Come si spiega il tumore a una bambina? La forza di Francesca e del suo “universo rosa”

A febbraio 2021, Francesca Polistena scopre per caso di avere un nodulo alla tiroide e qualche mese più tardi deciderà di dare un senso a tutta la sua esperienza, offrendosi come volontaria per Airc. Diventa testimonial proprio nel giorno della Festa della Mamma e non è un caso, forse, visto che la sua è una storia di donne, a partire da sua figlia, Cecila, che all’epoca aveva solo 4 anni.
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Giulia Dallagiovanna 14 Maggio 2023
* ultima modifica il 14/05/2023

"Le donne sono state la mia salvezza, mi hanno trasmesso tantissima forza". Francesca Polistena è un medico nefrologo, ha 39 anni e a febbraio 2021 ha scoperto di avere un carcinoma alla tiroide. La sua è una storia di resistenza, coincidenze importanti, risate e soprattutto donne. Tutto quello che lei definisce il suo "universo rosa", che l'ha sostenuta da vicino e da lontano, e al quale oggi può solo dire grazie.

E ce n'è una in particolare: sua figlia Cecilia, che all'epoca aveva 4 anni e alla maestra raccontava che la mamma doveva rimanere qualche giorno in ospedale per ricevere dei superpoteri. "Avevo già intenzione di parlare con la sua insegnante, ma lei mi ha preceduto. Per fortuna siamo riusciti a farle vivere tutto in modo molto sereno". Ma come si spiega un tumore a una bambina così piccola?

Francesca Polistena e sua figlia Cecilia

"I primi giorni evitavo completamente il discorso. Ero fragile, bastava una minima sciocchezza per farmi crollare. Poi invece ho iniziato a preparla a quello che sarebbe successo. Le ho spiegato che avrei dovuto fare una piccola operazione per togliere un mostriciattolo cattivo che avevo nel collo. Ma le ho anche detto che sarebbe andato tutto bene e che avrebbe dovuto aiutarmi a curare la cicatrice". Essere medico per Francesca è una fortuna in quella situazione. È lucida, ha ben chiaro l'intero quadro e il percorso a cui sta andando incontro. Sa, ad esempio, che la prognosi per il suo istotipo di carcinoma è molto buona. Può così comunicarlo meglio a chi le è vicino, come Cecilia appunto, o sua madre. Senza allarmare nessuno.

Coincidenze, dicevamo. Sì, perché Francesca non ha sintomi e i suoi esami del sangue sono perfetti. Scopre per caso del nodulo alla tiroide durante una normale giornata di lavoro. Mentre in tutta Italia si parla solo di Covid e di vaccini, nel reparto di Nefrologia dell'Ospedale San Giovanni di Tivoli viene consegnato un nuovo ecografo, che deve essere testato. "Avrei dovuto usarlo io, con una collega nel ruolo di paziente. All'ultimo, però, abbiamo deciso di scambiarci", ricorda. La dottoressa inizia quindi a provare la sonda, arrivando alla zona della tiroide. Pur non essendo il loro ambito di specializzazione, il quadro risulta subito chiaro.

Le visite e gli esami successivi lo confermano: nonostante la tiroide funzioni perfettamente, il tumore c'è e deve essere rimosso.

Nonostante la tiroide funzioni perfettamente, il tumore c'è e deve essere rimosso.

Qui arriva una seconda coincidenza. Il reparto di Otorinolaringoiatria del San Giovanni è uno dei pochi rimasti a effettuare questo tipo di interventi, che le altre strutture di solito affidano alla Chirurgia generale. E in quel reparto lavora anche una carissima amica di Francesca, nonché madrina di battesimo di Cecilia: ha vinto il concorso proprio da pochi giorni. È lei a eseguire la sutura. "Eravamo in piena pandemia, con il divieto di visite in reparto e le misure di prevenzione che ci ricordiamo. Per giorni è stata l'unica faccia amica che ho potuto vedere. Ma ci tengo a ribadire che tutti attorno a me lavoravano con una celerità pazzesca, con ritmi altissimi, come se non ci fosse il Covid".

