
Quando si parla di epilessia, la prima distinzione da fare è tra crisi epilettica e sindrome epilettica perché la prima è diversa dalla malattia in cui sono presenti le crisi. Per chiarire meglio, la crisi epilettica è un sintomo che può manifestarsi come una crisi convulsiva, ma anche solo con disturbi visivi o psichici; è un sintomo, lo ripetiamo, pertanto può indicare una patologia del sistema nervoso, così come essere la manifestazione di qualche altro problema che interessa altri organi del corpo. Quando invece abbiamo la diagnosi specifica di una sindrome epilettica o epilessia, il discorso cambia.
L’epilessia è una malattia del sistema nervoso centrale che provoca un’interruzione dell’attività delle cellule nervose del cervello e di conseguenza causa una crisi epilettica che si manifesta con una convulsione.
La malattia si manifesta con le convulsioni, ma a differenza di quello che potresti pensare, non sono tutte uguali fra loro. Si distinguono in fatti in otto tipologie diverse, che vengono raggruppate in due grandi gruppi: parziali e generalizzate, a seconda che l’inattività temporanea delle cellule nervose si verifichi in una sola parte del cervello o contemporaneamente in tutta la corteccia cerebrale.
Le convulsioni parziali possono essere semplici o complesse. Quelle semplici non provocano perdita di conoscenza, possono interessare una parte specifica del corpo a livello motorio, provocare formicolio o anche causare allucinazioni. Quelle complesse possono comportare perdita di coscienza o provocare movimenti ripetitivi come sfregarsi le mani, masticare di continuo o camminare in cerchio.
Le convulsioni generalizzate possono essere atone se causano la perdita del controllo muscolare; toniche se causano un irrigidimento dei muscoli (schiena, braccia e gambe soprattutto); cloniche in presenza di movimenti muscolari ripetitivi che interessano soprattutto il collo, il viso e le braccia; miocloniche con sussulti improvvisi di braccia e gambe; tonico-cloniche con crisi che possono durare anche 5-10 minuti, con contrazioni intense distribuite su tutto il corpo, perdita di urine e respirazione rumorosa: sono le crisi epilettiche più gravi, al termine delle quali il paziente non ricorda cosa gli è successo. Infine, le convulsioni generalizzate chiamate anche crisi di assenza, frequenti tra bambini e ragazzi, caratterizzate da una perdita di coscienza non superiore ai 20 secondi.
Al di là di quale tipo di convulsione ti provocherà l'epilessia, un attacco si suddivide di norma in quattro diverse fasi: podromica, tonica, clonica, fase post-attacco.
Prima di conoscere le cause dell'epilessia, devi sapere che esistono due macrocategorie nelle quali le diverse tipologie di questo disturbo possono essere inserite: epilessia primaria ed epilessia secondaria. Il primo caso riguarda circa la metà delle persone che ricevono questo tipo di diagnosi e, come loro sapranno bene, l'origine del malessere è ancora sconosciuta. Nel secondo caso, invece, esistono diversi elementi da prendere in considerazione in quanto possono provocare l'insorgenza della patologia.
Si tratta prima di tutto di fattori genetici, il che significa che la malattia può essere trasmessa da un familiare all'altro. Non si è certi sul numero, ma gli esperti ritengono che siano circa 500 i geni che potrebbero essere legati a questa condizione. Le altre cause riguardano invece aspetti patologici: un trauma cranico, ad esempio, può determinare le prime manifestazioni dell'epilessia, ma anche tumori cerebrali oppure ictus. Quest'ultima è addirittura una delle principali ragioni alla base delle convulsioni in individui adulti.
Ci sono anche malattie infettive che influiscono sul corretto funzionamento del cervello e del sistema nervoso, come l'Aids, encefalite virale e meningite. Allo stesso modo, alcuni disturbi legati allo sviluppo del bambino, come autismo e neurofibromatosi, possono avere l'epilessia tra le possibili complicanze. Infine, i problema può risalire direttamente al periodo della gravidanza e della gestazione, come la presenza di lesioni prenatali, infezioni nella madre o carenza di nutrienti e ossigeno.
