ddl autonomia differenziata sanità

Che fine farà il diritto alla salute se l’autonomia differenziata diventerà realtà?

L’autonomia differenziata che dovrebbe essere introdotta dopo l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri del disegno di legge firmato dal ministro Roberto Calderoli è stata fortemente criticata da medici e professionisti sanitari. “Rischiamo la disgregazione sociale”: l’allarme lanciato dal dottor Pierino Di Silverio, segretario nazionale di Anaoo Assomed.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
Maria Teresa Gasbarrone 16 Febbraio 2023
* ultima modifica il 16/02/2023
In collaborazione con il Dott. Pierino Di Silverio Dirigente medico presso l'Ospedale Monaldi di Napoli e segretario nazionale di Anaoo Assomed

Da quando è stato approvato dal Consiglio dei ministri a inizio febbraio 2023, il Ddl Autonomia differenziata ha ricevuto molte critiche, anche da voci interne alla stessa coalizione di governo. Tra i più critici del disegno di legge ci sono i professionisti della sanità pubblica e gli addetti ai lavori. Nello specifico i rappresentanti dei sindacati lo hanno detto a chiare lettere. Tra questi c'è Pierino Di Silverio, dirigente medico e segretario nazionale di Anaoo Assomed, uno dei più importanti sindacati di medici e dirigenti sanitari italiani.

"Il rischio – denuncia Di Silverio – è che venga meno uno dei due pilastri del welfare state, ovvero il diritto alla salute per tutti gli individui". L'autonomia differenziata potrebbe infatti – è la tesi di molti professionisti sanitari – accentuare il gap già esistente tra Nord e Sud. Il risultato? Le Regioni che presentano i dati più allarmanti in fatto di offerta sanitaria acuirebbero ancora di più le proprie problematiche con effetti disastrosi per la salute (e le finanze) dei cittadini.

Cosa prevede il Ddl Autonomia sulla sanità

Se ne è parlato molto, ma cos'è l'autonomia differenziata e soprattutto con la sua realizzazione cosa cambierebbe per i cittadini? Se te lo sei chiesto, sappi che la domanda è più che legittima. In sostanza potremmo dire che l'autonomia differenziata dovrebbe consistere nel riconoscimento da parte dello Stato dell’attribuzione a una Regione a statuto ordinario di autonomia legislativa sulle materie di attuale competenza concorrente (ovvero quelle in cui hanno potere di produrre leggi sia lo Stato che le Regioni) e in tre casi di quelle di competenza esclusiva dello Stato.

Con l'autonomia differenziata la sanità potrebbe diventare competenza esclusiva delle singole Regioni

Ecco, la settima delle prime venti materie è proprio la "tutela della salute", che passerebbe così sotto la competenza esclusiva della Regione. È proprio su questo punto che si concentrano le critiche più convinte al disegno di legge messo a punto dal ministro per gli Affari regionali e le autonomie Roberto Calderoli.

Il Ddl Autonomia è in contraddizione con la stessa Costituzione che all’articolo 32 riconosce la tutela della salute come “fondamentale diritto dell’individuo”.

Pierino Di Silverio, segretario nazionale Anaoo Assomed

"Il Ddl nega – denuncia Di Silverio – la stessa Costituzione. L'articolo 32 riconosce infatti la tutela della salute come ‘fondamentale diritto dell’individuo'. Un diritto che quindi deve essere garantito gratuitamente e a tutti, senza distinzione di sesso, età, religione, né tanto meno geografica, su tutto il territorio italiano".

Cosa cambierebbe con l'autonomia differenziata

Allo stato attuale, la sanità prevede per tutte le Regioni il raggiungimento dei Lep e Lea, ovvero quelli che lo Stato indica come i Livelli essenziali di prestazione e il Livelli essenziali di assistenza minimi da garantire. Detto così forse non ti dice molto. In poche parole si tratta di quelle prestazioni sanitarie ritenute essenziali e quindi tali che ogni Regione deve essere in grado di offrire  ai propri residenti. Oggi li decide lo Stato e sono gli stessi in tutte le Regioni.

Ogni Regione potrebbe stabilire quali prestazioni erogare gratuitamente e quali dovranno essere a pagamento.

Pierino Di Silverio

Qualora invece venisse introdotta l'autonomia differenziata "i Lep e i Lea – spiega ancora Di Silverio – non sarebbero più in capo al ministero della Salute, ma rientrerebbero nelle competenze delle Regioni. In poche parole questo significa che ogni Regione potrebbe decidere quali prestazioni erogare gratuitamente e quali no". Per farti un esempio, si potrebbe arrivare alla situazione paradossale per cui una certa visita potrebbe essere gratuita in Lombardia e a pagamento in Calabria.

