Creato il primo embrione di topo sintetico, il dott. Amadei: “Può rispondere anche a tante domande sulla gravidanza umana”

Pubblicato sulla rivista Nature, lo studio a metà tra il Caltech e l’Università di Cambridge potrebbe aiutare la scienza a velocizzare i tempi della ricerca limitando l’utilizzo di cavie nelle sperimentazioni animali. I risultati tuttavia aprono anche prospettive interessanti sullo studio dell’infertilità e dello sviluppo di un embrione umano.
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Kevin Ben Alì Zinati 9 Settembre 2022
* ultima modifica il 09/09/2022
In collaborazione con il Dott. Gianluca Amadei Assegnista di ricerca presso l’Università di Padova, dipartimento di Biologia e precedentemente postdoc all’Università di Cambridge.

Ad una prima occhiata le differenze potevano apparire poche. Aveva un cuore pulsante e un cervello in formazione. E dopo 8,5 giorni di «vita» si potevano intravedere anche i primi abbozzati contorni di quello che avrebbe potuto diventare in futuro.

L’embrione di topo cui si sono ritrovati di fronte i ricercatori del Calthec di Pasadena, in California, e quelli dell’Università di Cambridge, nel Regno Unito, era però molto diverso da tutti gli altri.

C’era una grande, grandissima differenza a separarli. Quello che tra gli altri stava guardando anche il dottor Gianluca Amadei, assegnista di ricerca presso il dipartimento di Biologia dell’Università di Padova e precedentemente postdoc all’università inglese, non rappresentava il frutto dell’unione di altri due topi.

Era invece il risultato di un processo genetico messo a punto in laboratorio. Ciò che avevano realizzato era il primo embrione di topo con un cuore pulsante e un segmento di cervello creato in modo «sintetico» a partire da tre specifiche cellule staminali.

Qui puoi vedere la comparazione di cui ti stavo parlando prima. L’embrione di topo al giorno 8.5 dello sviluppo embrionale (sopra) e un embrione sintetico al giorno 8 di sviluppo (sotto). Photo credit: dott. Gianluca Amadei.

Descritto in uno studio appena pubblicato sulla rivista Nature, rappresenta il più ambizioso risultato finora raggiunto nel campo della manipolazione genetica e anche un importante ponte verso il futuro.

“Questi sistemi potrebbero aiutarci ad accorciare i tempi della ricerca – ci ha spiegato il dottor Amadei, primo autore dello studio e collaboratore del team della professoressa Magdalena Zernicka-Goetz, una delle pioniere di questo campo – Ma guardando più in là, potrebbero anche offrirci strutture simili all’embrione umano da utilizzare per modellare e studiare tutti i processi relativi a una gravidanza umana o allo sviluppo di un embrione umano”. 

In un lavoro durato più di dieci anni, il gruppo di ricerca internazionale ha sostanzialmente tentato di imitare i processi naturali all’interno di un ambiente controllato come il laboratorio, sviluppando un luogo artificiale ma capace di stimolare le interazioni tra le cellule staminali e indurre l’espressione di un particolare insieme di geni.

“Nella versione più semplice del sistema avevamo una sola cellula staminale, mano a mano abbiamo aggiunto prima un solo altro tipo di cellula staminale e poi anche un terzo. In seguito abbiamo modificato le condizioni ambientali arrivando al risultato di oggi” ha raccontato il dottor Amadei.

Perché proprio tre tipi di cellule staminali? “In preparazione per l’impianto nell’utero, l’embrione si sviluppa in una struttura chiamata blastocisti, costituita da tre tessuti. Da ciascuno di questi si può stabilire una linea cellulare staminale”. L’idea degli scienziati quindi è stata quella di prendere queste tre varietà di staminali che normalmente comporrebbero l’embrione e rimetterle insieme per farli «dialogare» in maniera pseudo-naturale.

