“Dopo il cancro al colon ho trovato l’America”: la storia di Elisa Ramundo, ambasciatrice AIRC

La diagnosi di tumore al colon all’età di soli 29 anni. Da lì’ a due mesi, Elisa Ramundo sarebbe dovuta partire per realizzare il suo sogno di studiare negli Stati Uniti, ma la malattia glielo impedisce, Un anno dopo, dopo un ciclo di chemio sperimentale, Elisa è guarita e pronto per prendere quell’aereo perso un anno prima. Oggi è tra le numerose testimonial di AIRC per sostenere la ricerca.
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Gaia Cortese 9 Maggio 2021
* ultima modifica il 09/05/2021

Elisa ha 42 anni e lavora all'estero come managing director in una media company che si occupa di diritto antitrust. Tredici anni fa la sua vita è stata stravolta da una diagnosi inaspettata: cancro al colon, il secondo tumore maligno per incidenza dopo quello della mammella nelle donne e il terzo dopo quello del polmone e della prostata negli uomini.

Il tumore al colon è una malattia abbastanza rara prima dei 40 anni ed è maggiormente diffusa in persone di età compresa fra i 60 e i 75 anni. Elisa ha solo 29 anni e a questa età il suo unico pensiero è quello di realizzare il sogno di studiare negli Stati Uniti.

"Era giugno del 2000 e sarei dovuta partire per l'America ad agosto – inizia a raccontarmi Elisa -. Ero sana, mai fumato una sigaretta o bevuto alcolici, non c’era familiarità con una malattia del genere, eppure, come succede a tutti, la diagnosi è arrivata come un fulmine a ciel sereno. Oltretutto, tredici anni fa, il cancro del colon sembrava essere davvero poco diffuso, non era conosciuto come lo è oggi".

Da cosa te ne sei accorta?

"Me ne sono accorta per il sangue nelle feci (la ricerca del sangue occulto nelle feci è in grado di identificare circa il 25 per cento dei cancri del colon-retto, ndr). Mi reputo fortunata perché il tumore è un brutto nemico, silenzioso, e quando colpisce il colon, te ne accorgi troppo tardi. In verità, alcuni sintomi li avevo da diverso tempo, ma ero molto concentrata sulla carriera, credevo fosse solo stress, fino quando non potendo più ignorare i sintomi, sono arrivata alla diagnosi.

Bisogna davvero fare attenzione ai segnali del corpo: siamo macchine perfette fino a quando queste non si inceppano. Io ero troppo impegnata. Quando sei giovane non pensi che la malattia possa toccare a te e invece può succedere. Il cancro è esistenziale perché cambia tutto, cambia interamente la tua esistenza. Ti accorgi del perimetro in cui ti stai muovendo che non è più quello dell’immortalità, ed è nel momento della malattia che lo capisci".

Dall'avvenuta diagnosi quanto tempo hai aspettato per essere operata?

"La prima volta mi hanno operata a luglio. Dopo avermi asportato una parte del colon, l’oncologo mi ha parlato di una chemioterapia sperimentale. Forse all’epoca, per il tipo di cancro che mi aveva colpito, poteva esserci un'alternativa a quel tipo di cura, ma considerata l’età giovane, i medici mi hanno proposto la chemioterapia che viene fatta ai pazienti terminali. Il cancro al colon era aggressivo, non c’erano metastasi in altri organi, ma diversi noduli sì.

Alla parola "chemioterapia" si sollevano diverse questioni come quella, per esempio, di congelare o meno gli ovuli. All’epoca non c’era tutta l’attenzione che c’è oggi su una questione così delicata e intima, ma c'era sì l'apprensione di fare tutto velocemente, perché quando hai il cancro devi solo ringraziare di avere avuto la possibilità di fare esami veloci, di essere stata operata subito e di individuare un oncologo di riferimento.

Otto sessioni di chemioterapia dopo, che in realtà dovevano essere fatte ogni due settimane, ma visto che il fisico non reggeva sono state fatte ogni mese, ho terminato le cure a febbraio.

Come hai affrontato la malattia?

C'era questo libro di Kris Carr, "Ho il cancro, vado a comprarmi un rossetto", che forse, rileggendolo adesso non so se mi piacerebbe alla stessa maniera, ma all'epoca avevo 29 anni e la storia di questa trentunenne colpita dal cancro come me, mi ha aiutato a sentirmi meno sola.

