E se ci fosse un metodo ancora più efficace e meno invasivo per curare il cancro al seno? Se ti sei fatto questa domanda, ti dico che una potenziale risposta potrebbe fornirla l’Università di Tel Aviv. Un gruppo di ricercatori, infatti, per trattare il cancro alla mammella avrebbe messo a punto una tecnologia “rivoluzionaria”: colpire la massa tumorale con delle microbolle, farle esplodere con gli ultrasuoni e sfruttare i “buchi” lasciati nelle membrane cellulari per inserirvi un gene immunoterapico in grado di stimolare la risposta dell’organismo. La tecnica è stata sperimentata con successo sui topi e qualora fosse approvata anche per l’uomo scombussolerebbe, in positivo, l’approccio terapeutico per il tumore al seno. Gli scienziati hanno spiegato la loro ricerca sulla rivista Pnas.
La ricerca dell’Università di Tel Aviv si inserisce in un contesto in cui, tra i trattamenti per il tumore al seno, l'immunoterapia ha sì mostrato grandi promesse ma anche dei limiti, dal momento che molti pazienti non hanno potuto vederne i benefici. Questo è stato il punto di partenza da cui i ricercatori hanno elaborato una nuova tecnologia, per certi versi rivoluzionaria. Il primo passo è stato utilizzare delle microbolle per “far esplodere i tumori”. Si tratta di bolle microscopiche riempite di gas, con un diametro di un decimo rispetto a quello di un vaso sanguigno. I ricercatori hanno spiegato che a determinate frequenze e pressioni, le onde sonore trasformano le microbolle in palloncini che si gonfiano fino anche ad esplodere. Così hanno cominciato a iniettare microbolle direttamente nei tumori al seno in modelli animali (topi) e a colpirle con degli ultrasuoni a bassa frequenza (250 kHz). Le bolle sono così esplose distruggendo l’80% delle cellule tumorali.
L’idea dei ricercatori era geniale, ma aveva ancora un piccolo limite poiché anche dopo l’esplosione delle bolle, alcune cellule tumorali tendevano a replicarsi. Così hanno migliorato ulteriormente la loro tecnica. In sostanza hanno continuato a far esplodere microbolle all’interno dei tumori ma nei fori che si venivano a creare sulla superficie delle cellule hanno iniettato dei particolari geni che sarebbero stati in grado di (ri)attivare il sistema immunitario. L'azione di distruzione delle cellule tumorali sarebbe diventata così più efficace.
Nei modelli animali utilizzati dai ricercatori, i risultati sono andati oltre ogni aspettativa. Anche perché i topi selezionati presentavan0 tumori su entrambi i lati del corpo e nonostante il trattamento fosse stato concentrato solo su un lato, il sistema immunitario riattivato avrebbe attaccato anche il lato non trattato. Se ulteriori studi dovessero confermare l’efficacia e la trasferibilità della tecnica sull’uomo, si aprirebbero nuove strade per la cura del tumore al seno. Una serie di approcci a base di microbolloe e ultrasuoni, non invasivi e sicuri per i tessuti sani circostanti.
Fonti | "Low-frequency ultrasound-mediated cytokine transfection enhances T cell recruitment at local and distant tumor sites" pubblicato il 9 giugno sulla rivista Pnas