Elettrosensibili: lontani da onde, campi elettromagnetici e 5G

Esistono persone al mondo che se si trovano in presenza di cellulari, computer e Wi-fi si sentono male e devono allontanarsene. Li chiamano “elettrosensibili” e sembra che il loro corpo non riesca a sopportare di trovarsi vicino a campi elettromagnetici. Eppure, in una società come la nostra, questo significa isolarsi e allontanarsi da tutto e da tutti. Soprattutto ora che in Italia sta per approdare il 5G.
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Sara Del Dot 28 Febbraio 2019
* ultima modifica il 22/09/2020
Con la collaborazione della Dott.ssa Anna Zucchero medico internista e presidentessa dell'Associazione italiana elettrosensibili

L’11 giugno 2015 Jenny Fry, una ragazzina inglese di soli 15 anni, è stata trovata da sua madre impiccata a un albero accanto alla sua scuola, dove quel giorno era stata segnalata assente. Il motivo del suo gesto, spiegato in seguito, ha dell’incredibile: Jenny Fry da tempo soffriva di un’allergia al Wi-Fi presente nella struttura scolastica, che da alcuni anni aveva sul suo corpo effetti estremamente dolorosi che l’hanno perseguitata fino al punto da indurla a togliersi la vita: mal di testa, vertigini, cali di concentrazione ma anche paralisi muscolare e, negli ultimi tempi, addirittura incontinenza. Sembra impossibile, per tutti noi che non possiamo concepire una vita priva di perpetua connessione, eppure gli stessi medici hanno in seguito potuto confermare che quei disturbi, per anni attribuiti a un ipotetico squilibrio ormonale dovuto all’età adolescenziale, in realtà derivavano dall’estrema sensibilità di Jenny alle onde elettromagnetiche provenienti dalla connessione senza fili presente tra le mura scolastiche. Infatti, le sue condizioni di salute miglioravano non appena si allontanava dalla struttura o andava in vacanza e peggioravano notevolmente non appena vi faceva ritorno. Questo disturbo non è così raro come si pensa. Sono diverse, in tutto il mondo, le persone che percepiscono dolore e malessere in presenza di dispositivi come telefoni cellulari o altre sorgenti di campi elettromagnetici. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, si tratterebbe di circa il 3% della popolazione mondiale. E, con l’avanzare del tempo e l’aumento delle segnalazioni, questi individui sono stati spesso riconosciuti con il termine elettrosensibili.

Inizia tutto dai CEM: i campi elettromagnetici

I CEM, ovvero i campi elettromagnetici, sono fenomeni fisici e nascono dall’interazione tra campo elettrico e campo magnetico. Non possiamo vederli, ma sono ovunque intorno a noi. Sono presenti anche in natura, generati dalla radiazione solare, dal magnetismo terrestre e dall’atmosfera, ma quelli cui si presta maggiore attenzione sono, ovviamente, quelli generati artificialmente. I CEM possono presentare frequenze diverse, che interagiscono con il nostro organismo in modi differenti. Quelli ad alta frequenza sono solitamente compresi nella banda tra le radiofrequenze e le microonde e vengono generati da dispositivi come cellulari, Wi-Fi, telefoni cordless, stazioni radio base, radar e antenne. Quelle a bassa frequenza invece sono riconducibili a fonti come gli impianti elettrici delle abitazioni, elettrodotti, computer, televisioni ed elettrodomestici in generale.

