Coronavirus, al via un progetto di ricerca tutto italiano per lo sviluppo in vitro di anticorpi contro l’infezione

L’obiettivo dell’accordo tra l’Istituto Spallanzani di Roma e la Fondazione Toscana Life Science è non solo trovare una cura più efficace per i pazienti gravi affetti da Covid-19 prelevando gli anticorpi dal plasma delle persone guarite, ma anche dare un importante contributo nella ricerca per un futuro vaccino.
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Federico Turrisi 29 Marzo 2020
* ultima modifica il 22/09/2020

Una delle strade più promettenti che stanno percorrendo i ricercatori per individuare terapie mirate per i malati colpiti dal coronavirus SARS-CoV-2 è utilizzare gli anticorpi sviluppati dai pazienti convalescenti e guariti. Se ricordi, ti avevamo già parlato del protocollo approvato dall'ASST di Mantova che prevedeva il prelievo del plasma dalle persone che hanno sconfitto l'infezione da Covid-19 (e che hanno pertanto sviluppato gli anticorpi contro il virus) e la conseguente infusione del plasma stesso nei malati in gravi condizioni.

Bene, da pochi giorni è partito un nuovo progetto di ricerca che vede la collaborazione tra i ricercatori del laboratorio vAMRes (Vaccines as a remedy against Anti-Microbial Resistance) della Fondazione Toscana Life Sciences e quelli dell'Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma che mira allo sviluppo di anticorpi monoclonali umani in risposta all'infezione causata dal coronavirus, con l’intento di utilizzarli non solo a scopo terapeutico ma anche come esca molecolare per la ricerca di antigeni per lo sviluppo di vaccini.

La tecnica utilizzata dai ricercatori si chiama "Reverse Vaccinology 2.0". Per capirla c'è bisogno di fare una breve digressione. La Reverse Vaccinology è il frutto di un'intuizione del dottor Rino Rappuoli, Chief Scientist e Head External Research&Development di GSK Vaccines a Siena, considerato un pioniere nel campo dei vaccini. Il processo consiste nel reclutare pazienti convalescenti o guariti da infezioni batteriche o virali e nel prelevarne il sangue, da cui vengono poi isolate le cellule B, che producono gli anticorpi. Tale approccio è stato sperimentato, per esempio, per trovare nuove soluzioni contro l'antibiotico-resistenza, ossia contro "superbatteri" che non rispondono agli antibiotici e per cui non esistono vaccini.

Lo stesso principio viene ora applicato per cercare di contrastare il coronavirus SARS-CoV-2. Quindi, con il consenso dei pazienti che hanno superato l'infezione, i medici dell’Istituto Spallanzani potranno estrarre il loro plasma. Dopo di che, attraverso sofisticate tecniche di biologia molecolare, si procederà all'isolamento delle cellule B che producono gli anticorpi. Le cellule B verranno poi messe in coltura in laboratori ad alto contenimento biologico in modo da produrre e selezionare anticorpi monoclonali (cioè tutti uguali tra di loro e indirizzati verso uno specifico bersaglio) in vitro, che saranno poi raccolti e testati sempre in vitro per valutarne la capacità di legarsi e disattivare il SARS-CoV-2.

Quindi attenzione, la possibile cura non si tradurrà in infusione di materiale umano diretto (il plasma in questo caso) nei malati, come nel caso sopra citato di Mantova, ma passerà attraverso una soluzione biotecnologica che permetterà di sviluppare farmaci specifici, in cui la quantità di anticorpi è determinata con precisione. Inoltre, questi stessi anticorpi potranno essere utilizzati come strumento per l’identificazione di nuovi antigeni per velocizzare lo sviluppo di vaccini contro il SARS-CoV-2. "Il nostro obiettivo è sempre lo stesso: fare ricerca traslazionale, in grado di produrre risultati utilizzabili a breve termine nell’attività di cura”, sottolinea il direttore scientifico dell’Istituto Spallanzani Giuseppe Ippolito.

La strada, però, è ancora lunga. Il coronavirus è un nemico nuovo che presenta parecchi punti oscuri. Per esempio, non è ancora chiaro agli scienziati in base a che cosa il sistema immunitario risponda meglio o peggio all'infezione. Questo che cosa vuol dire? Che non è detto che un determinato anticorpo prelevato da una persona guarita vada bene per gli altri pazienti affetti da Covid-19. Ci vorranno mesi prima che i ricercatori arrivino a isolare gli anticorpi monoclonali più adatti e a ingegnerizzarli, e solo tra due anni potranno iniziare i primi studi clinici. L'unica speranza è che nel frattempo la pandemia abbia cominciato a rallentare.

Fonte | Fondazione Toscana Life Sciences

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