba, essere coinvolto attivamente nella campagna vaccinale restano dubbi. Soprattutto da parte della Federazione nazionale dei farmacisti non titolari, secondo cui “pare quantomai inopportuno pensare che gli stessi (farmacisti) possano operare un atto professionale, quale quello della vaccinazione, che non compete alla loro formazione e al loro ruolo. Per quanto si possano e a nostro avviso si debbano considerare operatori sanitari a tutti gli effetti, non riteniamo che si debbano sostituire ai medici”.
È una questione di responsabilità spiega Conasfa in una nota: “Non abbiamo bisogno che ci vengano accollate altre responsabilità che quantomeno dovrebbero avere un riconoscimento anche economico oltre che garanzie per il rischio biologico soprattutto tenendo conto che vergognosamente il contratto nazionale dei dipendenti di farmacia privata è ormai scaduto da sette anni”. Per la federazione, il farmacista dovrebbe avere un ruolo ben preciso: quella figura sanitaria che si occupa del farmaco, della sua conoscenza e della sua dispensazione alla popolazione, “insieme alla vigilanza sull’uso consapevole e responsabile dello stesso”.
Fonti | Federfarma; Fofi