Gli hikikomori e la paura di uscire di casa: ora la scienza ha individuato i marcatori biologici per scovare in anticipo chi soffre del ritiro sociale patologico

La sindrome hikikomori era largamente diffusa in Giappone ma negli ultimi due anni è diventata una delle conseguenze psicologiche della pandemia da Covid-19 in tutto il mondo, Italia compresa. Ora un gruppo di scienziati giapponesi ha individuato una serie di marcatori biologici grazie ai quali sarebbe possibile distinguere tra persone sane e “malate” e quindi effettuare diagnosi sempre più precise e rapide della condizione.
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Kevin Ben Alì Zinati 29 Luglio 2022
* ultima modifica il 29/07/2022

Si chiudono in camera, evitano gliamici e perfino i familiari stretti e si lasciano prendere da un forte senso di apatia e asocialità che, alla lunga, finiscono per diventare condizioni patologiche.

Per tanto tempo gli hikikomori, cioè coloro che che decidono di isolarsi dalla società rifiutando qualsiasi contato con il mondo esterno, sembravano un fenomeno abbastanza raro e apparentemente limitato al Giappone: pensa che solo nel paese del Sol Levante si contano quasi un milione di persone affette dalla sindrome hikikomori.

Poi è arrivata la pandemia e tutto ciò che le è girato attorno: il lockdown, le mascherine, le restrizioni, la paura del contagio e quindi la paura degli altri, il ping-pong dei vaccini, i decessi.

Un insieme di elementi che ha innescato una pandemia nella pandemia il cui bersaglio è stato l’aspetto psicologico delle persone, dagli adolescenti – ti avevamo raccontato, per esempio, la storia di autolesionismo di Francesca – fino agli adulti. Che hanno finito, appunto, anche con il rinchiudersi in casa.

Il ritiro sociale patologico e la sindrome hikikomori in questi due anni sono diventati un danno collaterale al Covid-19 che dal Giappone si è esteso a tutto il mondo, Italia compresa. Secondo l’associazione Hikikomori Italia, i numeri con la pandemia sarebbero addirittura raddoppiati, passando da circa 5 mila persone hikikomori a più di 15mila tra il 2019 e il 2021.

Come per tanti disturbi della sfera psicologica, anche riconoscere i sintomi della sindrome hikikomori e saperla “prendere in tempo” non è facile.

Oggi però un team di ricercatori giapponesi dell’Università di Kyushu di Fukuoka, in Giappone, è riuscito a identificare alcuni marcatori specifici nel sangue: degli indizi grazie ai quali è stato possibile distinguere tra individui sani e hikikomori, determinare la gravità della condizione e con cui, in un futuro non troppo lontano, si potranno effettuare diagnosi rapide e quindi trattamenti anticipati.

Lo studio – pubblicato sulla rivista Dialogues in Clinical Neuroscience – è il frutto del lavoro del primo centro ambulatorio al mondo dedicato proprio alla ricerca sull'hikikomori con l’obiettivo di sviluppare sistemi di supporto per i pazienti basati sulla comprensione biologica, psicologica e sociale della condizione.

I ricercatori giapponesi hanno provato a indagare i correlati biologici della patologia, già ampiamente caratterizzata grazie all’associazione con condizioni psichiatriche come la depressione, la schizofrenia, l’ansia sociale.

Così hanno raccolto il plasma di 42 persone hikikomori e lo hanno confrontato con quello prelevato da altrettante persone sane, analizzando le differenza fra 127 molecole tra cui zuccheri, aminoacidi e proteine

I risultati ottenuti hanno dimostrato che nel sangue degli hikikomori vi erano livelli più alti di ornitina, acil-carnitine a catena lunga e dell’enzima arginasi, a differenza invece di quelli della bilirubina e dell’arginina.

I ricercatori hanno spiegato che l’ornitina è un aminoacido prodotto dall’aminoacido arginina con l’aiuto dell'enzima arginasi: molecole vitali, tra le altre cose, per la regolazione della pressione sanguigna e il ciclo dell'urea.

La bilirubina, invece, è prodotta dall’azione di scomposizione dei globuli rossi da parte del fegato ed è spesso usata come indicatore della corretta funzionalità epatica. “È stato riportato – hanno continuato – che i pazienti con depressione maggiore e disturbo affettivo stagionale hanno livelli di bilirubina nel sangue più bassi”.

Le acilcarnitine, infine, hanno un ruolo importante nel fornire energia al cervello e i suoi livelli si abbassano si abbassano quando i pazienti affetti da depressione assumono inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina. “Tuttavia, i pazienti con hikikomori differiscono dai pazienti con depressione in quanto solo le acilcarnitine a catena lunga sono elevate in hikikomori mentre le acilcarnitine a catena corta rimangono le stesse”.

Insomma, questi risultati hanno permesso di creare una sorta di identikit biologico dei pazienti hikikomori con cui poter distinguere persone malate da quelle sane, ma anche indicare la gravità della malattia.

“Identificare i biomarcatori di hikikomori è il primo passo per scoprire le radici biologiche della condizione e collegarle alla sua gravità. Speriamo che questi risultati portino a trattamenti e supporto migliori specializzati per hikikomori” ha commentato Takahiro A. Kato, il ricercatore capo della Facoltà di scienze mediche dell'Università di Kyushu.

Fonte | "Blood metabolic signatures of hikikomori, pathological social withdrawal" pubblicato il 1 giugno 2022 sulla rivista Dialogues in Clinical Neuroscience

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