Coronavirus in Italia: il primario di Malattie Infettive del San Raffaele ci spiega cosa cambia

Dopo che l’Italia ha dichiarato lo stato d’emergenza e l’Oms quello di emergenza globale, è normale avere paura. Nei pronto soccorsi ci si aspetta infatti un notevole aumento degli accessi a partire da questo weekend. Abbiamo allora chiesto al professor Adriano Lazzarin di aiutarci a capire quale rischio concreto esista ora che sono emersi due casi di Coronavirus a Roma.
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Giulia Dallagiovanna 31 Gennaio 2020
* ultima modifica il 22/09/2020
Intervista al Dott. Adriano Lazzarin Primario del reparto di Malattie Infettive, presso l'Ospedale San Raffaele di Milano

È ufficiale, il Coronavirus partito dalla Cina è arrivato anche in Italia. Sono due al momento i casi accertati a Roma, ma ci sono altre 12 persone sotto osservazione ed è probabile che nei prossimi giorni il numero dei contagi aumenti. Non è una sorpresa, anzi. Si tratta di un rischio noto da tempo e il nostro Paese è pronto ad affrontarlo, grazie a una rete di controlli capillare già attivata. La stessa che ha permesso di individuare subito i turisti cinesi malati e di isolare anche tutti i compagni di viaggio, ora ricoverati presso l'Istituto Nazionale per le Malattie infettive Spallanzani di Roma.

Intanto però il Consiglio dei ministri ha deciso di dichiarare lo stato d'emergenza e questa espressione ti avrà sicuramente spaventato. Tanto che all'Ospedale San Raffaele, tra i centri che fanno parte della rete lombarda per affrontare questa emergenza, si aspettano già un aumento dell'accesso al pronto soccorso durante il weekend. Abbiamo quindi parlato con il professor Adriano Lazzarin, primario del reparto di Malattie Infettive, per capire cosa dobbiamo aspettarci a questo punto.

Professor Lazzarin, dopo i due casi di contagio accertati a Roma, quanto è alto il rischio che si verifichi un'epidemia anche in Italia?

Al momento, non è possibile quantificare. Rispetto alla situazione precedente, ovvero di nessun caso accertato in Italia, questo è un cambiamento radicale. Però si è verificato quello che sapevamo già sarebbe potuto accadere. Il problema è che questi due contagi rappresentano la punta di un iceberg: speriamo che alla base non si trovi nulla, ma risulta invece più probabile che il virus abbia contagiato qualcun altro.

"Il panorama è meno rassicurante, ma non deve spaventare"

Come infatti è ormai noto che il nuovo Coronavirus si trasmetta da uomo a uomo e anche questi due turisti di Wuhan lo avranno probabilmente contratto per questa via e quindi sono in grado di trasmetterlo. Da quando è iniziato il loro viaggio hanno quindi potuto passarlo ad altre persone, in particolare quelli che si trovavano sul pullman assieme a loro e che ora sono sotto osservazione presso l'Istituto Spallanzani. Se questi dovessero risultare negativi ai test, allora la situazione sarebbe molto più tranquilla, perché è molto improbabile che vi possa essere contagio in rapporti occasionali, cioè con i negozianti o con persone incontrate per caso. Se però oltre ai due noti dovessero emergere altri casi, il panorama diventerebbe abbastanza inquietante.

Va poi ricordato che in questi giorni si sono registrati ingenti movimenti, per esempio per il Capodanno cinese. Soggetti che hanno partecipato a feste, cioè situazioni con grande assembramento di gente e che possono creare una miscela esplosivo per quanto riguarda la diffusione di un virus.

Ma una grande città, come Roma o Milano, quali misure possono adottare per evitare lo scoppio di un'epidemia?

È importante sottolineare che le Istituzioni e le reti di assistenza sanitaria stanno, a mio parere, affrontando la situazione nel modo corretto, sia a livello italiano che europeo. A Milano è già noto da tempo il rischio che possa emergere un caso accertato. La regione Lombardia ha messo a punto le misure corrette e ha istituito percorsi appositi: il medico di famiglia o di pronto soccorso che si trova di fronte a un paziente sospetto, lo deve inviare a Pronto Soccorsi di Ospedali con una divisione di Malattie Infettive dove rimarrà in isolamento e potrà sottoporsi a tutti i test. Bisogna poi ricordare che, anche se la diffusione è molto rapida, il tasso di mortalità si aggira attorno al 3%, quindi il rischio di un decesso non si prospetta per tutti i malati.

Di fronte al pericolo, il rigore delle misure cautelative è inevitabile e corretto, ma non deve spaventare. Anche per quanto riguarda i due casi di Roma dobbiamo rimanere tranquilli per ora. Certo, non sapevano ancora di essere malati quindi non hanno indossato guanti e mascherine nel loro viaggio, però questo non significa per forza che da ciò partirà un focolaio epidemico anche in Italia. Anche la SARS aveva superato i confini della Cina, ma non si era trasformata in un'epidemia globale.

L'Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato l'emergenza globale e l'Italia si è allineata decretando lo stato d'emergenza. Questo cosa significa nel concreto per la popolazione?

Dire che non cambi nulla rispetto a prima non è giusto, però non dobbiamo nemmeno farci prendere dal panico. L’avere messo in quarantena l’intera città di Wuhan è stato logico per l’elevato numero di casi accertati, ma non lo è per altre città come Roma o Milano di fronte a singoli casi sporadici. Quindi si tratta di organizzare le strutture ospedaliere e in modo che siano pronte a gestire l'aumento dell'afflusso al pronto soccorso. Ci si aspetta infatti che durante il weekend si presenteranno numerose persone con sintomi simili a quelli del nuovo Coronavirus, ma che non posseggono invece le due caratteristiche principali e cioè una malattia polmonare grave o la febbre alta e un viaggio recente nelle zone a rischio, soprattutto a Wuhan e nelle provincia di Hubei.

Per riceverli servono quindi professionisti che siano in grado di visitare ogni caso con la giusta attenzione e fare in modo che nessuno rimanga con la paura di aver contratto il virus. Il colloquio diretto tra il cittadino e l'organismo di salute pubblica è al momento la via più indicata da seguire.

In questi giorni è poi circolata la notizia che in alcuni ospedali cinesi venissero usati farmaci per l'HIV per rendere il virus meno contagioso. È corretto?

No, non è così ed è sbagliato veicolare l'informazione che sia stata trovata una sorta di cura, perché il rischio è quello di abbassare il livello di guardia. I farmaci che si utilizzano contro l'HIV sono tanti e tra questi ci sono anche gli analoghi nucleosidici. Non ci sono dati riproducibili che consentano di dare questa indicazione. In laboratorio un nuovo analogo nucleoside si è dimostrato efficace, ma sui topi.

Per quanto riguarda il Ritonavir, che ha la funzione di inibire alcuni enzimi che permettono al virus di replicarsi, non è escluso che possa funzionare anche contro il 2019-nCoV umano, ma deve ancora essere dimostrato con certezza prima di poterlo affermare.

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