Elettrosensibilità: non un semplice fastidio

Potremmo chiamarla semplicemente “allergia al Wi-Fi”, ma sarebbe un cortese eufemismo. Perché l’elettrosensibilità consiste in realtà in una condizione estremamente debilitante che impedisce a chi ne soffre di trascorrere del tempo più o meno prolungato in prossimità di sorgenti di campi elettromagnetici. Le conseguenze fisiche di trovarsi in un luogo in cui sono presenti dispositivi che emanano campi elettromagnetici sono molto spiacevoli e inibiscono la vita di chi ne soffre sotto svariati punti di vista: forti mal di testa, nausea, importanti cali di concentrazione, stanchezza, eruzioni cutanee e sfoghi, irritabilità, sbalzi di pressione, palpitazioni, dolori muscolari e perdita di memoria, solo per citarne alcune. Sembra inoltre che l’allontanamento dai CEM consenta una riduzione del disturbo, che si ripresenta però non appena il malato ci si trova nuovamente a contatto. Tutto questo si ripercuote sulla salute fisica del singolo individuo, ma anche e soprattutto sulla sua quotidianità, sui suoi rapporti sociali e sulla sua vita lavorativa, anche perché queste reazioni collaterali e incontrollate si manifestano in condizioni elettromagnetiche che le persone comuni riescono a sopportare tranquillamente. Come si può lavorare in un ufficio se non si è in grado di stare davanti al computer? Come si può viaggiare se il Wi-Fi dell'hotel raggiunge anche gli angoli più remoti di ogni stanza? Come si può camminare per strada e fermarsi a chiacchierare con un amico se quest’ultimo passa tutto il tempo con il cellulare in mano? Sono solo alcune di tutte le questioni che si impongono nella vita di una persona affetta da elettrosensibilità. Che, nel peggiore dei casi, è costretta a ritirarsi lontano dalla città, senza alcun tipo di connessione, spesso imponendo involontariamente questa scelta anche alla propria famiglia.

Paolo Orio: elettrosensibile da 19 anni

"Quando ero giovane mi sono diplomato da perito elettronico, quindi nei confronti delle tecnologie ho sempre avuto un atteggiamento piuttosto positivo."

Paolo Orio era una persona come tante. Si è diplomato come perito elettronico, e poi ha lavorato per tanti anni come veterinario. Ha una moglie e dei figli. Eppure, da ormai 19 anni, qualcosa gli impedisce di condurre una vita normale. Perché molto tempo fa, si è accorto improvvisamente di non poter più sopportare fisicamente la vicinanza a qualsiasi fonte di campi elettromagnetici. E la sua intera quotidianità ha subito un drastico stravolgimento.

“Nel 1996, per motivi lavorativi, ho comprato il mio primo telefono cellulare. Lo usavo principalmente per lavoro ma anche per sentire gli amici, prendere appuntamenti, fare lunghe chiacchierate con la mia fidanzata. Dopo tre anni di utilizzo costante, anche se non particolarmente esagerato come invece vedo che avviene oggi, accadde qualcosa di strano. Era il 1999 e in una mattina come tante altre il telefono squillò. Per rispondere lo presi in mano e lo avvicinai all’orecchio, avviando la comunicazione. Ma all’improvviso iniziai ad accusare dei sintomi che prima di allora non avevo mai avvertito: un forte mal di testa, uno strano formicolio sul viso, forte bruciore a livello del collo e, in particolare, sentivo un dolore al padiglione auricolare, come se fosse trafitto da spilli. Chiusi subito la comunicazione, dissi alla mia interlocutrice, una collega, di aspettare, che avrei provato ad allontanarmi dal dispositivo. Eppure mi accorgevo che, riavvicinando il telefono all’orecchio, i sintomi si presentavano di nuovo. In quel momento iniziai a pensare che fosse proprio il cellulare la causa di quel malessere.”

Questo è il primo contatto di Paolo con l’elettrosensibilità. Una serie di sintomi fastidiosi scaturiti durante una telefonata come tante, all’improvviso diventata insopportabile. Ma la consapevolezza di ciò che sta accadendo dentro il suo corpo arriva soltanto dopo.

“Inizialmente non diedi molto peso a questa situazione, e continuai a usare il cellulare. Tuttavia notai che i sintomi, invece che regredire, peggioravano. Iniziai ad avere mal di testa, emicrania, vuoti di memoria, difficoltà a concentrarmi, difficoltà a elaborare pensieri e a ricordarmi i nomi, facevo fatica ad addormentarmi e la mattina quando aprivo gli occhi era come se non fossi mai andato a dormire. Poi iniziarono a fare capolino altri sintomi, come tachicardia e aritmia. Mi resi conto che non facevo che peggiorare e che il problema era proprio il telefono, perché ogni volta che lo avvicinavo alla testa il malessere arrivava, e ogni volta che lo allontanavo i sintomi scemavano velocemente. Così, decisi di smettere definitivamente di usare il cellulare.”

Paolo fa diverse prove per capire se è proprio il telefono a farlo stare così male, e il nesso di causa effetto ai suoi occhi è innegabile. Così, prende una decisione tanto logica quanto complicata. Abbandonare per sempre il cellulare. Ma i problemi non finiscono con l’addio al dispositivo. Perché la situazione sembra essere più grave del previsto.

