Dalla leucemia mieloide cronica si può guarire, come spiega il professor Gambacorti-Passerini

Si può avere un’aspettativa di vita normale e le terapie da assumere provocano effetti collaterali limitati. Nella Giornata contro leucemie, linfomi e mieloma vogliamo iniziare con questa nota di speranza molto importante per chiunque abbia ricevuto una diagnosi di questa malattia. E ci siamo fatti aiutare da uno dei massimi esperti.
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Giulia Dallagiovanna 21 Giugno 2020
* ultima modifica il 23/09/2020
Intervista al Prof. Carlo Gambacorti-Passerini Docente di Medicina interna ed Ematologia all’Università degli Studi di Milano-Bicocca, direttore della Scuola di Specializzazione in Ematologia e responsabile dell’Unità Complessa di Ematologia dell’Ospedale San Gerardo di Monza

Dalla leucemia mieloide cronica si può guarire. Si può avere un'aspettativa di vita normale, senza risentire troppo degli effetti collaterali delle terapie, che sono limitati. Ed è con questa nota di speranza che vogliamo celebrare la Giornata contro leucemie, linfomi e mieloma. Perché se è vero che una diagnosi di leucemia può pesare come un macigno per chi la riceve, è anche vero che di questa malattia esistono tante forme diverse. E non per tutte la prognosi è così negativa come potresti aspettarti.

Di leucemia mieloide cronica oggi ci parla uno dei massimi esperti in materia, il professor Carlo Gambacorti-Passerini, docente di Medicina interna ed Ematologia all’Università degli Studi di Milano-Bicocca, direttore della Scuola di Specializzazione in Ematologia e responsabile dell’Unità Complessa di Ematologia dell’Ospedale San Gerardo di Monza.

Professor Gambacorti-Passerini, prima di tutto le chiederei: in cosa si differenzia questa malattia rispetto alle altre forme di leucemia?

Di questa patologia conosciamo con precisione la causa da almeno una cinquantina d'anni. È una traslocazione tra due cromosomi, il 9 e il 22, che ha preso il nome di "cromosoma Philadelphia", perché è stata scoperta nella città americana. Questo vantaggio ha permesso, alla fine degli anni Novanta, di sviluppare farmaci mirati che andassero a bloccare in modo molto selettivo la proteina prodotta dal gene ibrido che si genera proprio durante la traslocazione di cui parlavo.

Il professor Carlo Gambacorti–Passerini. Credits photo: Ufficio stampa Ospedale San Gerardo di Monza

Quindi oggi possiamo combattere la leucemia mieloide cronica?

Non solo, la prognosi della malattia è completamente cambiata. Si è passati da una sopravvivenza attesa di due o tre anni, a un tempo uguale a quello di una persona sana.

Lei ha contribuito allo sviluppo di due di questi farmaci…

Sì, a quello dell'Imatinib e del Bosutinib. Al momento abbiamo a disposizione cinque farmaci in tutto, di cui l'Imatinib è stato il primo e di solito è molto ben tollerato dai pazienti. Ma nel 10 o 20% dei casi in cui le persone non rispondo alla terapia, rimangono altre quattro possibilità per tenere sotto controllo la malattia. Sono pochi i pazienti per cui non si riesce a trovare un medicinale efficace, meno del 5%.

Per quanto riguarda la qualità della vita, quali effetti collaterali possono avere questi farmaci?

Gli effetti collaterali ci sono, ma sono addirittura inferiori a quelli che di solito vengono causati dalla terapia per l'ipertensione, che è una condizione molto più comune. Si può quindi ottenere una qualità della vita assolutamente dignitosa.

È per questo motivo che si parla di guarigione?

Dobbiamo capire cosa si intende con i termini "guarigione" e "cura". Se lo scopo è la scomparsa di ogni cellula leucemica dal corpo, allora dobbiamo sapere che sono pochi i pazienti che oggi vivono questa condizione. Se invece guardiamo al fatto che una persona ha un'aspettativa di vita pari a quella di un individuo sano e deve accettare solo effetti collaterali limitati, allora possiamo parlare di guarigione. Il paziente può vivere una vita normale, ed è questo l'aspetto più importante per un medico.

