Gli ftalati popolano la plastica per gli alimenti: sai quando e perché possono diventare pericolosi per la tua salute?

In determinate circostanze, dagli oggetti realizzati in plastica e destinati a un utilizzo a contatto con il cibo possono migrare delle sostanze che, se ingerite in quantità superiori alle soglie limite, possono diventare pericolose per il tuo organismo. Tra queste ci sono gli ftalati, che in fase di produzione vengono aggiunti per per ammorbidire o plastificare alcuni materiali.
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Kevin Ben Alì Zinati 27 Gennaio 2021
* ultima modifica il 05/02/2021
In collaborazione con Dr.ssa Rosaria Marino e Dr.ssa Katharina Volk Direttore del Servizio di Igiene degli Alimenti e Nutrizione della Asl di Roma 1 ; Scientific Officer presso l'Efsa

Forse non hai mai sentito parlare degli ftalati, però sono certo che almeno una volta avrai comprato del cibo in una vaschetta monouso o l’avrai portato a casa da qualche ristorante in un contenitore per l’asporto, avrai sicuramente avvolto un panino nella pellicola trasparente o bevuto dell’acqua da una bottiglietta. Ti sarà inevitabilmente capitato, insomma, di avere a che fare con la plastica che entra in contatto con il cibo che mangi.

E perciò, di ciascuno di questi oggetti conoscerai le istruzioni per l’uso. Saprai quali puoi mettere in microonde, quali invece non devono assolutamente stare sotto il sole e quali puoi utilizzare per impacchettare il pranzo. Il rischio se fai altrimenti? Proprio loro, gli ftalati.

Si tratta di sostanze chimiche che possono “migrare” negli alimenti, come ci ha spiegato la dottoressa Rosaria Marino, direttore del Servizio di Igiene degli Alimenti e Nutrizione della Asl di Roma 1; sostanze che, in contatto con il cibo e quindi con l'organismo, in certe concentrazioni possono anche impattare sulla salute dell'uomo come ha raccontato, invece, la dottoressa Katharina Volk, Scientific Officer nel team Food Contact Materials dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare.

La migrazione negli alimenti

Gli ftalati, dunque. Si tratta di sostanze chimiche che vengono utilizzate per ammorbidire alcuni materiali alla base di prodotti industriali o di consumo. Tra questi, ci sono i materiali a contatto con gli alimenti (i cosiddetti “Moca”) e la plastica per il cibo ne è un esempio.

Sono tanti gli oggetti realizzati con questo materiale: gli utensili da cucina e da tavola, i contenitori o i recipienti per la conservazione e la cottura dei cibi o ancora i materiali da imballaggio (come alcuni tipi di pellicole trasparenti).

Come ci ha spiegato la dottoressa Katharina Volk, per i materiali in plastica a contatto con gli alimenti sono autorizzati cinque "ortoftalati":

  • Di-butilftalato (DBP) – FCM n. 157
  • Butil-benzil-ftalato (BBP) – FCM n. 159
  • Bis(2-etilesil)ftalato (DEHP) – FCM n. 283
  • Di-isononilftalato (DINP) – FCM n. 728
  • Di-isodecilftalato (DIDP) – FCM n. 729

Il problema legato ai Moca, e quindi agli ftalati, si presenta quando queste sostanze chimiche migrano, quando, cioè, si trasferiscono dalle materie plastiche disperdendosi nello stesso alimento con cui sono a contatto.

L'esperta dell'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare ha spiegato che quando si parla di presenza di ftalati nella catena alimentare, bisogna fare una distinzione tra i diversi modi con cui queste sostanze possono entrare in contatto con gli alimenti: "A causa della contaminazione ambientale, possono essere già presenti nella materia prima. Durante la produzione o il confezionamento, il cibo può entrare in contatto con diversi materiali da cui gli ftalati possono potenzialmente migrare, contribuendo così a una maggiore esposizione dei consumatori attraverso la dieta".

Non solo.