Tredici anni non sono pochi nell’ambito oncologico. Adesso ci sono tanti siti, blog, social media dove il tema "cancro" è stato in qualche modo "sdoganato", ma in quegli anni si parlava ancora solo del male "incurabile". Malgrado tutti i miei amici e i miei famigliari mi circondassero di affetto, la malattia ti rende comunque molto sola: sei tu con questi macchinari medici che fanno delle maledette foto al tuo corpo, in attesa del responso mentre ti chiedi: "Quanto tempo avrò?". Tutto questo ti rende davvero solo.

Questa ragazza (Kris Carr, ndr) poco più grande di me, affrontava il cancro con il sorriso, con ironia, ed è stata una delle prime che ha parlato delle parrucche o dei vantaggi di usare la propria "Oncocard" per avere almeno qualche vantaggio da questa malattia. Io l'ho "usata" solo in aeroporto dovendo tornare a casa da Chicago in piena bufera di neve. Ho trovato in me stessa la medesima ironia. Quando sei malata scopri da sola come reagire, è una scoperta nuova che fai per affrontare una malattia come il cancro.

Una volta terminate le cure, avevi paura che il cancro tornasse?

Tantissima paura. Dopo pochi mesi ho subito anche un secondo intervento perché durante un controllo di routine dal ginecologo sono state scoperte delle macchie sulle ovaie. Mi sono ritrovata quindi in ospedale, ma per fortuna si trattava solo di aderenze.

Sto proprio scrivendo un libro con l'aiuto di una giornalista per raccontare la paura della malattia, la paura di fidarsi della vita di nuovo. Quando sei giovane è come ricevere uno sgambetto mentre stai saltando, e più il salto è alto, più puoi farti male.

"Tale era il desiderio di tornare alla normalità che ho pensato solo di andare avanti".

Un anno dopo quella terribile diagnosi, sono finalmente riuscita a confermare all’Università di Chicago la mia partenza e a settembre del 2009 ho preso l’aereo per gli Stati Uniti. Prima di farlo, sono stata a lungo indecisa, dopo la malattia non è stato facile prendere una decisione di questo tipo. I miei genitori non erano felici di vedermi allontanare da loro, ma l’ho voluto fare pensando che, in ogni caso, era solo un anno. Tale era il desiderio di tornare alla normalità che ho pensato solo di andare avanti. In quel momento posso dire che la mia vita è cambiata.

Perché hai deciso di diventare testimonial AIRC?

Perché la condivisione è importantissima, è una testimonianza di speranza e di vita. La mia idea era che un certo punto ne avrei parlato, tant’è che il libro lo avrei voluto scrivere passati dieci anni dal cancro. Quando ero in America pensavo a quanta forza ci vuole per combattere la malattia e quando incrociavo lo sguardo con qualche ragazzo malato, avrei voluto condividere la mia esperienza. Siccome sono stata dall’altra parte, come paziente, sento la necessita di condividere questa storia fortunata soprattutto con i più giovani, per trasmettere il messaggio che la malattia si può superare.

Se inizialmente, una volta guarita, non volevo parlare troppo del tumore, per non essere discriminata o per non suscitare pietà, oggi racconto la mia storia non solo perché è a lieto fine, ma perché una volta sconfitto il cancro, la mia è davvero diventata una vita quasi da sogno. Dopo Chicago, sono stata a Washington D.C., a New York e a Boston. La vita in America che avevo sempre sognato è diventata realtà.

Durante la malattia, in qualche modo ho fatto appello a tutte le mie forze, il destino mi ha premiato e le cose sono andate al di là dei miei sogni. Per questo motivo voglio dare una speranza nel dire che dal cancro si può guarire e non deve incidere sulla nostra vita, perché la vita stessa può essere meglio.

Quanto è importante per te la ricerca?

Senza ricerca non andiamo da nessuna parte. La ricerca ci permette di pensare a un futuro in cui il cancro sia curabile, in cui non faccia più paura. Se non ci fosse la ricerca non sarei qui. Ho fatto un video per AIRC dove parlo di ricerca come realtà. Spesso il termine donazione non dà il senso del contributo, perché dà l'idea di qualcosa che si dona  senza avere nulla in cambio, invece accade il contrario: chi nella nostra sfera non ha qualcuno che non si è ammalato? Investire nella ricerca è un modo per investire nel nostro futuro.

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