Che cosa sappiamo finora del vaiolo delle scimmie? La prof.ssa Castagna: “Dobbiamo tenere alta la guardia senza allarmismi inutili”

Noto fin dagli anni ’50 come un virus a Dna endemico in Africa occidentale o in Congo e responsabile di una zoonosi, oggi il vaiolo delle scimmie ha fatto registrare diversi casi in Europa e anche in Italia.
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Kevin Ben Alì Zinati 24 Maggio 2022
* ultima modifica il 24/05/2022
Intervista alla Prof.ssa Antonella Castagna Primario dell’Unità di Malattie Infettive dell'IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano

È un altro virus che si sta affacciando al «nostro» mondo. È un’altra malattia che dagli animali è «saltata» all’uomo.

Il vaiolo delle scimmie negli ultimi giorni si è diffuso in Europa (oggi i positivi accertati sono poco meno di 200) e ha varcato anche i confini dell’Italia, dove al momento abbiamo registrato 4 casi accertati di Monkeypox virus: l’ultimo è stato individuato in Toscana, ad Arezzo.

Il suo identikit epidemiologico l’ha stilato la professoressa Antonella Castagna, primario dell’Unità di Malattie Infettive dell'IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano: “Si tratta di un virus a DNA responsabile di una zoonosi, cioè una malattia diffusa tra gli animali – le scimmie e alcuni roditori – trasmissibile anche all’uomo ed endemica in alcune zone del mondo come l’Africa occidentale o l’area del Congo. La conosciamo fin dagli anni ’50 ma fino ad ora erano stati segnalati pochi casi di trasmissione all’uomo. Ha un’incubazione di circa 5-20 giorni”.

Oltre a questo, poi, c’è l’altro lato del virus. Quello sociale ed emotivo, dentro cui stanno ribollendo domande e ipotesi («Come si è diffuso?», «Perché proprio ora?») ma anche dubbi e prime paure. Inevitabili, questi ultimi, dopo i due anni di pandemia, nati da un virus che nelle sue fasi iniziali è stato vissuto e raccontato (da molti, non tutti) per quello che non era: «solo un’influenza».

Inevitabili ma oggi controllabili. La professoressa Castagna ha definito i contorni anche di questo aspetto del focolaio di vaiolo delle scimmie e con cautela e una sacrosanta e contenuta (poi vedrai perché) dose di incertezza ci ha spiegato, infatti, che “dobbiamo tenere alta la guardia senza però allarmismi inutili”.

Professoressa Castagna, stiamo mettendo testa, corpo e una gamba fuori da una pandemia, che ha comunque avuto esordi diversi e decisamente più rapidi e aggressivi. Secondo lei da questi ultimi due anni e mezzo cosa posiamo prendere e trasferire nella gestione di questi casi di vaiolo delle scimmie?

Abbiamo sicuramente imparato a organizzarci meglio e abbiamo ancora una volta realizzato che l’emergenza o la riemergenza di alcune malattie infettive è un dato di realtà e che non possiamo mai abbassare l'attenzione. Anche perché oggi viviamo in un mondo fortemente connesso, per di più  con importanti alterazioni del clima che possono incidere sulla distribuzione delle aree dove vivono gli animali e i vettori virali. La pandemia da Covid-19 ci ha permesso di migliorare le nostre capacità di diagnosi precoce e ha anche affinato la consapevolezza e la responsabilità di ciascuno di noi. Covid-19 era una malattia per molti aspetti nuova mentre disponiamo di molte informazioni sul vaiolo delle scimmie. Per questo oggi la cosa più importante è segnalare, senza allarmismi, i casi realmente sospetti.

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Che sintomi provoca?

Può dare febbre, cefalea, artromialgie, lombalgia, linfoadenopatie anche importanti e lesioni vescicolose che si possono ulcerare e ricordano un po’ quelle del vaiolo oppure della varicella. Sono caratteristiche abbastanza tipiche che insorgono pochi giorni dopo il momento in cui si contrae infezione. Se una persona dovesse sviluppare improvvisamente questa sintomatologia deve cercare subito l’attenzione medica.

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Il sintomi più caratteristico del vaiolo delle scimmie è l’insorgere di vescicole ulcerose simili a quelle della varicella.

