Il futuro del trattamento del diabete di tipo 1? È nello smartphone che hai in tasca

Insieme alla dottoressa Angela Girelli, diabetologa dell’ASST Spedali Civili di Brescia, abbiamo ripercorso la rivoluzione tecnologica che ha caratterizzato il trattamento del diabete di tipo 1. Che oggi punta su una gestione più facile, comoda, discreta e personalizzabile grazie alle potenzialità dei nostri smartphone.
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Kevin Ben Alì Zinati 27 Ottobre 2022
* ultima modifica il 27/10/2022
In collaborazione con la Dott.ssa Angela Girelli Direttore UOC Medicina a indirizzo Metabolico e Diabetologico, ASST Spedali Civili di Brescia

Mettendo la mano in tasca ed estraendo lo smartphone, come per leggere un messaggio o scorrere le notifiche di qualche social. Un’azione ordinaria, regolare e che oggi passerebbe inosservata anche agli occhi dei più curiosi e «ficcanaso».

Così sarà il futuro dei malati di diabete di tipo 1. Che per controllare i propri livelli di glicemia ora potranno anche solo accedere a una normalissima App scaricata sul proprio telefono e cliccare lo schermo con il pollice per regolare l’infusione dell’insulina.

Una svolta che “comporterà grossi vantaggi in termini di comodità, praticità, personalizzazione e discrezione ha spiegato la Dott.ssa Angela Girelli, Direttore UOC Medicina a indirizzo Metabolico e Diabetologico, ASST Spedali Civili di Brescia.

Facciamo un passo indietro. La storia del trattamento del diabete di tipo 1 negli ultimi decenni è stata protagonista di una rivoluzione tecnologica che non ha solo migliorato le modalità di erogazione dell’insulina o i sistemi di controllo dei valori glicemici.

L’innovazione è riuscita a rendere la convivenza con la patologia decisamente più facile e agevole: un enorme passo in avanti per le circa 300mila persone che in Italia ne soffrono.

Questa storia l'abbiamo ripercorsa insieme alla dottoressa Girelli.

Due facce delle stessa patologia

Spesso avrai sentito parlare di diabete in maniera generica e indistinta, ma devi sapere che ci sono due volti della stessa patologia. C’è il diabete di tipo 1, che tra le malattie rare è una delle più frequenti. “Si tratta di una patologia autoimmune che colpisce prevalentemente persone in età infanto-giovanile, anche se oggi sappiamo che può insorgere a qualsiasi età, anche adulta/anziana” ha specificato la diabetologa dell'ASST Spedali Civili di Brescia.

Si caratterizza per l’inefficienza del sistema immunitario, che per motivi ancora non del tutto chiari, aggredisce e distrugge le cellule che producono insulina, l’ormone prodotto dalle betacellule e indispensabile per l’utilizzo del glucosio come fonte energetica per il nostro organismo.

Il diabete di tipo 2 (o mellito) invece è una patologia legata sia a una componente di predisposizione genetica sia a fattori come la sedentarietà, l’obesità e il sovrappeso ed è estremamente frequente. Pensa che, secondo i dati del ministero della Salute, sarebbe responsabile di quasi 3 milioni di casi (circa il 6-8% della popolazione italiana).

Insieme alla dottoressa Girelli ci siamo concentrati sull’evoluzione del trattamento del diabete di tipo 1 e non di quello di tipo 2 perché oggi solo una piccola quota di pazienti può sfruttare le terapie a somministrazione continua e «intelligente» di insulina.

Il diabete di tipo 2 nelle sue fasi iniziali è caratterizzato, infatti, dall’insulino-resistenza, cioè la scarsa capacità delle cellule di rispondere all’azione dell'ormone.

La patologia può in effetti avere una durata tale da rendere necessaria una terapia a base di insulina dal momento che i trattamenti precedenti possono portare le betacellule a esaurire la capacità di produrre questo ormone. I casi, ci ha spiegato che la dottoressa Girelli, non sono comunque ancora così numerosi per pensare al passaggio totale verso un trattamento automatizzato.