Secondo la dottoressa Rosaria Marino, direttore del Servizio di Igiene degli Alimenti e Nutrizione della Asl di Roma 1, la migrazione può avvenire "anche perché vengono alterate le condizioni di sicurezza. Pensa, per esempio, all’aumento della temperatura. “Se scaldiamo la plastica la migrazione aumenta. Per questo le bottiglie d’acqua in plastica non devono mai esser tenute al sole e al caldo come invece accade in alcuni supermercati”.

Non c’è tuttavia solo il caldo: “Una maggior migrazione di ftalati può avvenire anche quando la plastica per alimenti è a contatto con grassi e olio. Gli ftalati non formano legami solidi con le molecole di plastica a cui vengono aggiunti e a contatto con prodotti oleosi o ricchi di grassi tenderebbero a fuoriuscire dal materiale e a migrare nell’alimento.

Con il caldo gli ftalati possono migrare dalle materie plastiche verso l'alimento con cui sono a contatto

Dott.ssa Rosaria Marino, Direttore Servizio Igiene degli Alimenti e Nutrizione Asl Roma 1

Secondo la dottoressa Marino, in questi casi l’attenzione, la prevenzione e la sicurezza viaggiano su due binari: uno fa riferimento al produttore e alla lavorazione delle plastiche. “Se i processi di realizzazione dei materiali seguono i criteri rigorosi e la normativa, allora la migrazione delle sostanze è molto limitata e può anche essere azzerata, inesistente o comunque non significativa”. Tanto più le fabbriche rispettano i criteri tanto meno esiste questo rischio, insomma.

I danni alla nostra salute

Se ti ricordi, ti avevo raccontato che uno studio dell’Endocrine Society aveva certificato che la plastica è effettivamente dannosa per la salute dell’uomo a causa della presenza di oltre 140 “distruttori endocrini”, ovvero sostanze artificiali che possono inficiare la normale fisiologia del sistema ormonale.

Gli ftalati sono tra questi e la loro migrazione negli alimenti avviene, è quasi inevitabile: l’importante è che l’assunzione resti sotto le soglie di sicurezza, quei limiti individuati dalle autorità entro i quali l’ingestione quotidiana di ftalati nel corso dell’intera esistenza non provoca alcun rischio apprezzabile per la salute.

Per l’Europa li ha indicati l’Efsa. "Nell’ultima valutazione del rischio pubblicata nel 2019, la dose di assunzione tollerabile quotidiana per DBP, BBP, DEHP e DINP è di 50 microgrammi per chilogrammo di peso corporeo ed è stata individuata sulla base dei loro effetti sul sistema riproduttivo": secondo la dottoressa Volk, inoltre, gli effetti combinati degli ftalati possono comportare anche la "riduzione della produzione di testosterone nei feti".

Come ti ho spiegato all'inizio, però, gli ftalati autorizzati per le plastiche a contatto con gli alimenti sono 5: nella definizione della dose di assunzione tollerabile l'esperta dell'Efsa ha tralasciato il quinto ftalato, il DIDP. Questo perché "non influenza i livelli di testosterone nei feti e quindi non è stato incluso nella dose di assunzione giornaliera di gruppo. La dose di DIDP individuata è di 150 microgrammi per chilogrammo di peso corporeo al giorno ed è stata stabilita sulla base dei suoi effetti avversi sul fegato".

Come interferenti endocrini, gli ftalati potrebbero anche favorire patologie o disturbi come l’obesità, il diabete, i tumori ormono-sensibili nella donna o alla prostata nell’uomo.

Tra preoccupazione e prevenzione 

Gli ftalati, dunque, possono impattare sulla tua salute. Ma che di rischio stiamo parlando?

Nel "parere" del 2019 , l'Efsa ha valutato l'esposizione alimentare dei consumatori ai cinque ftalati autorizzati per i materiali in plastica a contatto con gli alimenti e l'impatto che questi hanno avuto sulla loro salute.

Dai risultati, ha spiegato la dottoressa Volk, l'esposizione alimentare al gruppo di DBP, BBP, DEHP e DINP è stata stimata a 0,9-7,2 e 1,6-11,7 µg/kg di peso corporeo al giorno rispettivamente per i consumatori medi e alti: rispettivamente sette e quattro volte sotto il livello di sicurezza medio. Anche in questo caso il DIDP fa storia a sé: i livelli di esposizione alimentare "sono stati stimati sempre inferiori a 0,1 µg/kg di peso corporeo al giorno e quindi molto al di sotto della dose di assunzione giornaliera di 150 µg/kg di peso corporeo".

