Coronavirus cinese: il tempo di incubazione potrebbe essere più breve

Invece che 14 giorni, come si pensava fino a questo momento, potrebbe essere di poco più di 5 e comunque non oltre i 12. Sono però numeri da prendere ancora con le pinze, perché si tratta di analisi preliminari e fatte solo su 425 pazienti degli oltre 7mila contagiati. La buona notizia però è che iniziamo a conoscere un po’ meglio il 2019-nCoV.
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Giulia Dallagiovanna 30 Gennaio 2020
* ultima modifica il 22/09/2020

Mentre i giorni passano e aumentano i contagi, oltre 7mila al momento con 170 persone decedute, iniziamo anche a conoscere qualcosa in più di questo nuovo Coronavirus partito dalla Cina e arrivato anche in Europa. E una notizia importante è quella pubblicata ieri sul New England Journal of Medicine, dedotta dall'analisi dei primi 425 casi di pazienti infetti confermati agli inizi di gennaio: il tempo di incubazione potrebbe essere più breve di quello che si è pensato finora. Nello specifico, sembra che in media siano trascorsi circa 5 giorni dal momento del contatto con l'agente patogeno a quando si sono manifestati i primi sintomi. Non solo, ma il 95% dei malati presi in esame non aveva superato i 12,5 giorni. Insomma, un po' meno rispetto ai 14 che si era pensato fino ad oggi.

E ora che abbiamo davanti qualche dato, cerchiamo di capire come leggerlo e perché è importante. Prima di tutto, è una cosa positiva. Significa che il 2019-nCoV ha un po' meno tempo per fare danni, perché la persona dovrebbe accorgersi prima di aver manifestato i sintomi tipici e recarsi prima al pronto soccorso. Si tratta però di un'analisi che, seppur tra le più ampio che è stato possibile realizzare fino a questo momento, prende in considerazione solo una 16esima parte di tutti i casi confermati e quindi non può ancora essere preso come un dato definitivo. Per questa ragione, se sei appena tornato da un viaggio in Cina o se qualcuno che conosci si è dovuto recare nel Paese per una qualsiasi ragione non potete essere considerati fuori pericolo fino a quando non sono trascorse le due settimane. E con "pericolo" si intende di aver contratto l'infezione anche senza saperlo e di poterla trasmetterla a qualcun altro.

Sembra inoltre che la velocità di diffusione abbia leggermente rallentato, ma sono tutti dati provvisori ed elaborati sui primi 425 pazienti confermati

Anche perché ora non ci sono davvero più dubbi: il passaggio da uomo a uomo è provato e si è verificato già dalla seconda metà di dicembre, cioè da quando si iniziava vagamente a sospettare che forse, chi lo sa, in Cina c'era un focolaio di polmonite virale in atto. In altre parole, da subito. Per fortuna però il governo della Repubblica popolare ha attuato le misure necessarie per contenere l'epidemia. Non possiamo sapere con certezza che tutto quanto dichiarino di fare sia una realtà e ed è già arrivata qualche testimonianza di persone che sono riuscite ad entrare ed uscire da Wuhan. Ma forse si tratta dell'eccezione che conferma la regola perché l'aver trasformato la megalopoli da 11 milioni di abitanti di una città deserta ha dato i suoi risultati: la diffusione del virus sembra aver rallentato, anche se di pochissimo. Di nuovo, è un dato preliminare e al momento non puoi ancora fare a meno della prevenzione, soprattutto se dovesse emergere un primo caso confermato anche in Italia.

Ci sono poi altri dati un po' più tecnici sul Coronavirus cinese, ma questa volta arrivano da The Lancet. Il 2019-nOcV non è la SARS, o meglio, non è quella che aveva provocato l'epidemia tra il 2002 e il 2003. Lo si sospettava già, ma ora è arrivata la conferma. È vero infatti che assomiglia per l'88% a due virus simili alla SARS, ma si intende quella che colpisce i pipistrelli, cioè i serbatoi naturali dei Coronavirus. Quelli che insomma li immagazzinano e se li portano in giro per un po', fino a quando questi non riescono ad attaccare un'altra specie e ad arrivare fino all'uomo. A questo punto, però, il nuovo virus è risultato simile "solo" per il 79% alla Sindrome respiratoria acuta grave che tanto aveva spaventato meno di una ventina di anni fa (e per il 50% alla MERS, l'altro parente illustre). Dal cugino più famoso possiamo però imparare qualcosa, dal momento che usa lo stesso canale, cioè lo stesso recettore, per infettare le cellule dell'essere umano.

Infine, le cure. Come ben saprai, non ne esistono di specifiche perché si continua a saperne troppo poco di questo nuovo nemico per poter mettere a punto delle armi mirate. Sembra però che quelle di supporto usate di norma contro l'influenza classica funzionino abbastanza, almeno come supporto. E questo è già un discreto punto di partenza. Perciò niente panico, solo attenzione.

Fonti| "Early Transmission Dynamics in Wuhan, China, of Novel Coronavirus–Infected Pneumonia", pubblicato su The New England Journal of Medicine, il 29 gennaio 2020;
            "Epidemiological and clinical characteristics of 99 cases of 2019 novel coronavirus pneumonia in Wuhan, China: a descriptive study", pubblicato su The Lancet il 30 gennaio 2020;
            "Genomic characterisation and epidemiology of 2019 novel coronavirus: implications for virus origins and receptor binding", pubblicato su The Lancet il 30 gennaio 2020

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