Ma le novità non si limiterebbero ai destinatari delle prestazioni sanitarie: "Se oggi i medici sono pagati secondo un contratto nazionale uguale per tutto il Paese, con l’autonomia ogni Regione potrà scegliere autonomamente quanto pagare il medico, che tipo di contratto fargli, come e dove farlo lavorare. In poche parole ci potrebbero essere medici di serie A e medici di serie B".

La questione del gap tra Nord e Sud

"Siamo di fronte a un tentativo di ulteriore parcellizzazione basata sulla spesa storica nella logica del povero sempre più povero e ricco sempre più ricco". Il pericolo denunciato da Anaoo Assomed riguarda infatti gli esiti che la diversa distribuzione delle risorse potrebbe avere sulla tenuta del sistema sanitario nazionale, soprattutto nelle Regioni storicamente più svantaggiate.

"L’autonomia prevede – prosegue il segretario nazionale del sindacato ragioni storiche di distribuzione in base ai Lep. In poche parole quanto è sempre stato continuerà a essere soprattutto per quelle Regioni come quelle del Sud che hanno vissuto crisi politiche, economiche o geografiche e che quindi non recupereranno mai questo gap".

tac-total-body

Come ottengono oggi i fondi le Regioni

Per capire meglio come cambieranno le cose, puoi immaginare il fondo sanitario nazionale come una sorta di calderone comune che viene distribuito alle diverse Regioni in base ad alcuni indici.

Se una Regione parte da condizioni svantaggiate, come ospedali fatiscente, scarso accesso alle nuove tecnologie o carenza di personale, ricevendo le stesse risorse di una Regione più sviluppata non potrà mai recuperare lo svantaggio rispetto a quest’ultima.

Pierino Di Silverio

“Noi contestiamo – aggiunge Di Silverio – anche gli indicatori già utilizzati oggi perché basandosi su una situazione già esistente non permetteranno mai di recuperare il gap esistente tra Nord e Sud. Tanto per capirci solo da qualche tempo si sta prendendo in considerazione l’indicatore della deprivazione sociale. Se questo è più basso in una Regione piuttosto che in un’altra non è sempre conseguenza di decisioni politiche, ma può dipendere invece da ragioni strutturali ben più profonde e storiche (difficoltà accesso al mondo del lavoro). Se nell’assegnazione delle risorse non si tiene conto di questo indice, si corre il rischio di considerare alla pari due Regioni in termini di reddito, che invece presentano profonde differenze strutturali".

Che fine faranno le liste d'attesa?

"Le liste d’attesa di oggi sono dovute – spiega Di Silverio – principalmente a due fattori". Il primo risale al periodo pre-Covid e riguarda la carenza di personale: meno medici ci sono in ambulatorio disponibili per interventi e meno posti ci sono, meno saranno le prestazioni che si potranno erogare.

Il secondo invece è conseguenza della pandemia: "Durante il Covid – prosegue Di Silverio – abbiamo messo da parte tutte le altre malattie. Oggi scontiamo quel blocco di prestazioni avuto durante il Covid. Ma con l’autonomia differenziata la situazione non migliorerà, anzi rischiamo solo di allungare le liste d’attesa nelle Regioni dove il quadro è più critico, invece di sostenerle con più risorse". 

Quanto costa la mobilità passiva

Inoltre l'acuirsi della differenza tra l'offerta sanitaria offerta tra Nord e Sud potrebbe implementare il rischio di mobilità passiva,  ovvero quel fenomeno per cui i cittadini che non trovano risposte sanitarie nelle Regioni del Sud andranno a curarsi al Nord.

Si tratta di prestazioni  per la maggior parte a carico delle Regioni di provenienza che le pagheranno alle Regioni del Nord in grado di erogarle, che così amplieranno le proprie risorse.

"Solo negli ultimi 10 anni – aggiunge Di Silverio – la mobilità passiva è costata 14 miliardi di euro. Paradossalmente la spesa per le Regioni di provenienza sarebbe perfino inferiore se riuscissero a fornire loro stesse quelle prestazioni sanitarie".

Oltre alla spesa a carico delle Regioni, bisogna tenere presente che doversi spostare per motivi di salute ha un costo non indifferente anche per il singolo paziente (spese per il viaggio, affitto, collocazione e tutto ciò che ne consegue), che non tutte le persone possono permettersi.

"Tutto questo può essere riassunto con una sola definizione: disgregazione sociale", l'amara conclusione di Di Silverio.

Le informazioni fornite su www.ohga.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.