Cefalea a grappolo, il dolore alla testa più forti di tutti

La cefalea a grappolo è chiamata cefalea del suicidio, perché è un dolore così forte da causare disperazione. Di solito i cluster, ovvero le fasi acute, sono abbastanza veloci e si ripetono in modo molto schematico. E’ una forma primaria, che nelle sua manifestazione cronica dà diretto all’invalidità.
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Valentina Rorato 26 Febbraio 2020
* ultima modifica il 12/06/2020

La cefalea a grappolo è una forma di cefalea molto dolorosa, che si concentra nella zona orbitale. Per rendere tutto più semplice, pensa a quel dolore fortissimo che ti prende un occhio e da lì si irradia in un lato della faccia. Ti è mai capito? Potrebbe essere il famoso mal di testa a grappolo. Perché si chiama così? Perché gli attacchi hanno dei periodi attivi, detti proprio grappoli (o cluster), che possono durare settimane o mesi (massimo tre mesi), intervallati da fasi di remissione anche molto lunghi. Se questo forma di mal di testa si presenta per più di un anno e la pausa di benessere non dura più di 30 giorni, si parla di cefalea a grappolo cronica. Ma vediamo meglio insieme che cos’è.

Cos'è la cefalea a grappolo

La cefalea a grappolo è una cefalea primaria. Non ha quindi una causa patologica, ma nasce da una predisposizione genetica (in casa qualcuno ne soffre?) ed è più frequente tra gli uomini che tra le donne, mentre è rara nei bambini. Si manifesta, infatti, per la prima volta fra i 20 e i 40 anni. Il dolore è unilaterale, quindi si concentra in su un solo lato del capo, nella zona orbitale. La caratterista della cefalea a grappolo sta proprio nelle fasi attive che durano mediamente da 2 settimane a 3 mesi e si alternano con le fasi remissive, che possono essere molto lunghe, da qualche mese a un anno. Esistono due forme di cefalee a grappolo:

  • La forma episodica: il grappolo dura da sette giorni ad alcuni mesi, con intervalli liberi da malattia superiori a due settimane.
  • La forma cronica: si presentano ogni giorno per più di un anno consecutivamente e gli intervalli nell’arco di un anno non sono più di 30 giorni. È molto invalidante e colpisce il 10 percento delle cefalee a grappolo.

I sintomi

I sintomi della cefalea a grappolo sono molto forti. Il dolore può essere davvero intenso e durare pochi minuti (un quarto d’ora circa) come diverse ore. Come anticipato, il male si localizza soprattutto vicino a un occhio o poco sopra ed è accompagnato da:

  • congestione nasale
  • edema palpebrale
  • sudorazione facciale e frontale
  • arrossamento del viso, della fronte
  • miosi e/o ptosi
  • sensazione dell’orecchio tappato
  • eccesso di lacrimazione
  • arrossamento dell’occhio

Gli attacchi sono molto schematici e di solito si ripetono più o meno sempre alla stessa ora: primo pomeriggio, sera o nelle prime ore della notte (è frequente che la cefalea a grappolo sia notturna e che il paziente si svegli dal sonno per il male). Inoltre, si ripetono nel corso dell’anno con una certa stagionalità.

Le cause

Le cause della cefalea a grappolo non sono legate a una patologia. Non è dunque il sintomo di una malattia, essendo un forma primaria. Esiste una predisposizione genetica, una sorta di familiarità e secondo molti studi pare essere collegata a un malfunzionamento dell'ipotalamo. Pare, infatti, esista un legame con gli squilibri ormonali, soprattutto la melatonina e il cortisolo, e dei neurotrasmettitori che possono alterare gli impulsi nervosi provocando dolore. Inoltre, potrebbe essere scatenata da alcuni fattori quali lo stress, il consumo di alcolici, anche in piccole quantità, o l’uso di determinati farmaci come la nitroglicerina, usata nella terapia delle patologie cardiache.

La cura

La cura della cefalea a grappolo si basa soprattutto sull’assunzione di un farmaco, il sumatriptan, che non può essere preso per più di 2 volte al giorno. E' molto efficace la somministrazione di ossigeno al 100% con la maschera. In questo caso, non c’è un limite di uso: ne consegue che se il cluster è molto lungo, il paziente può trovare sollievo dall’ossigeno tutte le volte che lo desidera.

Non esiste una nuova terapia e gli antidolorifici da banco, così come gli oppiacei, sono praticamente inutili, prima di tutto perché il tempo che impiegano ad agire è troppo lungo. Ci sono cluster che durano 15 minuti: fai conto che potrebbe passarti di dolore e il farmaco non è ancora entrato in circolo.

Cosa mangiare

Fare attenzione a cosa mangiare potrebbe esserti di grande aiuto, perché alcuni cibi possono scatenare il dolore alla testa. Prima di tutto si consiglia una dieta leggera e facilmente digeribile. Dovresti poi evitare di consumare agrumi, crauti, olive in salamoia, banane mature, ma anche pizza e pane appena sfornati o i fritti. Il caffè, così come il cioccolato, in piccole quantità possono essere d’aiuto, ma se esagerai otterrai l’effetto contrario. Riduci quanto più possibile gli insaccati contenenti nitrati, il glutammato di sodio (tipico dei dadi e delle zuppe pronte), il vino rosso che contiene tannini e le diete troppo ipocaloriche.

Che cosa mangiare? Cereali integrali, frutta e verdura fresche, legumi freschi o secchi, pesce fresco, non affumicato e non salato, carne fresca (preferibilmente bianca), succhi, spremute e centrifugati.

Può dare invalidità?

La cefalea a grappolo può dare invalidità e condizionare la qualità della tua vita, sia privata sia professionale. Non è un caso che l’Organizzazione mondiale della sanità abbia inserito la cefalea cronica al terzo posto tra le malattie invalidanti, in grado cioè di limitare o compromettere gravemente la capacità di far fronte agli impegni di famiglia e di lavoro. Tutte le emicranie primarie che tendono a verificarsi periodicamente, per lunghi periodi, quella di tipo tensivo cronica e ad alta frequenza, la cefalea a grappolo cronica, l’emicrania cronica parossistica, la cefalea nevralgiforme unilaterale di breve durata con arrossamento oculare e lacrimazione sono patologie per cui puoi chiedere l’invalidità.

Fonti| Humanitas; Fondazione Veronesi

Le informazioni fornite su www.ohga.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.