In questi due anni e mezzo abbiamo convissuto con Sars-CoV-2, che invece è un virus a Rna. Che differenza c’è?

Sono virus che possiedono materiali genetici diversi e quindi sono organizzati in maniera differente. Nel caso del Coronavirus il materiale genetico è acido ribonucleico mentre nel caso del monkeypox è l’acido desossiribonucleico. Sappiamo, e ce l’ha insegnato anche Sars-CoV-2, che i virus a RNA tendono a mutare molto più velocemente, caratteristica che ha reso più difficile contenere la pandemia. Ad oggi non sappiamo se l’aumento improvviso di casi di vaiolo delle scimmie nell’uomo sia legato o meno a una mutazione del virus. Dobbiamo forse concentrarci su altri aspetti.

Cioè?

Se oggi abbiamo casi di vaiolo delle scimmie nell’uomo significa che il virus ha già effettuato con successo lo spillover, il famoso salto di specie. In questo momento dobbiamo cercare di capire le ragioni di questo improvviso, e speriamo limitato, incremento di casi nell’uomo.

Lei che idea si è fatta?

L’ipotesi più accreditata è che più persone contemporaneamente siano venute in contatto stretto con individui che albergavano il virus, il quale può essere ritrovato nella saliva, nelle lesioni e nel sangue. Molti dei casi riportati in Europa infatti non sembrano avere nella loro storia un viaggio in regioni dove la malattia è endemica.

Come si trasmette questo virus?

La trasmissione da uomo a uomo avviene attraverso un contatto stretto con materiale infetto, ad esempio le lesioni della cute e la saliva, o per via respiratoria attraverso le droplets. Non si hanno al momento evidenze che il virus sia presente nel liquido seminale o vaginale, ma i casi documentati negli MSM (uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini) suggeriscono che la trasmissione per via sessuale sia possibile. Sono quindi importanti tutti gli interventi di prevenzione che abbiamo imparato con la pandemia da Covid-19: l’isolamento della persona infetta (come già avvenuto in Belgio), l’uso di mascherine e guanti, il lavaggio frequente delle mani. Particolare attenzione andrà posta nei confronti dei bambini, delle donne in gravidanza e degli immunodepressi.

OMS e ECDC hanno dichiarato che la maggior parte dei casi si è verificata in giovani uomini che hanno rapporti sessuali con partner dello stesso sesso, e subito si è scatenata la feroce indignazione da parte della comunità omosessuale. In particolare il Partito Gay, con il suo portavoce Fabrizio Marrazzo che senza mezzi termini ha parlato di “discriminazione”. Secondo lei c’è il rischio di ricadere in quanto già visto nei primi anni di epidemia da HIV?

OMS e ECDC hanno già sottolineato che il rischio di trasmettere l’infezione in coloro che hanno numerosi partner è elevato e hanno già dato indicazioni ad avere rapporti protetti. Stigmatizzare non è corretto ma non riconoscere che molti casi siano occorsi in questa popolazione non sarebbe altrettanto giusto. Verificheremo e chiariremo con il tempo.

Ad oggi i giovani sembrano meno suscettibili delle persone anziane: perché?

La popolazione italiana più adulta è protetta dalla vaccinazione contro il vaiolo che per diversi decenni è stata obbligatoria. A fine anni ’70 siamo riusciti a eradicare la malattia e quindi non è più stato necessario immunizzarsi. È possibile quindi che nei soggetti più giovani che non sono vaccinati l’incontro con il virus si traduca in una malattia. L’assenza di casi nei soggetti anziani potrebbe essere un’ulteriore testimonianza dell’efficacia della vaccinazione antivaiolosa anche nei confronti di questo virus.

Come stanno ora i positivi?

Quello che sappiamo di questi casi è che per il momento stanno tutti bene, non sembrano esserci elementi di gravità, anche se chiaramente bisogna monitorare la situazione nel tempo.

L’infezione potrebbe essere mortale?

Per le informazioni che abbiamo ad oggi e che si riferiscono ai dati dei casi nelle regioni endemiche dell’Africa la mortalità stimata è di circa l’1%. Sono dati che ricostruiamo su informazioni del passato, ora dobbiamo vedere come evolverà questo focolaio epidemico, ma cercherei di far passare un messaggio di rassicurazione.

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