Il Parlamento da una parte, le storie di Antonio e Mario dall’altra: il divario sul fine vita in Italia

Il diritto al suicidio assistito nel nostro Paese esiste già, lo ha sancito la storica sentenza della Corte Costituzionale sulla vicenda Cappato-Dj Fabo. Eppure accedervi è quasi impossibile, come dimostrano i casi di due pazienti marchigiani. E il testo di legge tuttora in fase di discussione in Aula risulta annacquato. Ne abbiamo parlato con l’avvocato Francesca Re, co-difensore di Antonio e membro dell’Associazione Coscioni.
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Giulia Dallagiovanna 12 Febbraio 2022
* ultima modifica il 16/02/2022

Ci sono le persone, milioni se consideriamo quelle che hanno firmato per il referendum sull'eutanasia legale, che chiedono una legge sul fine vita in Italia. Ci sono le istituzioni che fanno resistenza, non riuscendo a votare un testo base sul suicidio assistito e rischiando di rimandare tutto a marzo. Nel mezzo, le storie di Mario e Antonio, entrambi nomi di fantasia, che potrebbero essere i primi pazienti ad accedere all'intera procedura nel nostro Paese. Anche perché stiamo parlando di un diritto che già esiste: "È stato riconosciuto dalla sentenza della Corte Costituzionale sulla vicenda Cappato-Dj Fabo e risulta applicabile a partire dal giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale". La pubblicazione di cui parla l'avvocato Francesca Re, co-difensore di Antonio e membro della giunta dell'Associazione Luca Coscioni, è avvenuta il 27 novembre 2019. Due anni e mezzo fa.

Antonio vive nelle Marche, proprio come Mario. Da ormai 18 mesi chiede di poter accedere al suicidio assistito, dopo aver preso atto che le sue condizioni sarebbero state irreversibili. A giugno 2014, infatti, è rimasto vittima di un incidente stradale durante una tasferta di lavoro e ha riportato una frattura vertebrale che lo ha reso tetraplegico. Ha subito intrapreso un percorso di riabilitazione e fisioterapia: otto anni di lotta per ottenere quei miglioramenti che non sono mai arrivati. Antonio ha quindi chiesto che ASUR Marche procedesse alla verifica delle condizioni previste dalla Corte Costituzionale: presenza di una patologia irreversibile, nonché fonte di sofferenze insopportabili, ricorso a trattamenti di sostegno vitale e certezza di una decisione presa in assoluta libertà e autonomia da parte del paziente.

Come era già accaduto per Mario, però, l'azienda sanitaria si è rifiutata. "Asur Marche non si è attivata e quindi il collegio legale di cui faccio parte ha iniziato una battaglia, prima di tutto attraverso diffide – spiega Re. – La prima è partita la scorsa estate e una seconda è arrivata al governo, al ministro della Salute e al ministro della Giustizia. L'articolo 120 della Costituzione prevede che il governo possa intervenire per garantire il rispetto dei diritti che le Regioni non stanno assicurando". Ma dalla politica non è arrivata alcuna risposta, così i legali hanno deciso di proseguire con una denuncia per omissione di atti d'ufficio sulla quale è ancora in corso un'indagine da parte della procura. "Da ultimo abbiamo depositato un procedimento d'urgenza al tribunale competente, che pochi giorni fa ha ordinato ad Asur Marche di procedere tempestivamente alla verifica delle condizioni".

Un copione che si ripete dunque, mentre proprio ieri Mario ha saputo che Asur Marche ha infine stabilito il farmaco letale che sarà utilizzato nel suo caso, il Tiopentone. "La validazione del farmaco e delle modalità di auto-somministrazione crea finalmente un precedente che consentirà a coloro che si trovano e si troveranno in una situazione simile a quella di Mario di ottenere, se lo chiedono, l'aiuto alla morte volontaria senza dover più aspettare 18 mesi, subendo la tortura di una sofferenza insopportabile contro la propria volontà" ha commentato Marco Cappato, tesoriere dell'Associazione Coscioni.

Muri che vegono abbattuti uno dopo l'altro attraverso la perseveranza e la determinazione di persone che decidono di mettere a disposizione la propria vita, e le proprie sofferenze, per promuovere i diritti di tutti. È grazie a loro se oggi si parla di suicidio assistito in Italia e non più in Svizzera.

Il testo di legge non prevede scadenze entro le quali bisogna procedere con richieste e verifiche

Il Parlamento invece è fermo. Nonostante i richiami della Corte Costituzionale, nonostante una proposta di legge popolare depositata nel 2013, nonostante l'arrivo in Aula di un testo che in tanti definiscono annacquato. Prima di tutto perché ancora non sono state inserite delle scadenze, dei tempi certi entro i quali i diversi attori in gioco devono procedere con richieste e verifiche. "Rimane poi il riferimento ai trattamenti di sostegno vitale – aggiunge l'avvocato Re, – escludendo in questo modo i pazienti oncologici. Un'altra discriminazione riguarda le persone che non sono in grado fisicamente di autosomministrarsi il farmaco e che avrebbero bisogno di un aiuto attivo da parte del medico. Se però un operatore sanitario interviene, rischia una denuncia per omicidio del consenziente".

E qui si inserisce la proposta di referendum promossa dall'Associazione Coscioni, assieme ad altre realtà come i Radicali, le Sardine e Più Europa: abrogare parte dell'articolo 579 del Codice Penale, che disciplina appunto l'omicidio del consenziente. In questo modo la strada per un'azione diretta dello specialista sarebbe spianata. La prossima data da tenere a mente, dunque, è il 15 febbraio, quando la Corte Costituzionale si esprimerà sulla legittimità della proposta.

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