Citomegalovirus, anche il sistema immunitario delle persone fragili può sconfiggerlo

Il citomegalovirus è molto pericoloso per le persone immunodepresse, ma una ricerca italiana ha scoperto nuove prospettive di cura per i pazienti con scarse difese immunitarie. Il merito è di una popolazione di linfociti T killer, che può tra l’altro aprire nuove speranze anche nel campo dell’immunoterapia.
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Valentina Rorato 20 Luglio 2021
* ultima modifica il 20/07/2021

Il citomegalovirus è un virus molto diffuso e pericoloso, soprattutto per le persone immunodepresse. La buona notizia è che il corpo sembra avere un’arma efficace per contrastarlo: si tratta di una particolare popolazione di linfociti T killer. Lo hanno scoperto gli esperti dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù in collaborazione con i ricercatori dell’Università di Genova e della University of Melbourne. La ricerca, sostenuta da AIRC, è stata pubblicata su Science Immunology.

Come lavorano i linfociti T killer? Intercettano le cellule infette e le uccidono grazie a speciali sensori. Questo meccanismo è molto importante perché apre nuove prospettive di cura per i pazienti con scarse difese immunitarie, con gravi infezioni virali (incluso il COVID-19), ma anche con tumore.

I lifonciti T Killer non sono nuovi alla scienza. Questa particolare popolazione è già stata identificata in studi precedenti. E, dalle ricerche, è emerso che hanno una sorta di sensore, il TCR (T-cell receptor che riconosce le proteine estranee ed è presente su tutti i linfociti T) e una serie di recettori, uguali a quelli delle cellule Natural Killer (NK). I sensori aggiuntivi sono in grado di intercettare le cellule infettate da citomegalovirus e di eliminarle, bloccando così l’infezione.

Il citomegalovirus è molto subdolo, perché spesso riesce a mimetizzarsi. Resta latente nel corpo per anni e una persona sana non ha problemi a gestire e controllare l’intruso, mentre chi è immunodepresso può sviluppare gravi infezioni e danni possibili a polmoni, fegato, esofago, stomaco, intestino, occhi e sistema nervoso centrale.

Per fortuna i linfociti T killer sono in grado di smascherare il virus e captare con anticipo i segnali di allarme, come le proteine “da stress” prodotte dalle cellule infettate o che hanno subìto una trasformazione tumorale. Il professore Lorenzo Moretta, responsabile dell’Area di Ricerca di Immunologia del Bambino Gesù, ha così commentato: «La caratteristica peculiare della popolazione di cellule T killer può aprire la strada a nuove strategie terapeutiche in grado di sfruttarle al meglio, rafforzandole o inducendone una estesa proliferazione nei pazienti con gravi infezioni virali, incluso il COVID-19, o con tumore».

Ma quale sarà il futuro? «È possibile anche ipotizzarne un utilizzo “preventivo” per evitare la riattivazione del citomegalovirus che avviene in circa il 30% dei casi di pazienti immunodepressi, ad esempio in seguito a trapianto di midollo per la cura di gravi leucemie. Va poi detto che questa “terapia cellulare” potrà essere utilizzata in combinazione con altre terapie, ad esempio l’immunoterapia con inibitori di checkpoint, aumentandone l’efficacia».

Questa scoperta ha risvolti interessanti non solo per la cura delle persone immunodepresse, ma anche per la ricerca contro i tumori. Pare infatti che il meccanismo con cui lavorano i linfociti T killer possa essere utile per l’ immunoterapia dei tumori. Come mai? La struttura proteica (antigenica) delle cellule tumorali è molto simile a quella delle cellule normali, quindi ci sono diverse somiglianze con l’infezione da citomegalovirus.

Fonte | Ospedale Bambino Gesù

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