“Ero talmente sensibilizzato ormai, che quando uscivo di casa mi accorgevo dei cellulari che avevano in tasca le altre persone. Mi ricordo che una volta dissi a mia moglie che il telefono della persona che camminava accanto a noi avrebbe squillato entro pochi secondi. Lei non mi credeva. Dopo circa tre secondi il cellulare di quella persona si mise a suonare. Questo solo per far capire quanto mi ero sensibilizzato alle radiazioni elettromagnetiche non ionizzanti. Avere eliminato il cellulare non bastava più, perché percepivo tutte le altre sorgenti elettromagnetiche: router Wi-Fi, stazioni radio base di telefoni, antenne, elettrodotti, lo stesso computer portatile.”

Il disturbo non fa che crescere, quindi, e si riverbera in quasi ogni aspetto della vita di Paolo. Da quando esce di casa la mattina fino alla sera è costantemente esposto a campi elettromagnetici che lo fanno soffrire. Anche stare davanti al computer diventa un’attività quasi insopportabile a causa della connessione senza fili che lo circonda. E insopportabile diventa anche non essere capito da chi gli sta attorno ogni giorno.

“Chiaramente ero in una fase di totale smarrimento, incredulità, soprattutto perché le persone che ti stanno accanto non ti credono, dal momento che sono sintomi così strani e collegati a una tecnologia estremamente pervasiva. Il mio medico di base non capiva cosa avessi. Navigando in Rete, scoprii che esistevano molte altre persone come me, e che al mondo c’erano diversi ricercatori che si erano occupati di questo genere di disturbi. Così, avendo capito di essere in tanti, nel 2005 abbiamo deciso di unirci e fondare l’Associazione italiana elettrosensibili. Pian piano l’associazione è cresciuta, ci siamo dotati di medici e abbiamo offerto un servizio di ascolto e comprensione, di scambio di esperienze ma anche un aiuto concreto in termini diagnostici.”

Ma avere trovato persone con il suo stesso problema non è la sola cosa che ha aiutato Paolo, oggi presidente dell’associazione. La sua vita, infatti, è stata completamente stravolta ed è stato costretto ad adottare una serie di misure per proteggere se stesso dall’esposizione ai CEM.

“Quando diventi elettrosensibile ti si capovolge tutto. Personalmente sono stato costretto a effettuare una totale bonifica del mio ambiente di vita quotidiana. Ho eliminato il Wi-Fi, non uso il cordless, non ho in casa lampadine a basso consumo energetico che emettono radiazioni. Non ho corrente vicino al letto, utilizzo il computer portatile solo con tre metri di cavo, ho schermato completamente l’automobile. Da vent’anni non uso il cellulare, ho solo un fisso e fuori di casa uso le cabine telefoniche, quelle che non sono ancora state vandalizzate. Se entro in un cinema o in un ristorante sono a disagio, perché poi sto male. Ed è così anche se prendo un treno, un aereo, se entro in un hotel, in un Airbnb, se vado in spiaggia, in autogrill, in biblioteca. Tutti sono sempre, costantemente connessi. Il mondo sembra un grande forno a microonde.”

Elena L.: elettrosensibile da 5 anni

“Sono diventata elettrosensibile cinque anni fa, quando hanno aumentato l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici con l’implementazione del 4G. Ho sempre usato il computer, sono stata una dei primi farmacisti in Italia a informatizzare una farmacia, e inoltre spesso facevo traduzioni dallo spagnolo in casa e lavoravo in tribunale in sala ascolto, in cuffia. Dopo trent’anni di esposizione, sono diventata elettrosensibile.”

Elena L. (nome di fantasia) è leccese, ha 57 anni e da cinque non è più in grado di sopportare la presenza di campi elettromagnetici attorno a sé. Questa condizione è stata per lei talmente debilitante da farle trascorrere cinque anni infernali, in particolare il primo, in cui non riusciva più a trascorrere del tempo in casa propria a causa del Wi-Fi e dei computer utilizzati dai suoi vicini.

