Che legame c’è tra tumore al seno, obesità e diabete? Ne abbiamo parlato con la dottoressa de Francesco

Ottobre è il mese dedicato alla prevenzione del tumore mammario. Colpisce circa 1 donna su 8, ma la buona notizia è che la sopravvivenza oggi è dell’87% ed è in continuo aumento. Rimane, però, ancora un pezzetto di strada da percorrere e riguarda le tipologie più aggressive o che tendono a provocare metastasi. Abbiamo parlato con la dottoressa de Francesco, ricercatrice, che a Catania si concentra proprio su questo problema.
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Giulia Dallagiovanna 18 Ottobre 2021
* ultima modifica il 18/10/2021
Intervista alla Dott.ssa Ernestina Marianna de Francesco ricercatrice presso l'Unità Clinicizzata di Endocrinologia del PO Garibaldi Nesima di Catania

Cominciamo con una buona notizia: la sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi per una donna affetta da tumore al seno oggi raggiunge l'87%. Ed è in costante aumento. Un risultato molto importante ottenuto grazie a percorsi di prevenzione, diagnosi veloce e ricerca di terapie sempre più mirate ed efficaci. Rimane ancora però un piccolo pezzetto, un 13% di pazienti che devono lottare più delle altre perché la loro forma di cancro è particolarmente aggressiva. Nella maggior parte dei casi di tratta del tipo triplo negativo o del carcinoma mammario metastatico. Ed è proprio su questi che dovranno ora concentrarsi le attenzioni. Ne vogliamo parlare su Ohga in occasione dell'Ottobre Rosa, il mese dedicato alla prevenzione e alla lotta contro il cancro al seno.

Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, ad esempio, quest'anno ha adottato un simbolo leggermente diverso: al tradizionale fiocco rosa ha aggiunto un margine grigio, proprio a simboleggiare quella parte di strada che dobbiamo terminare di percorrere. Una porzione che riguarda ben 37mila donne, solo in Italia.

37mila donne sono affette da una forma aggressiva di tumore al seno

La vera speranza di queste pazienti è riposta nel lavoro di ricercatrici e ricercatori che ogni giorno si dedicano allo studio di queste patologie. Tra loro c'è anche la dottoressa Ernestina Marianna de Francesco che si occupa in particolare di indagare il possibile legame tra tumore al seno e malattie metaboliche come obesità o diabete. Lo scopo è quello di individuare un nuovo bersaglio terapeutico contro cui indirizzare un'eventuale terapia per poter colpire meglio la neoplasia.

Dottoressa de Francesco, prima di tutto le chiedo: cosa significa la dicitura "triplo negativo"? E come mai è così complicato da trattare?

Il tumore al seno triplo negativo è caratterizzato dall'assenza di tre recettori: quello per gli estrogeni, quello per il progesterone e il HER2. Di conseguenza non abbiamo molte armi a disposizione perché ci mancano i bersagli contro cui indirizzarle. Si deve ricorrere alla chemioterapia che può essere pesante da sopportare. Inoltre, è una tipologia che si rivela spesso molto aggressiva e dà origine a metastasi, soprattutto a polmoni, ossa, fegato e cervello. Una volta metastatizzata, la malattia è più complicata da tenere sotto controllo.

Come si inseriscono in tutto questo le malattie metaboliche?

Nelle pazienti che sono già affette da malattie metaboliche pregresse c'è un aumento del rischio di sviluppare cancro al seno e inoltre la neoplasia presenta una tendenza maggiore a provocare metastasi. Lo scopo del nostro progetto di ricerca è proprio quello di capire come mai esista questa relazione epidemiologica, quali siano le ragioni molecolari alla base. Vorremmo individuare quale meccanismo si inneschi per trovare un possibile bersaglio alternativo e trattare questa neoplasia in modo più efficace.

Quante donne vivono oggi in questa situazione?

Possiamo dire che circa il 16-20% di tutte le pazienti affette da tumore al seno mostrino anche un'alterazione del metabolismo, come obesità, sovrappeso o diabete di tipo 2. Dobbiamo considerare che queste pazienti sono già soggette a un regime farmacologico per la malattia pregressa di cui soffrono e quando poi viene diagnosticato anche il cancro, le due patologie vengono trattate separatamente. Se invece riuscissimo a individuare eventi patogenici comuni, potremmo attaccare entrambe utilizzando un'unica terapia.

