Il direttore sanitario del Columbus Gemelli sulla pandemia: “Cruciale ciò che accadrà durante le feste di Natale”

Dopo aver vissuto di nuovo l’intensità dell’epidemia di Covid, ci aspetta una nuova sfida, quella delle festività natalizie cadono proprio in inverno, la stagione dei virus respiratori. Al dottor Gennaro Capalbo abbiamo chiesto se gli ospedali siano preoccupati per un possibile nuovo aumento dei contagi e come abbia vissuto la seconda ondata di Coronavirus l’ospedale più grande di Roma.
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Giulia Dallagiovanna 1 Dicembre 2020
* ultima modifica il 01/12/2020
Intervista al Dott. Gennaro Capalbo Direttore sanitario del presidio Columbus dell'IRCCS Policlinico Universitario Gemelli di Roma

"A partire da agosto si è verificata una lunga escalation nel ritmo dei ricoveri. Nella seconda metà di settembre, dopo diversi mesi con numeri assai contenuti, siamo tornati a toccare la soglia dei 100 pazienti Covid ricoverati. Un mese dopo – dunque nell'ultima parte del mese di ottobre – tale numero era di fatto triplicato". Nonostante tutte le misure messe in campo in via preventiva, la seconda ondata di Coronavirus ci ha travolto. La pressione sugli ospedali è stata minore rispetto a marzo e aprile, ma lo sforzo da parte delle strutture è stato comunque notevole. E, in ogni caso, siamo di nuovi stati costretti a chiuderci in casa e a contemplare le saracinesche dei negozi abbassate per settimane.

Ora ci aspetta il Natale, che abbiamo tutti diritto di vivere in serenità e ricercando il calore famigliare, ma senza dimenticarci di essere nel bel mezzo di una pandemia. Si tratta probabilmente degli ultimi sacrifici che dovremo fare: i vaccini sembrano davvero dietro l'angolo. Nel frattempo, però, dobbiamo capire come affrontare i giorni di festa che, purtroppo, cadono pure nella stagione invernale. Lo abbiamo chiesto al dottor Gennaro Capalbo, direttore sanitario del presidio Columbus del Policlinico Gemelli, che ci ha spiegato come ha vissuto la seconda ondata di Covid, il più grande ospedale di Roma.

Il dottor Gennaro Capalbo, direttore sanitario del Columbus Gemelli di Roma. Credits photo: Segreteria Direzione Sanitaria Presidio Columbus

Dottor Capalbo, come ha affrontato la seconda ondata di Covid-19 il Policlinico Gemelli, uno degli hub previsti dalla Regione Lazio?

Possiamo affermare che il processo di riorganizzazione del nostro ospedale in relazione all'emergenza Covid-19 fosse ininterrottamente in corso – sia pure con diverse fasi – fin dallo scorso marzo.  Come noto a molti, abbiamo da subito destinato un intero presidio ospedaliero, ossia il Columbus, al trattamento di pazienti con questa infezione.

La ratio di questa scelta è abbastanza evidente: il presidio Columbus è una struttura collegata al Policlinico Gemelli dal punto di vista funzionale, ma indipendente dal punto di vista strutturale, benché posta a qualche centinaio di metri di distanza. Questo di base ci consente una separazione dei degenti con infezione da SARS-CoV-2 rispetto agli altri pazienti ricoverati presso il Policlinico Gemelli, con intuibili vantaggi dal punto di vista igienico-organizzativo. Va ricordato che il Columbus fino a 9 mesi fa era una struttura con diverse specialità (reparti di medicina, chirurgia, ortopedia, ecc.) e circa 250 posti letto. La sua ricettività complessiva si attesta tuttora su questi numeri, ed essendo giunti ad avere in queste ultime settimane anche 370 pazienti Covid, si è chiaramente presentata la necessità di adottare ulteriori soluzioni.

Sono stati riorganizzati reparti per far posto al pazienti COVID? 