Per questo, ha chiarito l'esperta dell'Efsa, l'attuale uso "non desta preoccupazione per la salute pubblica"

Gli ftalati, in quantità eccessive, possono comportare anche la riduzione della produzione di testosterone nei feti

Dr.ssa Katharina Volk, Scientific Officer presso Efsa

Lo confermano anche i numeri del rapporto “Vigilanza e controllo degli alimenti e delle bevande in Italia”. Nel 2019 sono stati presi 998 campioni di Moca su cui sono state effettuate più di 3mila analisi: di queste, 1366 hanno riguardato i contaminanti organici, la “categoria” in cui rientrano gli ftalati.

Dalle analisi sono emersi 14 esiti “non conformi” che erano dovuti prevalentemente al rilascio di elementi chimici (come cromo, piombo e cadmio) da utensili, contenitori e recipienti domestici. Solo 4 su 14 erano attribuibili ai componenti organici.

A causa della contaminazione ambientale, gli ftalati possono essere già presenti nella materia prima

Katharina Volk, Scientific Officer Efsa

Quello degli ftalati è comunque un problema che non va sottovalutato. Per provare a rafforzare ancora di più il concetto la direttrice del Servizio di Igiene degli Alimenti e Nutrizione della Asl di Roma 1 ci ha dato qualche suo numero. “Nel 2020 solo nella nostra Asl, a cui fa riferimento un territorio piuttosto vasto, sono stati registrati quasi 700 casi di allerte alimentari e la maggior parte era dovuto proprio alla migrazione di composti come gli ftalati”. Allerte, non casi confermati. Ma si tratta comunque di numeri non trascurabili.

Il sistema dei controlli

Viviamo quindi in un contesto in cui la migrazione di ftalati esiste ed “è una realtà”Che, tuttavia, con il tempo abbiamo imparato a tenere sotto controllo. Il merito è anche dei sistemi di sorveglianza. 

“L'Efsa ha il compito di fornire valutazioni del rischio valutando le prove scientifiche e, sulla base di queste, di ricavare livelli sicuri che vengono poi presi in considerazione dalla Commissione europea nelle sue azioni di gestione del rischio" ha spiegato la dottoressa Volk, sottolineando poi che "la Commissione può decidere di autorizzare una sostanza senza alcuna restrizione o a certe condizioni".

Per esempio, l'Ue può imporre con un limite di migrazione specifico o l'uso di un determinato materiale solo con certi tipi di alimenti. "Il controllo di questi limiti e restrizioni rientra nelle responsabilità delle autorità competenti degli Stati membri".

Come ti dicevo prima, sicurezza e prevenzione corrono su due binari. Se sul “ciclo di vita” di una plastica per alimenti, normato dal Regolamento Europeo n 2023/2006, abbiamo poco margine di intervento, ciò che puoi fare tu, come consumatore finale, è aumentare l’attenzione e la conoscenza verso ciò che ti circonda.

L’ha sottolineato anche la dottoressa Marino: “Tutti noi, come consumatori, dobbiamo imparare a leggere bene le etichette. Lì c’è scritto per cosa si può utilizzare un tipo di materiale o uno specifico contenitore, proprio per evitare un’eccessiva migrazione di sostanze. Servono più attenzione e consapevolezza.

Servono più attenzione e consapevolezza. Basterebbe leggere cosa dicono le etichette

Dott.ssa Rosaria Marino, Direttore Servizio Igiene degli Alimenti e Nutrizione Asl Roma 1

Un piccolo consiglio per iniziare? Secondo il Regolamento Europeo 1935/2004 gli oggetti realizzati con dei Moca devono essere riconoscibili e caratterizzati da un simbolo che ne certifichi l’idoneità all’uso alimentare. Ti stai domando qual è questo simbolo? Niente di più facile: sono la forchetta e il bicchiere, che avrai già visto e che ora comincerai notare ovunque.

Sapere è potere diceva qualcuno, no?

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