La perdita del gusto e dell'olfatto, che in termini medici vengono definite ageusia e anosmia, è forse il sintomo che più di tutti permette di distinguere il Covid-19 da altre infezioni respiratorie. Non tutti i contagiati li avvertono, ma sembrano essere presenti in circa un terzo delle persone risultate positive al tampone. A differenza del classico raffreddore che, semplicemente, provoca un intasamento del naso, il SARS-Cov-2 è in grado di provocare una neuroinfiammazione a livello dell'encefalo e dei nervi cranici e alterare, così, due dei tuoi cinque sensi. Il rischio è che la condizione si prolunghi per diverso tempo o che, addirittura, diventi irrecuperabile. Ma secondo uno studio dell'Università di Perugia, la riabilitazione può avvenire annusando odori tipici della nostra cucina, come agrumi e formaggi.
La sperimentazione è stata avviata dall'ospedale di Fano, nelle Marche, già lo scorso novembre e ha poi raggiunto quasi tutta l'Italia, coinvolgendo, tra gli altri, l'Ospedale San Giovanni di Roma, l'Humanitas di Milano, il Policlinico Federico II di Napoli, l'ospedale universitario di Genova e quello di Trieste, l'ospedale Careggi di Firenze e quelli di Sassari e Catania. I primi risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica European Review for Medical and Pharmacological Sciences.
I partecipanti sono stati suddivisi in due gruppi. Entrambi sono stati sottoposti allo sniff-test, una sorta di fisioterapia olfattiva che serviva proprio a stimolare questo senso attraverso la somministrazione di coppie di odori che potessero richiamare anche la memoria: agrumi e pesca, caffè e cioccolato, fontina e parmigiano. Veniva eseguito per qualche secondo e ripetuto per circa tre o quattro volte al giorno. "L'obiettivo era riabilitare l'olfatto e al tempo stesso stimolare la capacità di distinguere odori diversi (discriminazione), poiché farlo in un secondo momento potrebbe essere più difficile", ha spiegato la professoressa Arianna Di Stadio, docente di Neuroscienze all'Università di Perugia.
Un gruppo poi è stato trattato anche con una molecola chiamata PeaLut (palmitoiletanolamide co-ultramicronizzata con luteolina), che esercita un effetto anti-neuroinfiammatorio e antiossidante, che può andare a riparare il danno subito dal virus a livello neuronale. "I pazienti in trattamento con il prodotto a base di PeaLut hanno recuperato il 100% in più", ha aggiunto la professoressa Di Stadio.
Al momento questa tecnica sembra rivelarsi davvero utile. Nel giro di 30 giorni, i pazienti trattati notano un miglioramento delle loro capacità e in qualche caso anche un recupero quasi totale, magari dopo 11 mesi che convivevano con questo problema.
Fonte| Adnkronos