Dopo l'asportazione della tiroide e di una paratiroide, una delle piccole ghiandole collocate dietro a quella principale, Francesca può essere dimessa. Trascorre le giornate con sua figlia, che si abitua a vederla a casa al rientro dall'asilo. A Maggio, però, deve affrontare la fase più complicata: la radioterapia allo iodio.

Non è tanto il trattamento in sè, quanto la necessità di rimanere in isolamento per diversi giorni a causa della radioattività acquisita. Il ricovero avviene in una vera e propria stanza bunker, dove non si può far altro che aspettare. La doccia non è consentita, perchè i residui radioattivi finirebbero nelle acque di scarico. La finestra è sigillata: il paziente non si può affacciare e, a dirla tutta, fatica persino a capire che tempo ci sia fuori. Dopo circa tre giorni, Francesca può lasciare l'ospedale ma deve rispettare l'isolamento anche a casa. In totale, trascorre almeno una settimana in solitudine e parla con il resto della famiglia solo in videochiamata. È in questo periodo che, per sua figlia, diventa come Wonder Woman: "Lo raccontava a scuola, tutta orgogliosa". Anche il padre, e compagno, è medico. Diventa più semplice così rassicurare Cecilia su quanto sta accadendo alla madre.

Intanto, durante quei giorni in cui il suo mondo è confinato tra il letto dell'ospedale e la televisione, Francesca decide che deve dare un senso a ciò che sta vivendo. Contatta Airc e si offre come volontaria per le iniziative della Fondazione per la Ricerca sul Cancro. Il giorno della Festa della Mamma è anche il suo primo come testimonal: la sua esperienza dimostra l'importanza della prevenzione, del ricevere subito le cure necessarie e soprattutto che una diagnosi di tumore non è per forza una condanna. La racconta anche nella scuola di sua figlia, all'interno del progetto "Cancro, io ti boccio". E il 14 maggio sarà in piazza, assieme a tanti altri volontari, con le azalee della ricerca. "È un periodo storico complicato, in cui le persone tendono a risparmiare. Ma ho visto che nessuno si tira indietro quando è il momento di dare il proprio contributo a una causa importante, ciascuno per quello che può".

Ora è tempo di conto alla rovescia. Se nei prossimi tre anni il valore del TSH (ormone tireostimolante) rimarrà prossimi allo zero, il tumore potrà dirsi ufficialmente sconfitto. Deve continuare ad assumere dosaggi piuttosto elevati di levotiroxina che, tra qualche sbalzo d'umore e un po' di variazioni di peso, le danno un'insolita energia. "La sfogo in mille cose, in famiglia e sul lavoro. Gli infermieri del mio reparto non mi sopportano più", scherza. A sostenerla, poi, anche il percorso di psicoterapia iniziato nei mesi del Covid. "Questa è stata un'altra fortuna. Avevo già una persona competente con cui poter parlare delle mie paure e di come affrontarle. È importante affidarsi a qualcuno, chiedere aiuto quando serve".

Così come è importante prendersi cura della propria salute fisica. Il tumore alla tiroide è uno dei più frequenti per le donne che hanno tra i 40 e i 60 anni. Nella lista dei controlli di routine, assieme a pap test, esami del sangue e mammografia, dovremmo annotare anche un'ecografia di questa ghiandola: un esame rapido, non invasivo e che si può prenotare in convenzione con il sistema sanitario a un costo davvero basso.

Francesca oggi sul collo ha una cicatrice e la mostra con orgoglio. "Me ne sono presa cura con creme e cerotti per evitare che si formassero cheloidi o che non cicatrizzasse bene. Ma ora voglio che si veda, perché racconta una storia importante e a lieto fine".

Credits photos: Airc

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