Dall’attività fisica all’acido folico: due nuovi potenziali alleati contro l’Alzheimer?

Due recenti studi hanno messo sotto la lente d’ingrandimento due potenziali strumenti contro la forma di demenza più diffusa al mondo. Da un lato l’esercizio aerobico, che contribuirebbe a proteggere dalla malattia, e dall’altro i bassi livelli di vitamina B9 associati – per ora solo statisticamente – a un rischio inferiore di andare incontro alla patologia.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
Kevin Ben Alì Zinati 1 Aprile 2022
* ultima modifica il 01/04/2022

È il disturbo più diffuso del Pianeta visti i 55 milioni di casi nel mondo e i 78 milioni previsti entro il 2030.

Ed è una delle maggiori condizioni che colpiscono la popolazione anziana visto prende di mira il 5% degli over65 e il 20% di chi ha già superato gli 85 anni.

Eppure per la malattia di Alzheimer, ancora non abbiamo la soluzione. Al momento ci sono solo farmaci e terapie in grado di rallentare l'insorgenza dei sintomi e migliorare la qualità di vita.

Oggi però due recenti studi potrebbero aver aggiunto due elementi importanti alla costante ricerca della scienza per nuovi ed efficaci trattamenti: l’attività fisica e l’acido folico.

La consapevolezza che fare sport o esercizio aerobico in generale contribuisce a ridurre il rischio di sviluppare l’Alzheimer e l’associazione – per ora solo statistica – tra i livelli troppo bassi di vitamina B9 e un rischio inferiore di andare incontro alla demenza potrebbero infatti rappresentare nuovi strumenti in grado di portarci, un giorno, alla svolta.

Sport e attività

Il primo alleato contro l’Alzheimer è l’attività fisica, e in particolare quella cardiorespiratoria regolare.

Secondo uno studio portato avanti, tra gli altri, anche dai ricercatori del Washington DC Veterans Affairs Medical Center, l’esercizio potrebbe contribuire a ridurre del 33% il rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer o comunque altre forme di demenza ad esso connesse.

Il team di neuroscienziati ha analizzato 650 mila veterani di guerra statunitensi con un’età media di 61 anni (il campione comprendeva persone dai 30 ai 95 anni) e senza diagnosi di Alzheimer.

I partecipanti sono stati sottoposti a test fisici come camminate a ritmo lento o intenso su un tapis roulant per un periodo di osservazione lungo quasi 9 anni, durante il quale i ricercatori hanno stimato l'incidenza dell'Alzheimer e della demenza in relazione alla “performance” registrata.

L’attenzione era all’analisi della capacità del cuore e dei polmoni di ciascun paziente di trasportare ossigeno e quella dei muscoli di assorbirlo trasformandolo in energia durante l'esercizio fisico: l’obiettivo, insomma, era valutare la tolleranza all'esercizio fisico dei partecipanti.

I partecipanti sono stati divisi in cinque gruppi in base al loro livello di forma fisica e dal monitoraggio i ricercatori hanno osservato che il gruppo con il livello di forma fisica più basso ha sviluppato l'Alzheimer a un tasso di 9,5 casi ogni 1.000 “anni-persona”, un parametro che tiene conto di quanto tempo un gruppo di prone ha fatto parte di uno studio. Nel gruppo più in forma, invece, ci sono stati 6,5 casi ogni 1.000 anni persona.

Le conclusioni dell’indagine sembrano dunque indicare che chi è meno in forma potrebbe avere più probabilità rispetto a chi è più allenato e che il tasso di incidenza della malattia di Alzheimer sia inferiore con l’aumento del livello di forma fisica.

La vitamina B9

Un altro vasto studio del Icahn School of Medicine al Monte Sinai e pubblicato sul British Medical Journal ha invece indagato il potenziale ruolo dell’acido folico nella malattia di Alzheimer.

Analizzando per 5 anni la concentrazione sanguigne di questa sostanza, che forse avrai sentito chiamare anche vitamina B9, in ampissimo campione composto da circa 30mila persone senza precedente diagnosi di demenza, gli scienziati hanno notato una correlazione statistica tra livelli troppo bassi di acido folico e un maggior rischio di Alzheimer.

I risultati ottenuti da circa 3418 partecipanti (poco meno del 13%) avrebbero mostrato che una scarsa presenza di acido folico (al di sotto di 4,4 nanogrammi per millilitro di sangue) sarebbe associato a un rischio più alto. In questo gruppo di pazienti l'incidenza della demenza è stata stimata in 7,96 per 10.000 anni persona, maggiore rispetto al 4,24 per 10.000 anni-persona stimato tra coloro che non erano carenti di folati.

Come ti dicevo, però, l’associazione individuata tra questa sostanza e l’Alzheimer è oggi solamente di natura statistica: i ricercatori non ha individuato una relazione causa-effetto anzi, non possono escludere che la diminuzione della B9 dipenda propria dalla malattia.

È possibile però, hanno spiegato, che la carenza di acido folico possa influenzare il rischio vascolare di demenza e compromettere la riparazione del DNA dei neuroni rendendoli così vulnerabili ai danni dell'ossidazione, che a sua volta potrebbe accelerare l'invecchiamento e il danneggiamento delle cellule cerebrali, spiegano. "Le concentrazioni sieriche di folato possono fungere da biomarcatore utilizzato per modificare i rischi di demenza e mortalità in età avanzata e gli anziani dovrebbero essere regolarmente sottoposti a screening per la carenza di folati".

Fonti | Us Departement of Veteran Affairs; "Serum folate deficiency and the risks of dementia and all-cause mortality: a national study of old age" pubblicato il 15 marzo 2022 sulla rivista Bmj 

Le informazioni fornite su www.ohga.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.