In caso di sintomi che possono far pensare a una sindrome epilettica, la prima cosa da fare è rivolgersi a un neurologo. Il medico specialista, dopo aver analizzato i sintomi e la storia del paziente, potrà prescrivere alcuni esami specifici. Con l’esame neurologico, per esempio, è possibile verificare le abilità motorie, le capacità comportamentali e l’attività mentale del paziente. Altre capacità come il linguaggio o la memoria vengono analizzate con dei particolari test neuropsicologici; eventuali anomalie cerebrali vengono identificate con l’elettroencefalogramma, mentre le analisi del sangue vengono prescritte per verificare la presenza o meno di determinate infezioni o malattie genetiche che possono essere ricondotte all’epilessia. Altri esami prescritti dallo specialista possono essere: la risonanza magnetica, la TAC (tomografia assiale computerizzata), la PET (tomografia a emissione di positroni) in alcuni casi la SPECT (tomografia a emissione di fotone singolo).
L’epilessia si può curare con una terapia farmacologica e in alcuni rarissimi casi anche ricorrendo all’intervento chirurgico. Nel 60 per cento dei casi l’epilessia è guaribile e nell’80 per cento dei casi curabile.
L'epilessia viene trattata con i cosiddetti antiepilettici farmaci che agiscono sui sintomi, ossia impediscono alle crisi di ripresentarsi, ma non curano la causa dell'epilessia. In pratica agiscono in due modi: modulano l'eccitabilità elettrica dei neuroni cerebrali (vengono alterati i processi chimici nelle membrane cellulari) e interferiscono con l'azione dei mediatori chimici (neurotrasmettitori) che trasferiscono gli stimoli elettrici da un neurone all'altro. I tradizionali farmaci antiepilettici sono: fenobarbital, valproato, carbamazepina, fenitoina, etosuccimide. I più recenti invece sono: felbamato, gabapentin, lamotrigina, levetiracetam, oxcarbazepina, tiagabina, topiramato, vigabatrin.
Un terzo dei pazienti resiste al trattamento con i farmaci e di questi, il 10-15% presenta una lesione cerebrale operabile; in questo caso, prima si interviene, più aumenta la possibilità di guarigione. La chirurgia dell’epilessia è indicata, infatti, solo quando l’area epilettogena (la zona del cervello responsabile delle crisi) è circoscritta e la sua asportazione non causa deficit neurologici.
Come potrai immaginare, soffrire di epilessia non ha ripercussioni solo dal punto di vista medico sanitario, ma ha anche un impatto psicosociale da non sottovalutare. Spesso chi ne è affetto, infatti, vive condizioni di isolamento sociale e psicologico, dovuto a uno stigma che riguarda la malattia oppure a vere e proprie condizioni di disabilità che l'intensità delle convulsioni ha provocato.
Ad esempio, il rendimento scolastico o lavorativo potrebbe venire compromesso, soprattutto a causa delle difficoltà di concentrazione e di memoria, che si avvertono già da bambini. Naturalmente, anche genitori e familiari possono essere coinvolti nella riduzione del benessere psicologico: per un padre o una madre non è semplice affrontare la malattia del figlio e accettare che potrebbe incontrare diverse difficoltà nel raggiungimento della piena autonomia o, semplicemente, nella costruzione di una vita normale.
Il livello di stress al quale si va incontro, insomma, è notevole e potrebbe portare all'insorgenza di alcuni disturbi correlati, come ansia, depressione, sindrome da deficit dell'attenzione e iperattività. Condizioni che si riscontrano con più frequenza in chi è affetto da epilessia.
Abbiamo ascoltato sull'argomento Tommaso Renzetti, coordinatore infermieristico del Dipartimento di Neuroscienze dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù: "L'epilessia è una patologia prevalentemente pediatrica, nei due terzi dei casi infatti la malattia si manifesta prima dei 12 anni di età. Nei primi anni di vita si manifesta con crisi di vario tipo che potrebbero avere anche conseguenze negative sullo sviluppo psicomotorio e sulla qualità di vita del paziente dal punto di vista sociale. Qualora si presenti una crisi all'improvviso, la prima cosa da fare è riconoscerla e sapere come gestirla. Occorre prendere il tempo per capire se la crisi dura troppo (oltre i 2 minuti) e se occorre arrestarla, somministrare i farmaci idonei".
(Modificato da Giulia Dallagiovanna il 19/06/2019)
Fonte| Fondazione Mondino