Sì. L'incremento del numero dei pazienti Covid da ricoverare ci ha portato a dover riconvertire alcuni reparti specialistici del nostro presidio principale, il Policlinico Gemelli. Ciò era già accaduto nel corso della fase iniziale della prima ondata. Il nostro sforzo organizzativo – sulla scorta anche dell'esperienza maturata in questi mesi – è stato ed è tuttora teso a minimizzare l'impatto di tali riconversioni di aree di degenza sull'assistenza che assicuriamo agli altri nostri pazienti. Ricordo comunque che alcuni pazienti Covid con particolari caratteristiche, come le donne in gravidanza e come coloro che sono affetti da patologie tempo-dipendenti (infarto, ictus, trauma, ecc.) non potrebbero essere trattati in Columbus e vengono in ogni caso, sin dall'inizio dell'emergenza – ricoverati al Gemelli su posti letto dedicati.

Nelle settimane centrali di ottobre, a quale ritmo crescevano i ricoveri? 

Il ritmo di crescita dei ricoveri in quelle settimane, così come in quelle immediatamente precedenti e successive, è stato decisamente incalzante.

Nella seconda metà di settembre, siamo tornati a toccare la soglia dei 100 pazienti Covid ricoverati. Un mese dopo erano triplicati.

Citerei alcuni dati esemplificativi. Nella seconda metà di settembre, dopo diversi mesi con numeri assai contenuti, siamo tornati a toccare la soglia dei 100 pazienti Covid ricoverati. Un mese dopo – dunque nell'ultima parte del mese di ottobre – tale numero era di fatto triplicato. Nel mese di novembre, prima della fase di relativo rallentamento che stiamo vivendo negli ultimi giorni, siamo giunti ad avere anche 370 pazienti Covid. Si è trattato di una lunga escalation che purtroppo ci ha accompagnato da agosto. Da quel momento per tre mesi abbondanti non abbiamo mai visto il segno meno nel saldo giornaliero definito da ricoveri e dimissioni.

Vi aspettavate una situazione di questo tipo o gli ospedali, a suo parere, sono stati messi di nuovo in difficoltà? 

Per rimanere al nostro territorio di riferimento, la Regione Lazio – in relazione all'andamento epidemico – ha gradualmente incrementato il numero dei posti letto della propria rete ospedaliera dedicati alla cura dei pazienti Covid. Ciò ha ovviamente riguardato anche noi. Per quanto riguarda il presidio Columbus e il Policlinico Gemelli, anche nei mesi estivi di relativa "calma" dell'epidemia abbiamo lavorato per mantenere una flessibilità di assetto che ci consentisse di essere pronti ad affrontare nuove ondate come quella presentatasi nell'arco degli ultimi 2 mesi.

Non possiamo quindi dire che le riattivazioni di posti letto avvenute fossero al di fuori delle previsioni, certamente possiamo affermare che l'impatto e lo sforzo dell'organizzazione sono state anche in questa occasione notevoli. D'altronde, basti pensare che a fine luglio in tutta la nostra Fondazione era attivo un solo reparto Covid in Columbus: avevamo dunque un paio di decine di pazienti ricoverati, mentre di recente siamo giunti non lontani dall'averne complessivamente 400. Per la nostra realtà, non parlerei comunque di difficoltà, bensì di una fase contraddistinta da intensità e grande impegno, a tutti i livelli.

Quale situazione potrebbe delinearsi a gennaio e febbraio e come vi state preparando? 

L'approssimarsi della stagione fredda non è certamente un elemento a favore. Tendiamo a passare più tempo al chiuso, in ambienti con ridotta ventilazione. D'altro canto, le temperature più basse agevolano di per sé la diffusione dei coronavirus come il SARS-COV-2. Da questo punto di vista, quindi, possiamo ragionevolmente aspettarci mesi non semplici: cruciale sarà ciò che accadrà nel corso delle festività natalizie.

