Diminuisce l’uso degli antibiotici negli animali in UE: è solo il primo passo per sconfiggere l’antibiotico resistenza

Uno studio congiunto di EFSA, EMA ed ECDC relativo al periodo 2016-2018 rivela che in Europa l’uso degli antibiotici negli animali da produzione alimentare è diminuito e ora “risulta più basso che nell’uomo”. È un traguardo positivo, ma servirà confermare la tendenza per contrastare il problema dell’antibiotico resistenza, che porta i batteri a diventare immuni ai farmaci con cui venivano curati in passato, con pesanti conseguenze sanitarie ed economiche.
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Alessandro Bai 1 Luglio 2021
* ultima modifica il 01/07/2021

Nei Paesi dell'Unione Europea sta gradualmente diminuendo l'uso degli antibiotici negli animali da produzione alimentare: tra il 2016 e il 2018, questi farmaci sono stati utilizzati più nell'uomo che per trattare il bestiame, contrariamente a quanto accadeva fino a pochi anni fa. È questa la fotografia del Vecchio Continente che emerge da un recente studio pubblicato da 3 agenzie dell'UE in collaborazione, ovvero l'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), l'Agenzia europea per i medicinali (EMA) e il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC).

La ricerca si è basata su un approccio di salute globale, anche detto ‘One Health‘, poiché valuta insieme all'utilizzo degli antibiotici anche i dati relativi all'antibiotico resistenza, un tema strettamente collegato al primo che da qualche anno rappresenta ormai una minaccia concreta per i sistemi sanitari di tutto il mondo. Somministrare meno antibiotici, tanto agli animali da allevamento quanto all'uomo, significa infatti ridurre le possibilità che i batteri imparino a resistere a questa classe di farmaci e diventino quindi più pericolosi. I dati relativi al periodo 2016-2018 dicono che in Europa stanno funzionando le misure nazionali che promuovono un uso limitato degli antibiotici, ma allo stesso tempo l'EFSA spiega in un comunicato che la situazione non è omogenea, poiché "varia notevolmente da Paese a Paese e da una classe di antibiotici all’altra".

Per spiegarti più chiaramente il legame che c'è tra gli antibiotici somministrati agli animali e all'uomo e i batteri resistenti, ti faccio alcuni esempi pratici sempre tratti dallo studio di EFSA, EMA e ECDC. Stando ai dati raccolti dai ricercatori, l'utilizzo di carbapenemi, cefalosporine di terza e quarta generazione e chinoloni per trattare nell'uomo le infezioni causate dall'Escherichia Coli è associato ad una resistenza del batterio a queste stesse classi antibiotiche. Lo stesso accade poi per altri agenti patogeni, come il batterio Campylobacter spp, che a forza di essere utilizzato è diventato resistente agli antimicrobici usati per curare gli animali da produzione alimentare ed è in grado di provocare infezioni anche nell'uomo.

Forse ormai avrai capito che tra le cause dell'antibiotico resistenza c'è un uso non appropriato degli antibiotici che, a casa o in ospedale, a volte vengono presi o somministrati anche quando non ce ne sarebbe bisogno. Per questo il calo del ricorso all'antibiotico rappresenta una buona notizia; all'interno di questo quadro, poi, l'EFSA segnala che si è "quasi dimezzato negli animali da produzione alimentare l'uso di una classe di antibiotici chiamati polimixine, che include la colistina", un altro aspetto positivo dato che questi medicinali vengono usati "anche negli ospedali per curare i pazienti infettati da batteri resistenti a più farmaci". Di certo, però, non è il momento di fermarsi qui: usare sempre meno antibiotici e farlo solo quando necessario, nell'uomo così come gli animali, è fondamentale per ridurre il peso dell'antibiotico resistenza, che causa gravi conseguenze sanitarie ed economiche.

Fonte | "Third joint inter‐agency report on integrated analysis of consumption of antimicrobial agents and occurrence of antimicrobial resistance in bacteria from humans and food‐producing animals in the EU/EEA" pubblicato su EFSA Journal il 30 giugno 2021

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