Come dovresti leggere il bollettino dei dati? Il prof. Parisi, presidente dell’Accademia dei Lincei: “Occhi puntati su flussi nelle terapie intensive”

La grande quantità di numeri che ogni giorno sentiamo dal bollettino diffuso dal Ministero della Salute rischia di confonderci senza aiutarci a capire realmente come sta evolvendo la pandemia in Italia. Così abbiamo chiesto consiglio al presidente dell’Accademia dei Lincei secondo cui, nella comunicazione pubblica attuale, ci sono dati su cui vale la pena concentrarsi e altri che invece mancano e che sarebbero decisivi per fotografare in modo più accurato la realtà.
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Kevin Ben Alì Zinati 17 Novembre 2020
* ultima modifica il 23/11/2020
Intervista al Prof. Giorgio Parisi Fisico e presidente dell'Accademia dei Lincei

Per alcuni è il metro con cui prendere le misure della pandemia in Italia, per altri è alla stregua di un oracolo a cui rivolgersi speranzosi, chiedendo che domani sia meglio di oggi. Se durante il primo lockdown era l’appuntamento fisso in cui qualcuno ci spiegava cosa stava combinando il virus, oggi il bollettino dei dati è diventato uno strumento alla portata di tutti. Se ti ricordi però prima lo si leggeva contando principalmente i deceduti e i contagiati, adesso si sono aggiunti i livelli delle terapie intensive, i valori di Rt delle regioni e la percentuale tra i tamponi eseguiti ogni giorno e le persone trovate poi positive. Insomma, un serie di numeri che rischiano di confondere e che potrebbero non aiutarci a capire come sta realmente l’Italia. Per questo, secondo il professor Giorgio Parisi, fisico e presidente dell’Accademia dei Lincei, c’è un modo corretto per fruirlo e dei dati su cui è più utile concentrarsi rispetto ad altri.

Professor Parisi, tra tutti quelli che ci vengono forniti quotidianamente dal bollettino, qual è il dato che vale la pena tenere sempre sotto osservazione?

Il numero dei tamponi positivi è importante ma credo che sia veramente fondamentale il dato sull’aumento delle persone che entrano in terapia intensiva rispetto alla disponibilità della regione e delle province. È importante valutare e monitorare lo stress sul sistema sanitario.

E il numero dei casi giornalieri? 

Varie regioni hanno comunicato di non essere più in grado di rintracciare i positivi e dunque è evidente che quest’informazione è incompleta. Un sistema rintracciabile è efficace se il rapporto tra positivi e numero di tamponi eseguiti resta sotto il 5%, oggi siamo oltre il 15% quindi ne stiamo perdendo una grossa fetta. Il numero dei positivi quindi non è facilmente interpretabile, è probabilmente più alto e non sappiamo di quanto. E poi non serve a molto confrontarlo con il giorno immediatamente precedente.

Il professor Giorgio Parisi, fisico e presidente dell’Accademia dei Lincei

Perché?

Il confronto dovrebbe essere fatto sulla settimana precedente. Le variazioni con il giorno prima possono esser piccole rispetto a quelle su base settimanale che, invece, possono risultare più significative. Nel dato giornaliero c’è un bias dovuto al fatto che, a volte, come succede per esempio nel weekend, non c’è un sufficiente numero di tamponi e quindi la ricostruzione reale del dato, sebbene possibile, resta un lavoro che nessuno fa.

Confrontando le settimane, invece, si potrebbe fare una previsione a medio-lungo termine sull’andamento della pandemia in Italia? 

Ad oggi il numero dei casi positivi è quasi uguale a quello della settimana scorsa. A questo punto, se la settimana prossima dovesse cominciare a scendere potremmo essere quasi sicuri che abbiamo scavallato il picco dei contagi, se invece dovesse continuare ad aggirarsi tra i 35 e i 40mila casi, e se il numero di tamponi dovesse restare costante, vorrebbe dire che non siamo ancora nella fase discendente.