L'ambiente costruitogli attorno ha permesso alle cellule staminali effettivamente di crescere e comunicare tra loro fino ad autoassemblarsi in strutture che sono progredite fino a generare «naturalmente» un cuore pulsante e le prime basi del cervello, così come il sacco vitellino dove l’embrione si sviluppa e da cui riceve i nutrienti nelle prime settimane.

Per 8,5 giorni l’esperimento ha avuto successo. “Quello che stiamo portando avanti è un processo molto incrementale – ha continuato il biologo – Tentativo dopo tentativo superiamo un ostacolo che blocca e preclude lo sviluppo, l’embrione procede nel suo percorso ma poi insorge un altro ostacolo e dobbiamo iniziare di nuovo tutto daccapo. Questo ci consente di capire ogni volta di più sui requisiti che consentono lo sviluppo di queste strutture”. 

In questo caso, a non aver funzionato è stata una transizione, uno spostamento che l’embrione di topo «normale» di solito compie intorno al giorno 9 e che nell’esperimento in laboratorio non è avvenuto. “Sappiamo che quando si forma l’embrione di topo «guarda» in direzione opposta rispetto alla placenta e che a un certo punto «si gira» nella sua direzione. Fino ad oggi, quando abbiamo cercato di coltivare strutture embrionali di topo, non abbiamo mai osservato questa transizione”. 

I ricercatori sono dunque arrivati al giorno 8,5 perché è quello in cui l’embrione, fino ad oggi, si è comportato in maniera del tutto naturale e fisiologica, ha precisato Amadei. Il fatto che l’embrione sia «sopravvissuto» meno di 9 giorni non rappresenta quindi un insuccesso. Tutto l’opposto“Questo risultato ci indica che abbiamo raggiunto un nuovo ostacolo al processo e che dobbiamo continuare a lavorare per capire qual sia la chiave successiva in grado di sbloccare questa transizione e far sì che l’embrione possa continuare a svilupparsi”.

Prospettive, ti dicevo prima. Il risultato ottenuto dal gruppo del dottor Amadei potrebbe aprire davvero importanti scenari futuri.

Se ci pensi, riuscire a generare un embrione in laboratorio potrebbe aiutarci a rimpiazzare i topi stessi usati nella ricerca velocizzando i processi di sperimentazione di farmaci o terapie. “Spesso quando vogliamo studiare la funzione di un gene specifico lo rimuoviamo in una linea di topo normale: osservando lo sviluppo di questi animali siamo poi in grado di capire la funzione di quel determinato gene. Questo processo è discretamente lungo e ci vogliono diversi mesi per generare una linea transgenica di topo in grado di rispondere a una domanda sperimentale specifica”. 

Le linee di cellule staminali invece si prestano molto alla manipolazione genetica ed è possibile introdurre modifiche in un arco di tempo più breve. Dominare un approccio simile ci consentirebbe di testare più aspetti in parallelo e più rapidamente. “E magari limitarci a creare una linea di topi vera e propria solo quando siamo certi che ci sia qualcosa di importante da studiare”.

Negli ultimi dieci anni, il gruppo della professoressa Zernicka-Goetz a Cambridge cui si è unito il dottor Amadei si è focalizzato molto sullo studio delle prime fasi della gravidanza e sull’indagare perché alcune di queste falliscono mentre altre hanno successo.

Se un giorno questo modello di embrione di topo funzionasse al 100%, potrebbe anche aiutarci ad ottenere strutture molto vicine a un embrione umano che potremmo utilizzare per studiare tutti i processi relativi a una gravidanza umana.

Con i risultati raggiunti oggi, insomma, i ricercatori hanno «visto e sentito» il dialogo tra i diversi tipi di cellule staminali in quel delicato momento dello sviluppo. In una certa misura hanno intravisto come prende avvio e come potrebbe andare storto.

Ma in un futuro nemmeno troppo lontano, potrebbe regalarci un modo per sbirciare in una fase della vita che ci resta spesso nascosta e capire qualcosa in più sulla nostra natura. “Ora stiamo sognando, ma la strada l’abbiamo intrapresa ha concluso, entusiasta, il dottor Amadei.

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