Covid-19: a Wuhan ospedali sovraffollati e pazienti respinti, potrebbe accadere in Italia? Risponde l’Infettivologo

Pochi giorni fa è morto un regista cinese molto famoso assieme alla famiglia intera: dopo che il padre era stato respinto da un ospedale per mancanza di letti liberi aveva trasmesso l’infezione a tutti gli altri. Una donna di 57 anni non è invece riuscita ad accedere alla dialisi ed è deceduta per insufficienza renale. Questo pericoloso ingorgo potrebbe verificarsi anche in Italia?
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
Giulia Dallagiovanna 20 Febbraio 2020
* ultima modifica il 22/09/2020
Intervista al Dott. Andrea Gori Direttore dell'unita operativa complessa di Malattie Infettive del Policlinico di Milano

Ne hai sentito parlare più o meno verso la fine di dicembre: in Cina una strana polmonite virale aveva contagiato già una cinquantina di persone e non si trovavano in buone condizioni. Ma non te ne sarai occupato più di tanto fino a quando non è emerso con certezza che si trattava di una nuova epidemia, provocata da un virus della stessa famiglia della SARS. Oggi, del nuovo Coronavirus e dell'infezione che provoca, battezzata Covid-19 dall'Organizzazione mondiale della sanità, saprai praticamente tutto. O comunque sarai al corrente di ogni informazione che è stato possibile divulgare.

Saprai ad esempio che i primi sintomi della malattia sono la tosse o la congiuntivite, a volte qualche starnuto e molto spesso la febbre. Se poi subentrano complicazioni potresti arrivare a soffrire di insufficienza respiratoria e, infine, anche a morire. E sarà questa la parte che, per ovvie ragioni, ti farà più paura. Su Ohga te lo abbiamo spiegato spesso: il tasso di letalità del Covid-19 è, per il momento, è fissato al 3%, mentre per la SARS era tre volte tanto. Insomma, è preoccupante, ma non al punto di giustificare la psicosi che si è diffusa durante le scorse settimane.

L'elevata contagiosità e la rapidità di diffusione del nuovo Coronavirus sono parte del pericolo

C'è però un aspetto che fino a questo momento non era ancora stato approfondito più di tanto: la sua elevata contagiosità e la sua capacità di arrivare a colpire oltre 75mila persone nel giro di meno di due mesi, 62mila solo nella provincia di Hubei. Immaginati una popolazione grande quanto una piccola città di provincia che si ammala in contemporanea e inizia a prendere d'assalto gli ospedali. Le strutture sono, quanto meno, colte alla sprovvista, sia dai numeri che dalla nuova infezione. E all'esterno, l'intera città è isolata e deserta, i mezzi pubblici sono fermi e sempre nuovi malati provano a entrare nei pronto soccorsi già straripanti di pazienti. Non sarà anche questo ingorgo parte dei pericoli insiti in questa nuova epidemia?

Il 19 febbraio, come riporta il sito di news finanziarie Caixin, è morto il regista cinese Chang Kai, di 55 anni, e tutta la sua famiglia. Casa sua era diventata un piccolo focolaio dell'epidemia da quando il padre anziano era stato respinto da uno degli ospedali della megalopoli, nonostante avesse contratto il virus. MedicalFacts aveva invece raccontato del decesso una donna di 57 anni. Lei però non aveva il Coronavirus: soffriva da anni di insufficienza renale cronica e doveva sottoporsi periodicamente a dialisi. Anche per lei però non c'era posto nei reparti sovraffollati delle strutture cittadine, impegnate ad affrontare l'emergenza. E chissà quante ne esistono di queste storie.

Ecco perché abbiamo chiesto al professor Andrea Gori, direttore dell'unita operativa complessa di Malattie Infettive del Policlinico di Milano, di spiegarci se anche in Italia, in caso di epidemia, correremmo un rischio simile. E in realtà, le sue risposte ti rassicureranno.

Professor Gori, come mai il tasso di letalità per ora sembra più elevato a Wuhan rispetto al resto della Cina e del mondo?

L'andamento epidemico e la diffusione dell’epidemia nella regione di Wuhan sono diversi rispetto a tutti gli altri focolai epidemici sparsi nel resto del Paese. E questo è evidente. Ma per capire le cause di questa differenza bisogna andare un po' più a fondo.

Una ragione potrebbe essere, ad esempio, la diffusione talmente improvvisa ed eclatante di questa infezione, al punto da aver rivoluzionato il sistema sanitario cinese. In questo senso, si dovrebbe tenere separata la situazione di Wuhan dalle altre, a mio avviso. È diverso gestire tre persone, come stiamo facendo in Italia, e avere a che fare con oltre 60mila pazienti: difficilmente si potrà garantire un'assistenza meticolosa e impeccabile a tutti.

"Bisognerebbe separare la situazione di Wuhan rispetto agli altri focolai"

Un secondo fattore, invece, è che il virus si è diffuso in maniera molto rapida fin dall'inizio ed è possibile che sia arrivato a toccare le fasce più deboli della popolazione. Dovremmo poter capire e analizzare quali sono le caratteristiche delle persone che sono morte, perché toccando i soggetti più a rischio è probabile che il tasso di letalità risulti maggiore.

In Italia correremmo un rischio simile in caso di epidemia?

Noi siamo in grado di far fronte in maniera molto diversa a una possibile epidemia. Abbiamo una serie di infrastrutture che sono in grado di gestire questo tipo di emergenze. Mi riferisco a una rete di unità di Malattie Infettive sull'intero territorio italiano che in Cina non esiste: strutture adeguate, organizzate e tecnologicamente avanzate, ma anche personale formato proprio per affrontare un'eventuale diffusione del virus.

Naturalmente molto dipende dall’estensione reale della pandemia e in questo momento l'Italia si trova in una condizione completamente differente. Ma la rete italiana di Malattie Infettive è una eccezionalità. Funziona molto bene e all'estero stanno iniziando a copiarla.

Cos'ha l'Italia di diverso rispetto ad altri Paesi dell'Unione europea?

In Italia ci sono le figure dei medici Infettivologi e veri e propri reparti di Malattie Infettive, costruiti negli anni ’90 in seguito a una precisa disposizione dello Stato. Solo in regione Lombardia se ne trovano 16 e sono stati pensati per far fronte a fenomeni epidemici e di emergenza.

All’estero invece, ad esempio in Francia o nel Regno Unito, non ci sono reparti, ma solo aree della Medicina Interna dedicate ai pazienti contagiosi. Questo ci pone in una situazione di assoluto privilegio nella gestione di questi fenomeni.

Le informazioni fornite su www.ohga.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.