C’è sempre meno neve sulle nostre montagne. La fisica Claudia Notarnicola: “Oltre agli ecosistemi è a rischio anche l’uomo”

Ti avevamo raccontato dello studio dell’Eurac sulla riduzione della neve nel 78% delle zone montane del mondo. Abbiamo approfondito cause, rischi e possibili conseguenze insieme alla dottoressa Claudia Notarnicola, fisica, autrice dello studio e vicedirettrice dell’Istituto di Bolzano. La sua è l’ennesima dimostrazione che tutelare l’ambiente significa proteggere anche l’uomo: consapevolezza che oggi, nella giornata internazionale dedicata all’ambiente, acquista un’eco ancora maggiore.
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Kevin Ben Alì Zinati 5 Agosto 2020

Se potessi salire sulla Stazione Spaziale Internazionale e orbitare per qualche giorno intorno alla Terra, potresti vedere anche tu che sulle nostre montagne c’è sempre meno neve. Non su tutte, ma quasi: circa l’80% ha visto cadere meno neve o ne ha vista sciogliersi molta di più di quella che si sarebbero aspettate.

La dottoressa Claudia Notarnicola, fisica e vice direttrice dell’Eurac, l’istituto di osservazione della Terra di Bolzano, non è salita nello spazio ma ci è andata vicino. Ha utilizzato i dati raccolti tra il 2000 e il 2018 da un satellite statunitense e, come ti avevamo già anticipato, ha osservato la tendenza negativa imboccata dalle nostre cime nevose. Una ripida discesa che, a catena, coinvolgerà la natura, gli ecosistemi e anche l’uomo, inquilino di questo Pianeta e principale fruitore delle sue risorse. Quella della dottoressa Notarnicola è l’ennesima prova che ribadisce l’interconnessione imprescindibile tra uomo e natura: salvaguardare l’una significa, quindi, proteggere l’altro. E oggi, nella giornata internazionale dedicata all’ambiente, questa consapevolezza vale ancora di più.

Dottoressa Notarnicola, come è riuscita ad osservare il livello della neve degli ultimi 20 anni?  

I dati che ho utilizzato derivano tutti da Mobis, un satellite della Nasa che ha raccolto 20 anni di analisi. Si tratta di una mole importante perché di solito i satelliti hanno una vita media di circa 5-7 anni. Ogni giorno ha acquisito immagini a livello globale con una risoluzione media di 500 metri a terra: è stato un buon compromesso tra la disponibilità di dati giornalieri e il livello di dettaglio in un arco di tempo di 20 anni.

Ciò che ha osservato non è proprio quella che potremmo definire una “bella notizia”, giusto?   

Ho trovato un trend negativo e non casuale. Dopo aver estratto informazioni sulla copertura di neve e sulla sua durata in termini di giorni per ogni anno, ho eseguito delle analisi statistiche tradizionali per identificare se c’era una tendenza significativa. E i dati indicano un cambiamento significativo reale perché nel 78% delle aree montane di tutto il mondo c’è meno neve.

Quali sono le zone maggiormente colpite? 

Il trend è molto evidente e non è legato ad aree piccole ma a zone piuttosto estese come alcune parti delle Ande dell’Himalaya e anche a Nord-Ovest degli Stati Uniti fra Canada e Alaska.

E il restante 22% invece come sta?

Ci sono zone “ambigue”, che non hanno cioè un trend significativo né positivo né negativo. Altre, invece, hanno fatto registrare dei trend positivi, come alcune zone degli Stati Uniti o alcune aree nel nord est della Russia che sono caratterizzate da un aumento dell’innevamento, soprattutto nel periodo invernale.

Cioè?

In alcune aree l’aumento delle temperature ha portato a un aumento della neve. In Russia, per esempio. Qui se anche aumenta, la temperatura resta comunque sotto lo zero e con il conseguente aumento di umidità dell’aria s’innescano maggiori nevicate.

Quindi l’aumento delle temperature ha anche un piccolo lato positivo? 

Non esattamente. Perché se ci fermassimo a questo aumento di neve finiremmo per non tenere in considerazione tutti i processi che possono esser innescati dall’innalzamento della temperatura. Prendiamo l'esempio russo. In queste zone una delle cose più importanti è il permafrost, un suolo completamente ghiacciato che è in grado di trattenere molta CO2. Con l’aumento delle temperature, come abbiamo visto, potrebbero aumentare le nevicate che, però, potrebbero arrivare prima del periodo congruo, ovvero quello in cui il permafrost può rigenerarsi. La nuova neve così ricoprirebbe lo strato di permafrost vecchio e, agendo da isolante,  impedirebbe la formazione di quello nuovo. E così, quando l’anno successivo la neve si scioglie, anche il permafrost si ritirerebbe rilasciando elevate concentrazioni nell’atmosfera di questo e altri gas come il metano.

Sono a rischio soltanto le nevi in alta quota?

Dati alla mano, ho effettuato anche un’analisi “a fasce altitudinali” e ho potuto osservare che fino a 4000 metri il comportamento della neve non è univoco, nel senso che in alcune zone è positivo mentre in altre è stato contrario, in altre zone ancora, invece, la durata della neve è dipesa dalle stagioni. Su queste zone, dai dati che ho a disposizione, non posso dare risultati certi. Però sì, il problema è dai 4000 metri in su: la maggior parte dei parametri ha mostrato tutte tendenze significative negative.

Bisogna arrestare il Climate Change.  

Questi comportamenti della neve rispondono a delle importanti variazioni di temperatura a cui stiamo assistendo ormai da anni. Il cambiamento a cui è soggetto il clima inciderà su moltissimi aspetti, tra cui la presenza e la durata della neve sul nostro pianeta: molte zone hanno trend negativi, altre hanno registrato anche l’effetto opposto.

Se il trend negativo continuasse, chi potrebbe pagarne le conseguenze maggiori?  

Il danno più grande, in un primo momento, potrebbe essere legato allo sviluppo della vegetazione. Se la neve si fonde prima, la vegetazione si deve necessariamente adattare, così come gli animali: l’adattamento è un processo naturale e relativamente facile se i cambiamenti sono più morbidi e graduali, se invece sono veloci o troppo estremi, l’adattamento alla nuova situazione non è altrettanto rapida. Un altro aspetto importante è la disponibilità di acqua che deriva dalla fusione della neve.

E l’uomo, quanto rischia? 

La neve è un risorsa importante per diversi settori e la sua variazione può essere molto impattante. In alcune zone altamente popolose come i bacini indiani, per esempio, vi è una forte dipendenza dalla neve dell’Himalaya perché, fondendosi, garantisce sufficienti disponibilità di acqua per i periodi primaverili o estivi. In altre parti del mondo, invece, è alla base delle attività di agricoltura e di irrigazione ma anche del settore idroelettrico o di quello del turismo. Oltre che sull’ecosistema, una diminuzione significativa della neve può avere effetti negativi a cascata su tantissimi diversi aspetti della vita.