È da rimarcare una differenza sostanziale rispetto a febbraio e marzo 2020: oggi siamo in grado di intercettare prima i casi, quindi li trattiamo più efficacemente, ovviamente anche grazie al notevole avanzamento delle conoscenze sulla malattia da Covid-19 avutosi in questi lunghi mesi.

Per quanto riguarda il possibile carico sulla rete ospedaliera a inizio 2021, non possiamo certamente escludere che sia ancora notevole. Come detto in precedenza, ci prepariamo in primo luogo mantenendo un assetto flessibile che ci consenta di far fronte, con azioni rapide e al tempo stesso appropriate, ai mutamenti dell'andamento epidemico, che possono essere anche assai repentini. Nello specifico, ci riuniamo almeno due volte alla settimana in un'unità di crisi aziendale, che – tra l'altro – ha il compito di validare piani di escalation o di de escalation in merito ai reparti Covid attivi, in relazione al diverso grado di pressione sul nostro Pronto Soccorso e in osservanza delle disposizioni regionali che via via si susseguono.

Vi aspettate anche un aumento dei ricoveri per le possibili complicanze dell'influenza stagionale? 

Certamente vi è questo rischio. Il picco dell'influenza stagionale in genere si presenta tra la metà e la fine del mese di gennaio. Evidentemente il suo impatto può sommarsi a quello – presumibilmente ancora importante – del SARS-CoV-2, con la possibilità concreta di affollamenti anche importanti dei nostri Pronto Soccorso. Una variabile fondamentale è relativa al numero di persone che si saranno sottoposte alla vaccinazione antinfluenzale.

"Colgo l'occasione per ricordare l'importanza del vaccino antinfluenzale"

Colgo l'occasione per ricordarne l'importanza, quest'anno più che mai. L'influenza ha sintomi che possono essere molto simili a quelli del Covid-19: vaccinarsi contro l'influenza – oltre a agevolare il medico nella diagnosi – consente di ridurre l'impatto in termini di afflusso sui servizi sanitari sia ospedalieri che territoriali, già notevolmente sotto stress.

Siete preoccupati delle possibili conseguenze delle feste di Natale in termini di aumento dei contagi e di pressione sulle strutture sanitarie? 

È impossibile non nutrire una certa preoccupazione. Le festività natalizie sono il momento dell'anno che più di tutti è caratterizzato dalla volontà di stare assieme, di rivedere i nostri cari ed i nostri affetti, specie se non sono a contatto costante con noi durante il resto dell'anno. Ciò di norma è accompagnato da rilevanti spostamenti di persone da un capo all'altro della penisola, non a caso il Governo sta seriamente pensando di inibirli salvo che in casi selezionati.

Come anticipato, in termini di diffusione del contagio da coronavirus vi è una sostanziale differenza rispetto al periodo estivo (che pure, mi auguro, costituirà una lezione per molti) e non è a nostro favore: le festività natalizie cadono nella stagione invernale, le temperature sono di norma basse e gli incontri avvengono per lo più al chiuso. Ad ogni modo, ritengo che il rispetto delle norme di prudenza che la situazione epidemica strettamente ci impone non sia in conflitto con la sacrosanta volontà di vivere il Natale nel suo significato più pieno e profondo.

Oltre all'osservanza delle disposizioni istituzionali di prossima emanazione, da sanitario non posso fare a meno di rimarcare che lo strumento più efficace per sconfiggere il SARS-CoV-2 è nelle mani di ciascuno di noi, e mi riferisco alla nostra condotta quotidiana: distanziamento fisico evitando raduni e assembramenti, uso delle mascherine, igiene delle mani. Accanto a queste ormai note misure, ribadisco l'importanza della vaccinazione antinfluenzale. Più saremo ligi nell'ascoltare questi semplici consigli provenienti quotidianamente dagli esperti, più rapidamente saremo in grado di superare la complessa fase che stiamo vivendo.

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