“Ho iniziato ad avvertire i primi fastidi quando usavo il telefono cellulare. Appena ho potuto ho iniziato a cercare dei mezzi per ridurre l’esposizione, tipo gli auricolari. A un certo punto, però, non sono più riuscita a usare niente. Stavo male anche solo a stare davanti al computer. Avevo mal di testa lancinanti, mi sentivo sempre stanchissima, non riuscivo a dormire. Più stavo a casa, peggio mi sentivo, tuttavia non avevo neanche la forza di uscire per distrarmi, e se la trovavo tornavo a casa e stavo malissimo comunque. Il primo anno è stato terribile, l’ho trascorso fuori di casa, per strada, dormendo da altre persone, non riuscivo più a mettere piede in casa mia.. Mi sono appoggiata a mia madre, che però era anziana, non capiva la situazione. Anche i successivi tre anni sono stati molto pensanti, ho trascorso diversi mesi tornando a casa la sera tardi, cercando di trascorrere fuori la maggior parte del tempo, avanti e indietro da casa di mia madre. Non potevo stare in casa mia quando c’erano i vicini con accesi computer e Wi-Fi.”

Un anno da incubo quello vissuto da Elena, che subito aveva avuto il dubbio si trattasse di elettrosensibilità, un disturbo di cui aveva sentito parlare in qualche reportage alla televisione, ma che nessun medico poteva diagnosticarle. Soltanto dopo essersi rivolta all’Associazione ha iniziato a capire cosa stesse succedendo.

“Io non sapevo nulla dell’inquinamento elettromagnetico, non mi ero mai posta il problema. Ma ogni volta che stavo davanti allo schermo del computer mi sentivo una morsa pazzesca in testa, come se mi stessero stritolando il cervello. Non lo definirei un dolore, forse più una tortura. Se mi allontanavo passava, ma non immediatamente. Se mi avvicinavo, stavo subito male. Alla fine, i vicini mi sono venuti incontro e hanno acconsentito a spegnere computer e Wi-Fi di notte, anche se è capitato spesso che tornassi a casa tardissimo per evitare di stare male, anche perché gli effetti mi durano per un bel po’ di giorni. Se accendono il Wi-Fi al piano di sotto devo uscire di casa. Perché sento il Wi-Fi, ma sento anche i telefoni, non posso accendere un pc e starci davanti più di trenta secondi che mi sento malissimo. E se ci sto un po’ di più, sto male per giornate intere. L’hanno notato tutti, soprattutto quando mi accorgevo, magari in piena notte, che c'erano in casa dispositivi accesi senza nemmeno vederli. Perché la persona elettrosensibile percepisce i campi elettromagnetici come se fossero una nebbia in cui si immerge.”

Da quando ha scoperto l’elettrosensibilità, Elena ha avviato campagne di conoscenza e consapevolezza in tutto il suo territorio, sebbene recarsi negli uffici comunali o anche solo scendere in strada la faccia soffrire molto. Perché, dice, la sua è una lotta contro una cosa che piace a tutti.

“Adesso tutti hanno deciso che non possono fare a meno di telefoni e tecnologia, ma sai di cosa non si può fare a meno? Della salute. Io mi sono arrangiata come posso. Continuo a fare le traduzioni ma le faccio a penna, che è come se io andassi a cavallo e tutti gli altri in Ferrari. Non posso fermarmi a parlare con le persone per strada, perché sono tutti sempre con il cellulare in mano e se chiedi di metterlo via crei dei muri. In casa mia ho tolto tutte le reti di metallo dei letti, posizionato il letto al centro della stanza, tolto tutti i cavi superflui e levato lo specchio che riflette le onde. Riesco a stare ferma soltanto in due o tre posti, praticamente vivo in cucina, ma a me sta bene perché solo poter stare a casa mia è un’enorme vittoria. Sicuramente questa è una patologia che isola, e va fatta capire agli altri pian piano. Eppure, sapere di non essere soli è importante.”

Riconoscimento scientifico

Al momento l’Oms non ha ancora riconosciuto l’elettrosensibilità come una malattia vera e propria, eppure ne riconosce i sintomi. È complicato infatti certificare clinicamente che livelli inferiori a quelli definiti come standard internazionali di sicurezza possano causare dei veri e propri disturbi.

