Dubbi, senso di responsabilità e opportunità: così i test rapidi stanno arrivando ai medici, ai pediatri e nelle farmacie

L’accordo nazionale è stato siglato e i primi kit per i tamponi antigenici rapidi acquistati dal Commissario speciale per l’emergenza sono in viaggio verso le regioni: a breve, dunque, dovrebbero arrivare negli studi e negli ambulatori del territorio. Ma i nostri medici e pediatri sono pronti alla novità?
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Kevin Ben Alì Zinati 6 Novembre 2020
* ultima modifica il 29/03/2021
In collaborazione con la dott.ssa Teresa Della Pietra, il dott. Mirko Tassinari e la dott.ssa Elena Bozzola Medico di Medicina generale a Varese; Segretario dei medici di famiglia della Provincia di Bergamo; Segretario nazionale della SIP e pediatra presso l’ospedale Bambino Gesù di Roma

Li avevamo lasciati in viaggio verso l’Italia e verso i nostri medici e pediatri. Se ti ricordi, qualche giorno fa ti avevamo raccontato della decisione ufficiale del Governo di estendere ai medici di medicina generale e ai pediatri di libera scelta la possibilità di effettuare i test antigenici rapidi. Per rispondere presente, il Commissario Speciale per l’emergenza, Domenico Arcuri, aveva pure ampliato l’ordine d’acquisto passando da 5 a 10 milioni di tamponi rapidi. Anche perché i test rapidi non arriveranno soltanto negli studi e negli ambulatori ma anche nelle farmacie, con i primi progetti pilota di screening già avviati nella provincia autonoma di Trento e in Piemonte. Oggi però l’Italia è divisa in colori in base alla gravità dei contagi, diverse regioni sono tornate in lockdown e la possibilità di avere diagnosi in tempi rapidi potrebbe contribuire a risollevare numeri e statistiche. Perciò, a che punto sono? E soprattutto, medici e pediatri come vedono questa novità?

Oneri e onori

Quando è stato deciso che i test rapidi sarebbero arrivati anche a medici e pediatri, dubbi e polemiche non sono mancate. Non parlo del lato economico, legato soprattutto al costo per adeguare gli ambulatori a questo nuovo compito. La sensazione che ha pervaso diversi medici era che l’attuale situazione sanitaria avrebbe trasformato una potenziale freccia in più nel proprio arco in un altro mattoncino appoggiato sul già pesantissimo carico di lavoro.

È la paura della dottoressa Teresa Della Pietra, medico di medicina generale a Varese. “Le nostre sono giornate convulse – ci ha raccontato in una chiacchierata telefonica in auto, in un ritaglio di tempo rubato – Abbiamo tanti pazienti a casa che sono Covid positivi: dobbiamo gestire loro e tutti i contatti, che non vengono più tracciati dall’Ats e che si rivolgono a noi, ci sono sono le segnalazioni da fare, le istruzioni da dare e i tamponi da richiedere o da inseguire perché le prenotazioni saltano o i tempi si allungano. Senza contare la campagna vaccinale contro l’influenza appena iniziata e tutti i pazienti “normali” e non Covid che si presentano in studio per altri motivi, le visite, l’attività burocratica: Non li possiamo abbandonare. È un sovraccarico di lavoro in cui non saprei dove inserire anche i test rapidi".

Con una delibera del 3 novembre, la Regione Lombardia ha fornito le prime indicazioni sull’utilizzo dei test antigenici, spiegando anche che il costo per i cittadini, nei casi non a carico del sistema sanitario regionale, sarà di 20 euro. Ad oggi, però, la dottoressa Della Pietra di test non ne ha ancora visto uno: “L’Ats ancora non ci ha dato disposizioni, non sono arrivati e quindi non li stiamo facendo. Al momento brancoliamo nel buio e in più abbiamo i pazienti che, avendolo sentono al telegiornale, ce lo chiedono di continuo”.

Responsabilità 

L’obiettivo del Governo è quello di arrivare a 100mila antigenici rapidi al giorno che, sommati ai già 200mila molecolari, sottoporrebbero a screening quotidiano circa 300mila cittadini italiani. Che ci sia un ritardo nell’arrivo di questi test antigenici è quantomeno comprensibile per il dottor Mirko Tassinari, medico di base e segretario dei medici di famiglia della Provincia di Bergamo: in fondo, l’accordo è stato siglato solo qualche giorno fa a livello nazionale, deve quindi essere recepito dalle regioni e attuato poi sui singoli territori.