Oggi è diventato di uso comune anche un altro dato, l’Rt, l’indice di contagiosità del virus. 

Mi rifaccio a una metafora presa in prestito dal mondo della politica. Nelle previsioni elettorali siamo abituati alle famose forchette che mettono in chiaro quanto può oscillare un dato: in fase di spareggio, se un candidato ha il 51% dei voti con un forchetta di mezza percentuale è diverso da un forchetta che va dal 41% al 61%. Anche l’Rt ha una forchetta, il problema è che quando si guarda sul bollettino dell’Iss non si capisce. Qui si legge che l’Rt è a 1.43 con un CI del 95% compreso 1.08 e 1.81. Quasi nessuno in Italia memorizza questo dato ma in realtà quell’informazione è essenziale perché è l’intervallo di confidenza. L’informazione completa, quindi, è che il valore di Rt è compreso fra 1.08 e 1.81 al 95% di probabilità. Significa, dunque che la forchetta è amplissima e non è un valore univoco.

Secondo lei, dunque, i dati del Coronavirus potrebbero essere comunicati meglio? 

Andrebbe fatto un lavoro importante per non comunicare i dati non solo in maniera tecnica, come il valore di Rt che così è poco chiaro e pochi possono realmente comprendere di che cosa si sta parlando. Poi sarebbe utile avere tutti dati sui flussi nelle terapie intensive che sono resi pubblici in altri paesi europei come la Francia, la Germania o l’Olanda: sarebbe un dato fresco che potrebbe dare un’idea più concreta di che cosa sta davvero succedendo.

Questo è un valore che non è sempre reso pubblico. 

Il numero di persone che entrano in ospedale e in terapia intensiva e di quelle che escono è un dato che sono convinto esista ma che tuttavia manca alla comunicazione. Una cosa è sapere che il numero di pazienti ricoverati in terapia intensiva è aumentato di 30 unità, un’altra è sapere che ne sono entrate 30 a fronte di 70 uscite. Chi entra in TI può rimanervi per diversi giorni e perché lo stress diminuisca devono esserci dimissioni massicce. Ma c’è un altro dato che manca.

Cioè? 

Il numero di chiamate che vengono fatte ai Pronto Soccorso per pazienti con problemi respiratori. Il dato per la Lombardia è pubblico ma per altre regioni non è fornito. Nella regione lombarda sappiamo che dal centinaio di chiamate prima dell’esplosione della seconda ondata siamo saliti a 500 solo nella zona di Milano per poi ridiscendere a 400. Sembrerebbe esserci un rallentamento, il che sarebbe un buon segnale. Medici da altre regioni mi hanno raccontato che la pressione sui pronto soccorso nel Lazio si è un poco abbassata ma non ci sono dati sulle telefonate. Sapere che c’è diminuzione in Lombardia è un buon auspicio ma non basta.

Non è un caso quindi che in questi giorni è stata siglata una collaborazione tra l’Accademia dei Lincei e l’Istituto Superiore di Sanità proprio per lavorare sui dati epidemiologici, sviluppando modelli di analisi dell’andamento dell’epidemia e dell’impatto sul Servizio sanitario nazionale. 

L’accordo che ci ha proposto l’Iss nasce dalla necessità di fornire alla comunità scientifica un certo numero di dati non coperti dalla privacy all’interno di un sistema aperto. Ad oggi c’è una quantità enorme di dati che non vengono comunicati, perciò appena l’accordo diventerà operativo partiremo dai dati presenti nel database dell’Iss, valuteremo quelli mancanti e li chiederemo alle regioni e alle varie Ats. A quel punto cercheremo di capire quali dati possono essere resi completamente pubblici e quali altri possono essere diffusi dopo essere stati opportunamente anonimizzati. L’obiettivo è arrivare alla condivisione pubblica dei dati sul modello di quanto già avviene per esempio in Germania dove ci sono dati estremamente dettaglia e disponibili.

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