Ad oggi la Svezia è l’unico Paese ad aver ufficialmente riconosciuto l’elettrosensibilità come patologia vera e propria, tanto da avere messo a disposizione per gli oltre 230.000 malati che vivono entro i suoi confini, la possibilità di avere a disposizione un sussidio e un ambiente di lavoro adeguato alla loro condizione. Ma anche in altri luoghi inizia a farsi largo l’idea che l’elettrosensibilità possa non essere solo una suggestione collettiva. Ad esempio, sul sito di United Stated Access Board, l’agenzia federale indipendente americana che promuove l’uguaglianza e la parità in favore delle persone affette da disabilità, viene dichiarato che, secondo l’Americans with Disabilities Act (ADA) e altre leggi americane, gli edifici pubblici e commerciali devono fornire sistemazioni adatte (valutate caso per caso) alle persone che soffrono di elettrosensibilità o sensibilità chimica multipla.

Anche in Europa, però, qualcosa si muove: nel 2011, il Consiglio d’Europa cita l’elettrosensibilità all’interno di una proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle disposizioni minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici). E in alcuni Stati sono state adottate misure concrete e quasi insperate: a Madrid, nel 2011, un professore ha ottenuto il prepensionamento perché affetto da elettrosensibilità. Cinque anni dopo, un dipendente della Ericsson ha ottenuto dallo stesso tribunale la dichiarazione di invalidità. Nel 2015, in Francia, la Corte di Tolosa ha riconosciuto l’invalidità civile con indennizzo a Marine Richard, che da anni ormai era costretta a vivere lontana dal centro urbano e da qualsiasi fonte di campi elettromagnetici.

Insomma, sembrerebbe che l’elettrosensibilità, sebbene non sia ufficialmente riconosciuta quasi da nessuna parte, non venga nemmeno negata. In una società interconnessa come la nostra è molto più facile e rassicurante negare la possibilità che telefoni cellulari, smartphone e tablet possano realmente danneggiare la nostra salute. Senza questi dispositivi, al giorno d’oggi, non potremmo vivere. D’altra parte, ci sono persone che non riescono a vivere con.

Elettrosensibilità e medicina

La dottoressa Anna Zucchero, medico internista dell’ospedale di Mestre in pensione e già presidentessa dell’Associazione italiana elettrosensibili, si occupa del problema dell’elettrosensibilità ormai da vent’anni, e racconta che questo disturbo, in realtà, non è una novità dovuta al Wi-Fi. Già ai tempi della Guerra fredda in Russia, era stata identificata la sindrome dei radaristi, un malessere dovuto ai campi elettromagnetici che colpivano coloro che utilizzavano i radar. Con l’avvento delle nuove tecnologie, però, questa sindrome prima circoscritta solo agli addetti ai lavori ha iniziato a manifestarsi anche nella popolazione generale. E questo perché, nonostante i limiti di legge sull’esposizione ai campi elettromagnetici siano rispettati,  “ogni persona ha delle proprie caratteristiche individuali, e quando sono stati decisi i limiti di esposizione ai campi elettromagnetici dall’ente internazionale (ICNIRP) cui fa riferimento l’Oms per quanto riguarda l’esposizione ai Cem, è stato valutato che determinati valori sarebbero potuti essere tollerati da tutta la popolazione, ma non si è tenuto conto della differenza biologica tra i vari esseri viventi né del fatto che il corpo umano non è inerte e ha una reazione biologica. Se si fosse tenuto conto non solo dell’effetto termico dei Cem ma anche dell’effetto biologico, i limiti di esposizione sarebbero ben più bassi di quelli ICNIRP, che invece sono stati riconfermati in una recente revisione.”

Da un punto di vista strettamente medico, la dottoressa spiega che i sintomi dell’elettrosensibilità possono essere tantissimi, e vanno tutti accertati e analizzati per poter poi effettuare una diagnosi che escluda qualunque altro tipo di patologia.

“Uno dei più frequenti che appaiono inizialmente è la cefalea, ma presto arrivano la debolezza, un affaticamento generale, difficoltà di concentrazione. Un po’ alla volta compaiono poi i disturbi di memoria, soprattutto quella recente, ma anche incapacità di trovare le parole, dolore muscolare e articolare non giustificato da malattie specifiche. E ancora batticuore, aritmie, disturbi digestivi, sensazioni di gonfiore, disturbi urinari, annebbiamento della vista, fotofobia, fonofobia, intolleranza a suoni che prima venivano sopportati tranquillamente, acufeni, rumori di vario genere come crepitii, scrosci, fischi che difficilmente scompaiono. A questi si aggiungono problemi vascolari e a livello cutaneo, infatti possono comparire delle chiazze di arrossamento dovute a vasodilatazione nelle aree più esposte a telefoni e computer, come la testa e il collo. Insomma, la sintomatologia colpisce qualsiasi organo e le persone di solito fanno il giro di tutti gli specialisti senza arrivare a un risultato perché le indagini comunemente effettuate risultano negative.”