"Il paziente può condurre una vita normale e questo è l'aspetto più importante"

Tenere monitorata la quantità di cellule leucemiche rimaste è utile come forma di controllo e per decidere un'eventuale sospensione della terapia. Ma non deve essere il fine ultimo delle cure arrivare a “zero cellule”, magari a costo di rischi e tossicità importanti. L'attenzione principale va data al paziente e non al referto delle analisi.

Ci sono farmaci che possono eradicare del tutto la leucemia mieloide cronica?

Sì, ma bisogna anche valutare i possibili rischi. Non ha senso prescrivere un farmaco che ha un rischio di mortalità del 20% per tossicità, solo per avere un referto delle analisi perfetto. Questo è quello che significa curare la persona e non la malattia.

In commercio si trovano farmaci di seconda o terza generazione, che sono stati sviluppati pensando a chi non rispondeva bene all'Imatinib. Si è cercato di inserire questi medicinali anche nella prima linea di cure e di prescriverli a chi aveva appena ricevuto la diagnosi, perché facevano scendere i parametri tumorali più velocemente. Il problema è che non portavano a un miglioramento nella prognosi del paziente, anzi in alcuni casi si assisteva addirittura a un peggioramento, perché gli effetti collaterali erano molto gravi che con l'Imatinib. Purtroppo a volte entrano in gioco anche interessi commerciali.

Con possibilità terapeutiche così promettenti, quanto è importante una diagnosi precoce?

È sicuramente auspicabile, ma non è fondamentale. Una leucemia non è come un tumore solido, che deve essere individuato e trattato il prima possibile, in modo che il chirurgo lo possa asportare. L'approccio a un tumore del sangue è diverso. È  vero che se la malattia viene diagnosticata quando è in una fase iniziale, cioè quella cronica, le possibilità di guarigione sono migliori rispetto a quando si arriva a una fase acuta. Ma queste terapie sono davvero molto efficaci.

Con quali strumenti viene diagnosticata?

I test necessari per una diagnosi in forma precoce richiedono un ago aspirato del midollo osseo o un test di biologia molecolare abbastanza specialistico e che di solito viene eseguito solo negli ospedali che hanno anche un reparto di Ematologia. Non sono quindi facilmente reperibili e, se eseguiti a
tappeto e senza un sospetto clinico, andrebbero comunque a individuare un numero di casi che si aggira, in un anno, tra l'una o le due persone ogni 100mila. È invece molto più importante individuare subito il trattamento più appropriato e gestirlo in maniera ottimale.

Può spiegarmi meglio?

Mi è capitato spesso di visitare pazienti che non erano stati trattati nel modo migliore, magari per una questione di scarsa esperienza del medico rispetto a questa malattia specifica, oppure perché venivano seguiti in ospedali più piccoli. E il problema è che i farmaci che avevano assunto gli avevano procurato gravi problemi di tossicità.

"Non è importante solo il farmaco, ma anche il rapporto tra medico e paziente"

Oppure si erano autosospesi la terapia. Può infatti accadere che il paziente con leucemia mieloide cronica venga un po' trascurato all'interno di un ambulatorio di Ematologia generale, dove si seguono persone che hanno problemi completamente diversi e all'apparenza più gravi. Magari questi lamenta dei crampi muscolari provocati dai farmaci e il medico non lo ritiene un effetto collaterale troppo debilitante, ma se la persona non si sente seguita in modo attento potrebbe pensare che la malattia non sia poi così seria e che possa quindi autoridursi le dosi o addirittura smettere di assumerla, per non avvertire più i dolori, con il risultato di rendere le cellule leucemiche resistenti. Non è importante solo il farmaco giusto, ma anche il rapporto tra il paziente e il medico.

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