Se abiti in una delle città più colpite dall'emergenza Coronavirus, potresti anche conoscere diverse persone che lo hanno contratto. Non tutti però hanno sperimentato gli stessi sintomi con la medesima intensità. D'altronde, già si sapeva che questa infezione potesse avere diversi gradi di gravità e passare dal non dare alcun segnale della sua presenza al costringere un paziente al ricovero in terapia intensiva. Quello che però hanno scoperto alcuni ricercatori francesi è che vi sono tre tipi di decorso ben definiti in chi è sintomatico. Insomma, secondo lo studio pubblicato su The Lancet, ci sarebbe meno casualità nell'evolversi della malattia di quello che si pensa.
Nello specifico sono stati presi in esame cinque pazienti ricoverati all'ospedale di Parigi e in quello di Bordeaux. Le analisi risalgono alla fine di gennaio e, più precisamente, ai giorni tra il 24 e il 29, quando cioè venivano scoperti e confermati i primi casi in Europa. Inoltre, si è cercato di concentrarsi su un gruppo rappresentativo di tutti i contagiati. Vi erano infatti tre uomini e due donne e la loro fascia di età si estendeva dai 30 agli 80 anni.
A questo punto, i medici hanno prelevato campioni di materiale rinofaringeo (come accade anche durante un normale tampone per verificare che tu abbia contratto o meno il Covid-19), come pure di sangue, urine e feci. Per i primi tre giorni, questa operazione è avvenuta con cadenza quotidiana, mentre a partire dal quarto giorno si è scesi a un prelievo ogni 48 ore, fino a quando i pazienti non sono stati dimessi. Il laboratorio che ha analizzato questi campioni era dell'Istituto Pasteur di Parigi, quello dove nel 1983 è stato isolato il virus dell'Hiv, in collaboraizone con gli Ospedali Civili di Lione. In quest'ultima struttura il genoma del SARS-Cov-2 è stato sequenziato ed è stato estratto l'RNA virale.
Così è stato possibile avere una sorta di schema secondo cui il Covid-19 agisce. E questo piano ha tre opzioni:
In un primo caso, si possono notare sintomi piuttosto importanti all'inizio dell'infezione, ma a mano a mano che i giorni passano il paziente migliora, anche senza l'ausilio di farmaci. Insomma, il virus è presente in buona quantità nell'organismo della persona, ma quest'ultimo riesce a metterlo a tacere abbastanza rapidamente.
Altre persone sperimentano invece una malattia in due fasi, che potevano anche trarre in inganno i medici che le assistevano. All'inizio infatti il paziente non sembrava in pericolo e le sue condizioni rimanevano stabili, fino a quando non si incorre in un rapido peggioramento che comincia più o meno una decina di giorni dopo che è comparso il primo sintomo.
Nell'ultimo caso, il paziente appare subito grave e le sue condizioni non migliorano. Anzi, la malattia progredisce fino al suo epilogo peggiore: l'insufficienza di diversi organi e non solo dei polmoni. La carica virale del paziente in questo caso è molto elevata, al punto che può essere riscontrato anche nel plasma. Purtroppo questa situazione conduce anche al decesso.
Questi modelli di sviluppo dell'infezione sono stati in seguito confermati dall'osservazione clinica dei pazienti ricoverati e possono quindi risultare utili per capire meglio come trattare e come rapportarsi a una malattia che fa sorgere ancora molti dubbi.
Fonte| "Clinical and virological data of the first cases of COVID-19 in Europe: a case series", pubblicato su The Lancet Infectious Diseases il 27 marzo 2020