Per fornire una spiegazione valida a questa serie di disturbi, sono stati portati avanti diversi studi. Ad esempio, il neuro-scienziato svedese Olle Johansson ha riscontrato un aumento dei mastociti e dell’istamina, cellule e sostanze che mediano le reazioni allergiche così che, in apparenza, il risultato del contatto con i Cem appare come una reazione allergica non mediata da anticorpi. Ma ci sono altre teorie che seguono strade diverse.

“Un altro filone seguito a livello medico è quello di una potenziale iper-stimolazione, oppure proprio un’alterazione del sistema nervoso periferico viscerale sensitivo, che crea una sorta di corto circuito elettrico che arriva fino al sistema nervoso, al centro della sensibilità talamica, al lobo limbico e frontale; da lì viene inviata una risposta che coinvolge tutto l’organismo, il che spiegherebbe tutti i sintomi riferiti dalle persone, che sono molto simili dall’una all’altra, pur presentando varianti individuali. Studiare il sistema nervoso è difficile, in particolare il sistema nervoso autonomo. Diverse indagini hanno però dimostrato un’alterazione di alcuni parametri cardiaci, l’heart rate variability, analizzabile con un elettrocardiogramma, la cui alterazione potrebbe indicare uno squilibrio proprio del sistema nervoso autonomo.”

E non sono mancati gli studi a livello cellulare, effettuati da un gruppo di studiosi francesi.

“Questi ricercatori hanno individuato delle alterazioni nel sangue di istamina, che viene prodotta in situazioni di allergia e infiammazione, ma anche un livello di vitamina D più basso rispetto alle persone normali. È anche stata svolta un’indagine molto interessante tramite l’utilizzo di un doppler transcranico. Il professore alla guida del gruppo ha rinvenuto che la maggior parte delle persone elettrosensibili ha una vasocostrizione nelle regioni temporo-parietali, bilateralmente, che sono le regioni deputate alla memoria e in parte al linguaggio.”

Secondo la dottoressa, il disturbo non è curabile in alcun modo, e se non viene modificato il proprio stile di vita, non può che peggiorare progressivamente fino a diventare invalidante. Per questo il consiglio che viene dato, da lei e dall’associazione, è quello di prevenire. Anche perché, sottolinea la dottoressa, "nessuno guarisce. Si migliora allontanandosi, cambiando lo stile di vita, ma la vita non torna più come prima. Quello che si vorrebbe è che le istituzioni riconoscessero se non altro che il problema esiste. Non può essere un contagio di massa di tipo psichiatrico.”

Agostino di Ciaula, medico ambientale ISDE (International Society of Doctors for Environment), sottolinea come i dubbi della comunità scientifica in merito al riconoscimento della malattia non riguardino tanto “l’esistenza di questo tipo di disturbi, che è fuori discussione sia per l’esistenza di tratti clinici comuni tra tutti i pazienti che per il comune riferimento all’esposizione con l’elettromagnetismo, quanto invece i reali rapporti fisiopatologici ed epidemiologici tra i disturbi riferiti e l’esposizione a campi elettromagnetici. In sostanza, non viene messa in discussione la presenza dei disturbi ma il meccanismo fisiopatologico che li genererebbe. Da questo punto di vista la letteratura scientifica, anche in termini epidemiologici, non è ancora solida.”