Esiste quindi un legame?

Probabilmente sì, è quello su cui stiamo indagando. Sappiamo che purtroppo nel soggetto obeso sussistono condizioni di infiammazione cronica che favoriscono l'insorgenza dell'insulino-resistenza e che poi possono sfociare nel diabete. La circolazione di insulina e la sua presenza nel tessuto mammario può esercitare un'azione mitogena che favorisce la proliferazione di cellule tumorali e contribuire sia alle fase iniziali di crescita della massa che a quelle tardive di metastatizzazione. La nostra ipotesi è che una delle complicanze a lungo termine di una malattia metabolica possa essere proprio il cancro al seno.

Come state procedendo nello studio e cosa si potrebbe ottenere?

La nostra attenzione si sta soffermando sul recettore RAGE e sui suoi ligandi, che funzionano in modo sregolato nei pazienti diabetici e obesi. Vogliamo capire se possano contribuire a mantenere un ambiente infiammatorio che favorisca e aumenti l'incidenza della metastatizzazione. Potremo utilizzare i risultati per lo sviluppo di inibitori pensati specificatamente per questa popolazione di pazienti e che vadano quindi a bloccare il recettore RAGE e i suoi ligandi.

Guardando alla situazione più generale, i numeri ci dicono che 1 donna su 8 nell'arco della sua vita riceve una diagnosi di tumore al seno e che ogni anno si registrano 55mila nuove pazienti, solo in Italia. Sono dati che a prima vista colpiscono, dobbiamo spaventarci?

Non dobbiamo farci prendere dal panico. Sappiamo che purtroppo l'incidenza è in lieve aumento anche perché mancano programmi di screening uniformi sull'intero territorio nazionale e perché in alcuni contesti sociali questi piani non riescono ad arrivare con efficacia. D'altra parte, però, il tasso di sopravvivenza raggiunge quasi il 90% e questo significa che a 5 anni dalla diagnosi 9 donne su 10 sono ancora vive, stanno bene e hanno una buona qualità di vita. Ovviamente sempre attenendosi a tutti i controlli necessari. Dobbiamo veicolare meglio questo messaggio, soprattutto alla popolazione che ha già superato i 50 anni. E poi possiamo essere certi del fatto che la ricerca stia facendo il suo compito e che oggi sia concentrata soprattutto su quel "tanto così" che manca al 100%.

Questo è sicuramente un messaggio ottimista..

Sì, sono molto positiva. Oggi abbiamo a disposizione armi sempre più sofisticate e la tecnologia è dalla nostra nostra parte. Pensiamo solo all'enorme quantità di dati che possiamo elaborare con software specifici di bioinformatica e ottenere informazioni che sono rappresentative di ampie coorti di pazienti.

Come mai ha deciso di dedicarsi alla ricerca e in particolare di studiare il tumore al seno?

Durante il corso di studi in Farmacia all'Università della Calabria ho avuto la fortuna di frequentare un laboratorio di ricerca per la mia tesi sperimentale. Mi dedicai per 14 mesi proprio al tumore al seno e a come gli estrogeni potessero favorire la progressione tumorale. Dopo la laurea ho proseguito su questa strada con diversi percorsi e, devo dire, AIRC mi ha tenuta per mano con diverse borse di studio che mi hanno permesso anche di andare nel Regno Unito, a Manchester, dove sono rimasta per 4 anni. Ho trovato un ambiente ottimo per la ricerca, all'estero c'è meno burocrazia. Alla fine sono tornata in Italia, sempre grazie ad AIRC e al programma Start up, e ora lavoro a Catania nell'Unità Clinicizzata di Endocrinologia del PO Garibaldi Nesima, un centro di eccellenza per le malattie metaboliche. Come donna il tumore al seno è un argomento che mi ha subito coinvolto e dal quel momento sapevo che non sarei più tornata indietro.

Credits photos: Ufficio stampa AIRC

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