Coronavirus, che cosa sta facendo la Cina per evitare una nuova ondata di contagi?

Il timore principale di Pechino riguarda i casi importati e per questo motivo è stato vietato l’ingresso nel paese di tutti i visitatori stranieri: la battaglia contro il coronavirus, dunque, non si può ancora dire vinta neanche in Cina. Intanto emergono sospetti sul fatto che il numero delle vittime a Wuhan sia di gran lunga superiore ai dati ufficiali.
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Federico Turrisi 30 Marzo 2020
* ultima modifica il 22/09/2020

Mentre Covid-19 imperversa nel resto del mondo, in Cina il peggio sembra passato: oggi le nuove Wuhan si chiamano Bergamo, Madrid, New York. Le rigide misure di contenimento adottate da Pechino per limitare al massimo il contagio sono state allentate in tutto il paese, perfino nella provincia di Hubei, la più colpita con 3.182 vittime confermate (sui dubbi riguardo alle statistiche ufficiali torneremo fra poco). A Wuhan invece, epicentro da cui è partito il nuovo coronavirus, il blocco è stato prolungato fino all'8 aprile.

La tv di stato cinese ha comunque mostrato immagini della stazione centrale di Wuhan con centinaia di passeggeri che scendono dai treni e che vengono salutati all'arrivo da parenti e amici in lacrime: è concesso solo rientrare nella città, mentre i treni in partenza sono ancora fermi. Sono immagini che fanno pensare al meglio, che forse la tempesta è passata. Non è proprio così.

Quello che spaventa di più il governo cinese in questo momento sono i casi importati, ossia le persone risultate positive provenienti dall'estero. Se da una parte la trasmissione interna è stata infatti quasi del tutto annullata con meno di 3 mila casi domestici ancora attivi e solo 6 nuove segnalazioni nell'ultima settimana, dall'altra si registrano complessivamente quasi 700 casi importati.

Pertanto, la Cina ha deciso di correre ai ripari e stabilito il divieto di ingresso a tutti i cittadini stranieri (fatta eccezione per i diplomatici), anche se in possesso di visti o permessi di soggiorno. Il provvedimento è stato reso necessario "a causa della rapida diffusione di Covid-19 nel mondo", ha sottolineato il ministro degli esteri cinese Wang Yi. Inoltre, il paese ha imposto una stretta ai voli (solo uno a settimana per ciascuna compagnia e con il divieto di non oltrepassare il 75% dei passeggeri consentiti a bordo), anche se le compagnie aeree già avevano sospeso autonomamente la quasi totalità dei voli.

Per scongiurare il pericolo di una seconda esplosione di infezioni il governo "intensificherà ancora di più gli sforzi per prevenire i casi locali sporadici ed i casi importati, attraverso gli opportuni rilevamenti, il trattamento rapido e controlli e prevenzione precisi", ha assicurato Mi Feng, portavoce della commissione sanitaria nazionale di Pechino.

Insomma, la Cina tiene bene gli occhi aperti sull'emergenza coronavirus. Ormai è considerata da molti come un modello perché è riuscita con misure draconiane e con un sistema di contract tracing anche fin troppo invasivo – alcuni parlano di una autentica sorveglianza di massa, a rimarcare il fatto che la Cina è pur sempre un regime autoritario – ad evitare un'impennata di contagi e una conta delle vittime ancora più drammatica.

Ma sui numeri qualcosa non torna: è il dubbio sollevato dal quotidiano cinese Caixin. Le statistiche ufficiali parlano di 3.304 morti in Cina, di cui 2.535 nell'area metropolitana di Wuhan. Si teme tuttavia che le vittime possano essere molte di più. Negli ultimi giorni nelle agenzie funebri di Wuhan, aperte solo da poco, dopo la quarantena assoluta delle settimane scorse, non è passato inosservato infatti un incessante via vai di persone, e Caixin riporta che in soli due giorni siano state portate 5 mila urne cinerarie nel distretto di Hankou. Inoltre, secondo quanto riferisce Bloomberg, molte famiglie sono state costrette ad aspettare ore prima di ritirare le ceneri dei propri cari e sui social network cinesi come Weibo alcuni utenti sono stati invitati dalle autorità a non esprimere online manifestazioni di dolore per la perdita di una persona.

Non dimentichiamoci che la Cina denunciò con un certo ritardo la presenza del focolaio a Wuhan, dove si registrava un incremento di "strane polmoniti", e che il medico Li Wenliang che fu tra i primi a lanciare l'allarme fu inizialmente redarguito dalle autorità; in seguito è stato riabilitato da Pechino ed è morto proprio a causa del Covid-19. La Cina ha imparato la lezione e adesso riapre le sue città con cautela, stando molto attenta ad impedire un nuovo picco nei contagi. Ma sulla gestione dell'epidemia nella fase iniziale, prima che il coronavirus SARS-CoV-2 si diffondesse in tutto il mondo, e soprattutto sulla trasparenza delle informazioni i punti di domanda rimangono molti.

Fonte | BBC News, Adnkronos

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