Cavalcando la tecnologia

Il trattamento del diabete di tipo 1 ha visto la prima vera svolta grazie alle nuove insuline che, simulando efficacemente l’attività del pancreas (che misura la glicemia e immette nel sangue la quantità di insulina necessaria), ci hanno aiutato a migliorare il controllo glicemico.

Poi sono stati messi a punto i microinfusori per la somministrazione continua sottocutanea di insulina e i sistemi di monitoraggio in continuo. “Due elementi fondamentali per ottenere un miglior controllo glicemico e, soprattutto, garantire una vita qualitativamente migliore e più lunga”. 

Il microinfusore è un dispositivo che eroga insulina 24 ore su 24, senza interruzioni e anche a velocità differenti in base al momento della giornata. La vera svolta però furono i sistemi di monitoraggio in continuo. Studiati fin dagli anni ’90, consentono di abbandonare il famoso pungidito per la misurazione della glicemia.

“La somministrazione continua sottocute prima dell’introduzione del monitoraggio in continuo era una tecnologia con qualche limite, perché un paziente che indossava il microinfusore era comunque costretto a controllare la glicemia con il pungidito ogni 4-5 ore e poi a dosare l’insulina” ha spiegato la dottoressa Girelli, ricordando che il dosaggio glicemico in maniera puntiforme per molti rappresenta una fonte di disagio e peso sociale. Il monitoraggio in continuo ha permesso, invece, di inviare i dati del monitoraggio al microinfusore senza la necessità di un prelievo capillare così frequente.

La combinazione sempre più efficace di queste due tecnologie però ha anche permesso di concretizzare la cosiddetta «chiusura dell’ansa». Si tratta di un sistema in grado di sostituire in maniera sicura la funzione del pancreas.

“Negli ultimi 20 anni questo sistema di «chiusura dell’ansa» è stato ulteriormente implementato dal punto di vista tecnologico con l’inserimento di algoritmi in grado di automatizzare l’infusione dell’insulina in base al dato ricevuto dal sistema di monitoraggio in continuo”. Significa, in sostanza, che l’algoritmo corregge in modo del tutto automatico l’infusione continua per evitare che la glicemia diventi troppo alta o troppo bassa.

Impossibile da dimenticare 

Scienza e medicina hanno sempre spostato un po’ più in là l’asticella del trattamento del diabete di tipo 1. L’obiettivo era sgravare il paziente da un impegno non indifferente: una persona con diabete di tipo 1 quotidianamente deve prendere decisioni in base al proprio stato di salute. Chi vive con il diabete, insomma, non può mai «dimenticarsi» della sua malattia.

Per arrivarci è servita un’intuizione vincente. Ovvero sfruttare le potenzialità di un altro elemento che, di fatto, nessuno di noi può (vuole o riesce) dimenticarsi: lo smartphone. In Italia circa ci sono circa 80 milioni di dispositivi e per 60 milioni di popolazione e ogni giorno 50 milioni di persone risultano attive sul web.

Sarebbe stato dunque miope non intravedere in questi dispositivi dei margini di miglioramento anche per quanto riguarda il trattamento del diabete.

Integrando l’algoritmo per il monitoraggio in continuo dei livelli glicemici e per l’erogazione automatizzata adattiva all’interno di un’App, siamo così arrivati a una convivenza ancora più agevole e a un trattamento della patologia maggiormente maneggevole, flessibile e adattabile.

Il paziente può vivere la propria patologia solo con tre elementi: due fisici, il microinfusore e il sensore, e poi un’App che riceve tutti i dati da questi due dispositivi, e l’algoritmo che permette la regolazione della terapia.

“Il telefono è sempre in tasca, il sensore attaccato al braccio e il microinfusore spesso attaccato alla cintura o, nelle donne, agganciato al reggiseno – ha concluso la dottoressa Girelli – Il fatto di non dover sistematicamente mettere mano al microinfusore è fondamentale: per la gestione quotidiana il paziente lo deve estrarre ovunque si trovi, mentre con i sistemi basati su cellulare è sufficiente utilizzare il telefono per tutte le operazioni quotidiane necessarie alla gestione della terapia”.

La convivenza con il diabete, così, è sicuramente un po' più facile no?

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