Coronavirus: quali difficoltà stanno vivendo i medici negli ospedali? Ce lo racconta il dottor Palermo

Sono oltre 10 anni che le associazioni denunciano il grave problema della carenza dei medici e dei tagli ai posti letto. Ed è in questa situazione che si ha trovato l’epidemia di Coronavirus. Il risultato? Terapie intensive quasi sature, personale sanitario che sostiene turni infiniti e mascherine e dispositivi di protezione che mancano.
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Giulia Dallagiovanna 6 Marzo 2020
* ultima modifica il 23/09/2020
Intervista al Dott. Carlo Palermo Segretario nazionale di Anaao-Assomed (Associazione dei medici e delle dirigenze sanitarie)

Negli ospedali italiani, in questo preciso momento, mancano 8mila medici, 36mila infermieri e 2mila tra biologi, chimici e farmacisti. Ma c'è carenza anche di fisioterapisti e altri operatori sanitari. Non solo, dai primi anni 2000 a oggi sono stati tagliati circa 70mila posti letto, il 30% del totale. Ed è in questa situazione che ci ha trovati l'epidemia di Coronavirus scoppiata il 21 febbraio.

Un'infezione che ha colpito tutti, compreso chi stava in corsia e, senza Dispostivi di protezione individuale (DPI) a disposizione, si è trovato ad assistere pazienti che avevano contratto il virus. Non c'è stato cioè un adeguato rifornimento di mascherine, soprattutto le ormai famose FFT2 e le FFT3, di sovracamici, di occhiali e di visiere per evitare la trasmissione intraoculare.

Eppure è proprio durante questa crisi che sta emergendo in modo chiaro e inequivocabile la fondamentale importanza di avere un servizio sanitario pubblico e nazionale sul quale fare affidamento. Come ci ha ricordato il dottor Carlo Palermo, segretario nazionale di Anaao-Assomed, l'Associazione dei medici e delle dirigenze sanitarie.

Dottor Palermo, quali difficoltà concrete affrontano i medici e il personale sanitario in questo momento?

Prima di tutto, dobbiamo renderci conto che stiamo parlando di una categoria che è già ai limiti della capacità di risposta, al di là dell'emergenza. In queste settimane il personale sanitario sta reagendo con un alto senso di responsabilità, di servizio, ma anche di abnegazione. Sono saltati i riposi notturni e anche quelli settimanali. Ci sono colleghi che lavorano fino a 48 ore di seguito e altri che vanno in ospedale per 20 giorni consecutivi. Oltretutto, con il rischio di venire infettati, entrando in contatto con pazienti che hanno contratto il Covid-19. Nelle zone più colpite, circa il 12% dei medici è già risultato positivo.

E questo a causa della carenza di Dispositivi di protezione individuale?

Esatto. Capisco benissimo che le aziende sanitarie siano state colte di sorpresa e si siano trovate in difficoltà durante i primi giorni, ma ora non si può più tollerare nessun tipo di ritardo. Bisogna assolutamente garantire il rispetto delle direttive che arrivano dall'unità di crisi e dal Ministero della Salute, altrimenti come sindacato saremo costretti a segnalare la questione anche ai Nas.

Sembra che siano esauriti…

I Dispositivi di protezione individuale devono venire assicurati, non si può transigere su questo punto. Non si tratta di rifornimenti di materiale per un'industria manifatturiera, ma della necessità di garantire la tutela della propria salute a chi è in prima linea. Lasciare che un medico o un infermiere si infettino significa bloccare l'intero servizio perché queste persone dovranno andare in quarantena. E il personale non ha sulle spalle solo il peso dei pazienti affetti da nuovo Coronavirus, ma anche quello delle attività ordinarie. Pensiamo ad esempio ai malati oncologici che devono fare la chemioterapia o a chi si deve sottoporre a un intervento chirurgico complesso e rischiano di vedersi negata la possibilità per mancanza di posti o carenza di personale.

"I dispositivi di protezione devono essere assicurati, non si può transigere su questo punto"

Come Anaao abbiamo pubblicato un comunicato il 24 febbraio, dopo essere stati subissati di proteste da parte di medici da tutta Italia e soprattutto da quelli che lavorano nei pronto soccorsi e nei reparti di Medicina Interna. Per fortuna anche i cittadini ci hanno aiutato, capendo che, quando avevano il sospetto di aver contratto il virus, dovevano rimanere a casa e chiamare il 112.

Secondo lei, non avremmo dovuto prepararci prima al possibile arrivo del Coronavirus?

Il problema è: su quale base? Non sapevamo se sarebbe arrivato, né da dove. I provvedimenti che erano stati presi al livello nazionale sono stati utili per ridurre il pericolo di diffusione, ma non è detto che si possa avere una salvaguardia totale. Può sempre sfuggire qualcosa.

Penso che la risposta italiana abbia un grande merito, cioè quella della trasparenza. E mi riferisco al numero dei casi positivi, alla quantità di tamponi effettuata e alle misure di contenimento adottate. Tutto ciò ha sicuramente fatto emergere una casistica più ampia, ma è quella che verosimilmente corrisponde alla realtà e che ci ha permesso di delineare le aree epidemiche. Su questo punto non sarei particolarmente negativo. Certo, questa emergenza si abbatte su un sistema sanitario che aveva già il fiato corto.

In che senso?

Negli ultimi anni siamo stati sommersi dai tagli, sia al personale che ai posti letto. L'epidemia, che colpisce soprattutto in un territorio ristretto e concentrato, ha portato a una rapida saturazione delle terapie intensive e infatti il Ministero della Salute è dovuto intervenire con un provvedimento.

Quello che dobbiamo fare ora è evitare un picco molto elevato di casi in un arco temporale ristretto, per non arrivare al punto di non sapere più dove mettere i pazienti. L'epidemia deve raggiungere un andamento più lento, con un picco più basso e meglio distribuito, anche se poi i numeri rimangono uguali. Le misure di isolamento sociale che governo e regioni hanno varato servono proprio a questo.

Quali altre soluzioni esistono, oltre a quelle già attuate?

Bisogna aumentare la capacità di risposta da parte del servizio sanitario, coinvolgendo anche il privato che per ora è rimasto un po' a margine, ma non può non venire considerato di fronte a un'emergenza di questo tipo. In Lombardia, ad esempio, ci sarebbero anche posti di rianimazione.

"Abbiamo proposto di assumere subito 2mila medici e 5mila infermieri"

Inoltre, abbiamo proposto di avviare delle selezioni di personale rapidissime per assumere almeno 2mila medici e circa 5mila infermieri. Sarebbe una prima risposta tampone alle difficoltà che gli ospedali stanno vivendo.

Tornando alle misure di contenimento dell'epidemia, le trova quindi adeguate?

Assolutamente sì. Non ci sono vaccini, né terapie virali. I cittadini devono sapere che questa è l'unica arma che abbiamo a disposizione per frenare la diffusione del Coronavirus. Queste disposizioni sono la nostra chance di rallentare l'epidemia e diluirla nel tempo, perciò le dobbiamo seguire, con responsabilità e disciplina. Una partita di calcio può essere recuperata, le vite perse no.

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