Delle vescicole per illuminare il tumore e scongiurare il rischio recidiva: il progetto italiano

È uno dei cinque lavori di ricerca premiati nell’ambito di UniMi Innova e ora sta per passare alla sperimentazione sull’uomo. Tutto nasce dalla scoperta che le vescicole extracellulari che anche tu hai nel sangue, si comportano in un modo particolare nei pazienti oncologici: tendono a fare ritorno al tumore. A questo punto, bisognava solo capire come utilizzare questo meccanismo.
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Giulia Dallagiovanna 5 Luglio 2021
* ultima modifica il 05/07/2021
Intervista al Prof. Paolo Ciana professore associato del dipartimento di Scienze della Salute dell'Università degli Studi di Milano

Illuminare il tumore per vederne chiaramente i contorni ed essere certi di rimuoverlo del tutto, lasciando invece intatti i tessuti sani. Questa sorta di spia luminosa naturale potrebbe davvero diventare realtà. È il progetto a cui sta lavorando il team guidato dal professor Paolo Ciana, docente associato del dipartimento di Scienze della Salute dell'Università degli Studi di Milano, in collaborazione con il professor Vincenzo Mazzaferro, direttore di Chirurgia Generale Indirizzo Oncologico 1 dell'Istituto Nazionale Tumori, e il professor Damiano Stefanello, ordinario del dipartimento di Medicina Veterinaria sempre della Statale di Milano. Un lavoro di equipe che è stato premiato da UniMi Innova, nell'ambito dell'evento "Dalla conoscenza al futuro", ricevendo così un finanziamento per proseguire la ricerca.

"Tutto nasce da una scoperta che abbiamo fatto qualche anno fa: nel sangue dei pazienti oncologici ci sono delle vescicole extracellulari diverse rispetto a quelle rintracciabili in individui sani – ci ha spiegato il professor Ciana. – In particolare, abbiamo notato che se vengono isolate e poi reinfuse nella persona, hanno la caratteristica di tornare spontaneamente al tumore". Queste vescicole non sono altro che piccole particelle lipidiche che vengono evidentemente attratte dalla massa maligna. Anche se il meccanismo preciso non è ancora del tutto chiaro.

"Ci siamo quindi chiesti, assieme al professor Mazzaferro, se potessimo caricare le vescicole con agenti diagnostici o terapeutici da veicolare direttamente al tumore. È anche il sogno che abbiamo da sempre noi oncologi molecolari, quello di condurre al tumore le sostanze che ci permettono di curarlo, diagnosticarlo e tutte quelle operazioni che oggi vengono fatte con difficoltà", prosegue il professore.

"Si potrebbe condurre al tumore delle sostanze che ci permettano di curarlo o diagnosticarlo meglio"

E così è arrivata l'idea: aggiungere delle sostanze fluorescenti in modo che "colorassero" la neoplasia e i chirurghi potessero vedere con più chiarezza quale porzione di tessuto asportare. Nel concreto, le vescicole vengono prelevate, isolate, caricate con un colorante fluorescente e poi reinfuse nel paziente. Vanno così a illuminare i margini della massa.

Ma come mai tutto questo è così importante? "Quando operano una persona, i chirurghi si basano soprattutto sui loro sensi e, in particolare, su vista e tatto. La procedura quindi è altamente operatore-dipendente lasciando spazio a errori o imprecisioni. Non siamo ancora così bravi da rimuovere sempre il tumore completamente e i pazienti possono andare incontro a recidiva", sottolinea Ciana. Dunque perché non evidenziare quello che deve essere asportato in modo da non lasciare spazio a dubbi?

La fase di sperimentazione preclinica è durata cinque anni e ora si attende il passaggio a quella clinica e ai trials sull'uomo, dopo aver ricevuto il via libera da parte di AIFA e Istituto superiore di sanità. Ma se questo sistema dovesse funzionare, si aprirebbero davvero porte che fino a quel momento sembravano invalicabili. Una di queste è la possibilità di traportare farmaci chemioterapici direttamente al tumore, aumentandone l'efficacia e riducendo al minimo gli effetti collaterali, perché non andrebbero più a colpire anche le cellule sane.

"Dai nostri studi è emerso che le vescicole non sono attratte solo dal tumore che le ha generate, ma da tutte le neoplasie solide. Questa capacità dunque potrebbe essere sfruttata per diversi tipi di tumore", conclude il professor Ciana.

Le informazioni fornite su www.ohga.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.