Oltre ai pazienti Covid e i loro contatti da gestire ci sono tutti gli altri, che non possiamo abbandonare

Dott.ssa Teresa Della Pietra, medico di medicina generale a Varese

Tassinari vive a Bergamo e nei mesi più drammatici della pandemia era in prima linea, si è preso il Covid e ha visto colleghi soffrire e morire. L’arrivo dei test rapidi, per lui, rappresentano un’opportunità. I medici bergamaschi non si sono mai tirati indietro, 50 di noi si sono ammalati e 6 sono morti. La nostra fetta di lavoro la facciamo, anche per compiti che non sono nostri. Il tampone rapido può essere utile per la nostra clinica e può snellire il lavoro dei dipartimenti di igiene e i laboratori che sono ormai quasi al collasso. Se può servire il nostro contributo, lo diamo.

Anche il suo “sì”, tuttavia, è vincolato all’urgenza di trovare la giusta organizzazione e adibire gli spazi in modo sicuro. “Al di là dei proclami le cose vanno poi calate nella realtà. Nella mia provincia ci sono 600 medici di famiglia e non è pensabile che si effettuino i tamponi in 600 ambulatori, mescolando percorsi puliti con percorsi dedicati ai pazienti infetti”.

I medici bergamaschi non si tirano indietro. Se possiamo dare il nostro contributo, lo diamo

Dott. Mirko Tassinari, segretario dei medici di famiglia della Provincia di Bergamo

Vanno allestiti gli ambulatori, studiati percorsi alternativi e in sedi esterne, magari con collaborazione anche di infermieri e personale amministrativo messo a disposizione dalla Regione o dall’Ats. “Noi, per esempio, abbiamo proposto di creare 20-30 punti tampone dislocati nel territorio della provincia dove, a rotazione, i medici una o due volte al mese possono effettuare i test – ha continuato Tassinari – In questo modo sarebbe un impegno meno gravoso e logisiticamente più conveniente”.

Obbligatorietà? 

L’accordo sui test rapidi ai medici non ha ricevuto un “ok” unanime ma è stato firmato da una sola sigla sindacale, la Fimmg che, tuttavia, rappresenta più del 60% dei professionisti. A destare dubbi, tra le altre cose, c’era anche la questione che i medici sarebbero obbligati ad eseguire i test rapidi ai pazienti sospetti di infezione, quando invece sarebbe stata più auspicabile un’adesione su base volontaria.

“Il concetto è quello di un’obbligatorietà di categoria. È stato deciso che i medici facessero anche i test rapidi e l’obbligo credo serva per garantire la capillarità in certe aree del paese dove il rifiutarsi da parte di alcuni colleghi può creare dei buchi. Si tratta però di un’obbligatorietà delegabile. Mi spiego. Nel 90% dei casi, i medici di famiglia hanno più di 50 anni e quindi possono avere patologie croniche o fragilità, quindi non è il caso che facciano i tamponi”. In questo modo il medico singolo può delegare il compito a un altro collega.

Un alleato in più

Dall’altro lato, la decisione sui test antigenici ha trovato il pieno consenso dei pediatri. Un endorsement che abbiamo cristallizzato nelle parole della dottoressa Elena Bozzola, segretario nazionale della SIP e pediatra presso l’ospedale Bambino Gesù di Roma: “Credo sia un ottimo supporto sia per i drive in che per gli ospedali. Avere un alleato in più sul territorio aiuterà a ridurre le liste d’attesa dei tamponi molecolari ed eviterà le code lunghissime e le troppe prenotazioni”.

La dottoressa Elena Bozzola, segretario nazionale della Società Italiana di Pediatria

Secondo la dottoressa Bozzola, questa novità servirà anche per evitare che tante mamme o papà portino i bambini in ospedale per fare i test preferendo invece il proprio pediatra, “in un ambiente più familiare, accogliente e sereno. Credo però che a giovarne sarebbero soprattutto i pediatri stessi. Le diagnosi così sarebbero più facili, soprattutto ora che è così facile confondere i sintomi della normale influenza con l’infezione da Coronavirus”.

Nelle farmacie 

Uno screening capillare, oggi, può essere garantito anche dalla possibilità di effettuare i test rapidi nelle farmacie. L’apripista sarà la provincia autonoma di Trento che ha già avviato un protocollo sperimentale con cui gruppi di infermieri effettueranno i tamponi antigenici in luogo aperto adiacente alla farmacia oppure al suo interno, sempre in orari e spazi dedicati, in modo da consentire il servizio in ambiente separato dal resto dell’utenza.

Con i test rapidi le diagnosi sarebbero più facili, soprattutto ora che è così facile confondere l'infezione con l'influenza

Dott.ssa Elena Bozzola, segretario nazionale Sip

Un progetto simile coinvolgerà anche le farmacie del Piemonte. Come fa sapere Federfarma, tuttavia, nella regione del governatore Alberto Cirio l’iter è ancora in standby dal momento che il sistema di prenotazione in farmacia dei tamponi rapidi è fermo a cassia della mancanza di infermieri deputati a prestare questo servizio a domicilio”.

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