
Si stima che globalmente l’idrocefalo colpisca 85 persone su 100.000: la prevalenza nelle fasce d’età è tuttavia diversa, troviamo 88 malati su 100.000 nella popolazione pediatrica, mentre 11 malati su 100.000 sono adulti; uomini e donne ne sono colpiti allo stesso modo.
L’idrocefalo è l’accumulo di una quantità eccessiva di liquido cerebrospinale (o liquor) all’interno dei ventricoli cerebrali, le cavità del cervello in cui scorre il liquor.
Letteralmente il termine “idrocefalo” è composto da due parole di origine greca: hydro (acqua) e kephalé (testa): per questo motivo viene ancora definito "acqua nella testa".
Il liquor ha tre funzioni: protegge il cervello da traumi, trasporta le sostanze nutrienti e rimuove quelle tossiche, e regola le variazioni di pressione nel cranio e nelle vertebre. È prodotto nei ventricoli cerebrali (strutture anatomiche costituite da un sistema di quattro cavità connesse fra loro), circola nelle cavità della base cranica e del midollo spinale, e viene poi riassorbito nel flusso sanguigno. Questo meccanismo permette un equilibrio dinamico fra produzione e riassorbimento del liquor che, se alterato, ne determina il suo accumulo provocando la dilatazione, a volte anche abnorme, dei ventricoli.
Nell’idrocefalo questo meccanismo viene a mancare, non vi è più equilibrio e si assiste ad un accumulo eccessivo di liquido cerebrospinale che provoca l'aumento di volume dei ventricoli e/o l'aumento della pressione all'interno del cranio.
L’idrocefalo può essere congenito, ossia già presente alla nascita, o può insorgere successivamente a causa di traumi o malattie, e si suddivide in due tipologie:
L’idrocefalo comunicante è causato dalla presenza di ostruzioni a livello delle meningi e dei vasi sanguigni del cranio che impediscono un adeguato assorbimento del liquido cerebrospinale. Queste ostruzioni possono essere di diversa natura:
Rientra nelle tipologie di idrocefalo comunicante anche l’idrocefalo normoteso, patologia che colpisce soprattutto in età adulta e con un fattore scatenante non completamente chiaro; l’insorgenza non è nota ma tra le cause che possono influire troviamo quelle riportate sopra, in aggiunta a traumi cranici e interventi neurochirurgici.
L’idrocefalo non comunicante è causato da un’ostruzione del normale flusso del liquido nei ventricoli, e le cause più frequenti sono:
La sintomatologia dell’idrocefalo varia con l’età e possiamo suddividerla per fasce.
Nei lattanti i sintomi più comuni sono:
Nei bambini più grandi e negli adulti i sintomi più comuni sono:
Nelle persone anziane, quelle maggiormente colpite da idrocefalo normoteso, troviamo tre sintomi tipici racchiusi in ciò che viene definita triade di Hakim, e che possono richiedere mesi o anni per manifestarsi:
La diagnosi dell’idrocefalo prevede una valutazione combinata di segni clinici, l’utilizzo di indagini strumentali e letture della pressione del liquor; può variare in base all’età del paziente, dalla posizione dell’ostruzione e dalla rapidità di insorgenza.
Le indagini strumentali si suddividono in:
Gli esami radiologici permettono di valutare e tenere monitorata la dilatazione delle cavità ventricolari e l’andamento del liquido cerebrospinale, e sono utili per pianificare il successivo trattamento chirurgico.
Nelle persone anziane l’idrocefalo normoteso è di difficile individuazione in quanto la sintomatologia è molto simile alle demenze: altre patologie che affliggono la terza età possono causare difficoltà nei movimenti e incontinenza urinaria, pertanto non è possibile basarsi solamente sui sintomi, rendendo necessari gli esami strumentali.
L’idrocefalo, se non trattato, può causare danni permanenti al cervello, menomazioni fisiche e mentali e in alcuni casi anche la morte. Il trattamento specifico dipende dai sintomi, dalla gravità e dalla presenza di progressione o meno, ossia se nel tempo le dimensioni dei ventricoli aumentano rispetto alle dimensioni del cervello.
Nei casi lievi, oltre alla misurazione periodica delle dimensioni della testa, la pressione del liquido può essere ridotta tramite l’estrazione dello stesso attraverso punture lombari.
Nei casi più gravi e progressivi la terapia è sempre chirurgica, al fine di ridurre la pressione nel cranio e trovare una via alternativa di deflusso del liquor per evitare il suo accumulo, e la procedura più utilizzata si chiama derivazione ventricolo-peritoneale. Si attua mediante l’inserimento di uno shunt ventricolare (un tubicino) che crea un percorso di drenaggio permanente per il liquido cerebrospinale. Si introduce un catetere nel ventricolo e si collega, tramite una valvola che regola il flusso a seconda della pressione, ad un altro catetere solitamente inserito nel peritoneo (una membrana che si trova nell’addome) in cui verrà riassorbito ed eliminato il liquido in eccesso. Tra le altre derivazioni che possono essere utilizzate possiamo citare la derivazione ventricolo-pleurica (la pleura è la membrana che avvolge i polmoni) e la derivazione ventricolo-atriale (all’atrio cardiaco).
Esistono altre tipologie di intervento chirurgico oltre alle derivazioni, e sono procedure che servono a creare una via alternativa di drenaggio del liquor dal cervello in maniera poco invasiva, tra cui la più famosa è la terzoventricolocisternostomia per via endoscopica.
Grazie a questi trattamenti e a controlli periodici la maggior parte dei pazienti riesce ad avere una vita con poche limitazioni e con uno sviluppo cognitivo normale. La qualità di vita, se l’idrocefalo viene trattato nei modi e nei tempi corretti, è più che soddisfacente; i problemi di sviluppo che possono insorgere vengono agevolati e marginati con programmi riabilitativi ed educativi, seppur effettuando obbligatoriamente specifici e periodici controlli clinico-strumentali, soprattutto nelle fasi precoci della malattia.