Covid-19 meno grave rispetto a marzo? Il professor Clementi: “Il virus si replica meno, forse si sta adattando all’uomo”

Un nuovo studio del San Raffaele di Milano aveva spinto il primario di Anestesia e Rianimazione Alberto Zangrillo a sostenere che il virus “clinicamente non esiste più”. Dai risultati dello studio coordinato dal professor Massimo Clementi, direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia dell’ospedale milanese, Sars-Cov-2 si starebbe replicando meno rapidamente. Secondo Clementi ciò potrebbe dipendere dal caldo e dall’aumento dell’irraggiamento ultravioletto ma, forse, anche da una maggior capacità di convivenza tra l’uomo e il virus.
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Kevin Ben Alì Zinati 4 Giugno 2020
* ultima modifica il 23/09/2020
Intervista al Prof. Massimo Clementi Direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia all'IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e professore ordinario di Microbiologia e Virologia all’Università Vita-Salute del San Raffaele di Milano

Il Coronavirus “clinicamente non esisterebbe più”. Così il dottor Alberto Zangrillo, primario di Anestesia e Rianimazione dell'Ospedale San Raffaele di Milano ha scombussolato l’opinione pubblica e agitato il mondo scientifico nazionale. La convinzione di Zangrillo nasce dalla constatazione che la Covid-19, la malattia conseguente l’infezione da virus, oggi non sarebbe più così grave come era stata nei primi momenti della pandemia: la percentuale dei pazienti che necessitano di intubazione non sarebbe più così alta e le terapie intensive sarebbero sempre più vuote. Da qui, nel giro di poche ore si sono alzate le interpretazioni più varie, chi parlava di una mutazione di Sars-Cov-2 fino a chi ne annunciava la definitiva scomparsa. La tesi di Zangrillo prende avvio da uno studio italiano realizzato dal San Raffaele e coordinato dal professor Massimo Clementi, direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia del San Raffaele. Lo studio, che è in via di pubblicazione sulla rivista Clinical Chemistry and Laboratory Medicine, avrebbe dimostrato una capacità replicativa più bassa del virus. Insieme al professor Clementi abbiamo ripercorso i risultati per cercare di fare maggior luce sui nuovi recenti dubbi connessi alla pandemia.

Professor Clementi, che cosa sta succedendo al Coronavirus?  

La prima ipotesi virologica a cui abbiamo pensato per rispondere alle evidenze di una Covid-19 meno forte avrebbe potuto essere la circolazione di una variante virale, di una mutazione del virus che però non abbiamo trovato. Così abbiamo cambiato approccio e abbiamo orientato la nostra indagine sull’analisi della virulenza del patogeno. La virulenza riflette più fattori che conferiscono a un virus la capacità di produrre un danno o alle cellule in vitro o all’ospite in vivo: uno dei più importanti è la capacità replicativa o adattamento replicativo. La fortuna è stata che la nostra istituzione si è mossa fin subito organizzando una bio-banca di tutti i campioni clinici di tutti i pazienti ricoverati. Perciò abbiamo indagato se in due periodi lontani fra loro, i primi 15 giorni di marzo, in piena epidemia crescente in Lombardia, gli ultimi 15 del mese di maggio si poteva osservare una variazione della virulenza. E le differenze che abbiamo osservato sono state sconvolgenti.

In che senso? 

La carica virale ritrovata nei casi, pur positivi, di maggio è stata notevolmente inferiore a quella di marzo. Ciò significa che il virus replica meno e le infezioni hanno una carica virale minore. Abbiamo sentito anche diversi colleghi in altri paesi che ci hanno confermato lo stesso risultato.

Da cosa potrebbe dipendere questa minor virulenza? 

Non lo sappiamo con certezza, abbiamo delle ipotesi. La prima è che il lockdown abbia avuto un ruolo importante: i pazienti si infettano già in partenza con un carica inferiore, favorita dal distanziamento sociale. Questo però non può spiegare tutto perché i tamponi vengono effettuati dopo 10 giorni dall’arrivo del virus nel paziente e c’è dunque un tempo di latenza lungo. La seconda potenziale ragione potrebbe essere la stagionalità. Questi virus risentono del caldo e dell’irraggiamento ultravioletto che aumenta durante i mesi estivi. Tutti gli altri parenti e cugini di questo Coronavirus che causano raffreddore, per esempio, compaiono d’inverno e scompaiono in estate. Infine, c’è l’ipotesi che mi piacerebbe di più, se venisse confermata. E cioè che il virus si stia adattando al nuovo ospite, l’uomo, attraverso un processo di coevoluzione.

Significa, quindi, che forse stiamo imparando a convivere con Sars-Cov-2?

Potrebbe essere una sorta di adattamento reciproco per cui il virus sta imparando a vivere dentro di noi e noi con lui. È un meccanismo molto diffuso nei virus dell’uomo ma che, tendenzialmente, richiede molto più tempo. È successo con il virus influenzale che ha causato l’ultima pandemia, l’H1N1. Si trattava di un patogeno contagiossisimo e con una letalità abbastanza elevata. Lentamente si è diffuso nel mondo ma con la stessa velocità si è svuotato di potenziale patogeno, tant’è che oggi si mescola agli altri virus influenzali stagionali e non ci preoccupa più del necessario.

E l’adattamento all’uomo a cosa potrebbe essere dovuto?

Al primo arrivo nell’organismo, il virus è un killer perché non conosce l’ospite e replica in maniera elevatissima. La vita del virus era più problematica nella seconda parte, quella in cui induceva nell’organismo la famosa tempesta citochinica, una risposta troppo elevata da parte del sistema immunitario. Oggi, invece, sembra che questo processo non si inneschi più. Il virus replica meno perché non c’è più la tempesta di citochine oppure replica meno e quindi innesca meno la tempesta. Dobbiamo ancora capire qual è la base molecolare di questo adattamento ma in entrambi gli scenari, alla base di tutto, c’è la minore replicazione.

Nel caso di una convivenza favorevole tra noi e il virus, il vaccino sarà comunque necessario? 

È impossibile dirlo ora, anche perché ci sono malattie per cui ci vacciniamo nonostante il fatto che non tutti i soggetti infettati sviluppano la malattia. Come nel caso dell’epatite A, per cui su 10 soggetti infettati, solo 1 si ammala e 9 restano sani. O come per la poliomielite: ci siamo vaccinati per decenni ma la maggior parte delle persone che si infettavano sviluppavano un’infezione intestinale e non del sistema nervoso centrale. Ma un infetto su 10 si considerò una cifra comunque inaccettabile e si decise così di vaccinare a tappeto. Nel caso del “nostro” virus, quindi, dipenderà da quanto sarà grave e diffusa la malattia, serviranno altre e numerose valutazioni epidemiologiche.

Torniamo alla seconda ipotesi. Se il virus fosse strettamente legato alle stagionalità, con l’arrivo dell’autunno dovremo aspettarci una seconda ondata di contagi?

Non mi sento di rispondere e anche chi risponde sì o no credo che in qualche modo forzi un po’ la propria opinione. Non so se succederà. Sars-Cov-1 circolò fino a giugno e poi scomparve. Quando spiego i coronavirus, agli studenti che mi chiedono dove è andato rispondo che non so rispondere. In altri casi, invece, i virus si sono modificati e convivono con noi, dandoci solo qualche fastidio o qualche malattia un po’ più grave. Al momento, lo scenario è imprevedibile.

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