E questa è una delle ragioni per cui il riconoscimento ufficiale non è ancora arrivato. Anche se, prosegue di Ciaula, “ci sono effetti biologici dell’esposizione a elettromagnetismo ben riconosciuti, studiati e codificati, come ad esempio lo stress ossidativo cellulare, un meccanismo fisiopatologico alla base di numerose malattie croniche e anche del cancro, danni al DNA, alterazioni della fertilità, conseguenze neurologiche, alterazioni comportamentali, del neuro-sviluppo e addirittura metaboliche. Risultati derivanti da recenti studi animali hanno inoltre rafforzato le evidenze epidemiologiche disponibili che descrivono un possibile rapporto causale tra l’esposizione ad elettromagnetismo e insorgenza di cancro. E le evidenze che abbiamo a disposizione ci dicono che conseguenze sanitarie possono insorgere anche per esposizioni notevolmente inferiori ai limiti di legge, che non si basano sugli effetti biologici dei campi elettromagnetici ma, semplicemente, sugli effetti acuti di tipo fisico. Ci sono numerosi studi scientifici che documentano evidenze di rischio per esposizioni centinaia di volte inferiori a quelle imposte dalla legge.”

Tuttavia, non è assolutamente possibile ricondurre tutti questi effetti biologici sotto un’unico disturbo, dal momento che l’essere umano è costantemente esposto a una miscela, chiamata esposoma, di inquinanti biologici, chimici e fisici che interagiscono tra loro e con il corpo di ciascuna persona in modo differente. È pericoloso, ma ancora poco definibile.

5G: una rivoluzione di dati (e CEM)

A partire dal 2020, approderà ufficialmente in Italia il 5G. Si tratta della quinta generazione di tecnologie e standard per le connessioni che introdurrà nelle nostre vite un genere di connessione, elaborazione e trasferimento dati mai visto prima. Inoltre, questa rivoluzione tecnologica ci garantirà l’accesso definitivo all’Internet of Things, ovvero la connessione a Internet di oggetti reali (pensa per esempio alla casa intelligente o anche banalmente allo smartwatch), che si prevede faciliterà la nostra esistenza di moltissimi campi, dall’automazione di oggetti di uso quotidiano come il frigorifero che ti avverte dei prodotti in scadenza fino a un’innovazione senza pari in ambito tecnico, meccanico e sanitario. Questa rivoluzione tecnologica, però, aumenterà di molto la presenza già consistente delle onde elettromagnetiche nella nostra vita, sia dal punto quantitativo sia dal punto di vista della frequenza. A questo proposito, afferma il dottor Agostino Di Ciaula, l’ISDE si è già espressa sui rischi che possono essere provocati dall’esposizione al 5G.

“In Italia significherà, secondo stime dell’AGCOM, essere esposti a circa un milione di dispositivi per chilometro quadrato. L’esposizione avverrà a frequenze che l’essere umano non ha mai sperimentato su così larga scala (le cosiddette “onde millimetriche”) e in maniera addizionale rispetto all’esistente. Le evidenze scientifiche disponibili sulle conseguenze dell’esposizione a questo tipo di frequenze, seppur preliminari, sono preoccupanti, perché anche in questo caso sono stati documentati effetti tipo alterazioni geniche, della sintesi proteica e altre conseguenze biologiche ben documentate. Nessuno vuole porre un limite al progresso ma dovremmo associare l’introduzione di queste tecnologie ad un monitoraggio attento dal punto di vista ambientale e sanitario, rivedendo al ribasso i limiti di esposizione imposti dalla legge e assumendo tutte le precauzioni possibili. Stiamo procedendo con decisione e rapidità sulla strada della tecnologia chiudendo gli occhi, ancora una volta, sulle possibili conseguenze sanitarie. Non abbiamo un sistema capace di monitorare adeguatamente la situazione dal punto di vista ambientale e sanitario e abbiamo dei limiti di legge che non ci tutelano come dovrebbero. Con questi presupposti, l’esplosione numerica di dispositivi che utilizzeranno il 5G, una densità espositiva mai vista prima e l’utilizzo di frequenze mai utilizzate su così larga scala potrebbero generare, anche alla luce delle evidenze scientifiche disponibili, un rischio biologico e sanitario che non è stato in nessun modo valutato e preso in considerazione.”

Per approfondire:

Elettrosensibilità: l’allergia ai campi elettromagnetici che stravolge la tua vita e quella di chi ti vuole bene

Vita da elettrosensibili: le storie di chi ha rinunciato a tutto per proteggersi dai campi elettromagnetici

Elettrosensibilità: l’intervista alla dottoressa Anna Zucchero

Esposizione ai campi elettromagnetici e 5G: intervista al dottor Agostino Di Ciaula

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