Il rispetto dell’ambiente e la ricerca scientifica per aiutare i bambini malati di cancro: cos’è Progetto Heal

Progetto Heal nasce dall’idea di due genitori che hanno perso la figlia di 5 anni per colpa di un tumore al cervello. Lo scopo è quello di aiutare la ricerca, raccogliendo fondi da destinare all’equipe neuro-oncologica dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma, ma nel frattempo si cerca anche di promuovere uno stile di vita più sostenibile. A Ohga l’ha racconto proprio Simone De Biase, il papà di Gaia.
Entra nel nuovo canale WhatsApp di Ohga
Giulia Dallagiovanna 18 Settembre 2020
* ultima modifica il 23/09/2020

Heal significa "curare". Ma in quanti modi si può curare una persona? Medicinali e terapie, certo, ma anche prendendosi cura di lei, a tutto tondo. E se si tratta di un bambino malato di cancro, questo gesto diventa ancora più essenziale. Proprio come fanno alcuni medici o alcuni infermieri che si incontrano in ospedale, magari durante un ciclo di chemioterapia. Quegli stessi specialisti che dedicano il loro tempo alla ricerca, anche quando i fondi sono pochi e gli ostacoli sembrano moltiplicarsi. È in tutto questo ampio contesto che si inserisce Progetto Heal. La storia da cui nasce però è più piccola e personale.

Ha inizio grazie a Gaia, una bambina che all'età di tre anni scopre di essere affetta da una rara forma di tumore al cervello al quale purtroppo non riuscirà a sopravvivere. Ma per ricordare la lunga battaglia e soprattutto la forza con cui Gaia l'ha combattuta, il padre, Simone De Biase, e la madre decidono di fondare un'associazione nel loro paese, Isola del Liri, un comune di 11mila abitanti in provincia di Frosinone. Era il 2016. Oggi Progetto Heal è una fondazione che ha già raccolto oltre 173mila euro per aiutare laboratori e reparti oncologici e più 420mila euro per finanziare borse di studio per la ricerca.

A differenza di altre realtà di questo tipo, Progetto Heal non dimentica l'ambiente e anzi si potrebbe quasi dire che la seconda missione della fondazione sia promuovere uno stile di vita sostenibile. "Ho studiato biologia a indirizzo naturalistico e non è un caso se ho chiamato mia figlia Gaia, cioè Terra – racconta a Ohga proprio Simone De Biase. – Ho sempre pensato che i tumori si combattessero con la ricerca scientifica, ma anche educando a un maggior rispetto dell'ambiente, aiutando il luogo dove viviamo ad essere più salutare. Che la prevenzione passi anche dalla salvaguardia del nostro Pianeta è un dato di fatto".

"La prevenzione passa anche dal rispetto per l'ambiente "

Ed è in questa doppia ottica che deve quindi essere letta Healiade/Ride4Hope, un giro della Puglia in bicicletta allo scopo di raccogliere fondi da destinare all'equipe neuro-oncologica dell'Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. "Ricordo che quando venne a mancare mia figlia avvertii la necessità di mettermi in viaggio -prosegue De Biase. – Poi tradussi questo stimolo in una partenza più metaforica, con la nascita di questo progetto. Qualche mese fa però un altro papà, Andrea Gentile, ha vissuto la stessa esperienza: suo figlio Matteo ha perso una lunga battaglia contro un particolare tipo di tumore molto difficile da curare, il glioma diffuso intrinseco del ponte (DIPG). È stato lui a dirmi che voleva mettersi in viaggio. Così ho pensato che se tutti avvertivamo questa esigenza, forse era giusto provarci".

Andrea Gentile vive proprio in Puglia e la scelta dell'itinerario è venuta quindi in modo naturale. Un percorso di 400 chilometri al motto di "adotta un Km per la ricerca", il cui arrivo è stato a Lecce esattamente nel giorno del compleanno di Matteo. Durante le varie tappe, tra cui Manfredonia, Barletta e Bari, si sono aggiunti altri papà, ma anche sostenitori dell'iniziativa e ricercatori che collaborano con Progetto Heal. "Un viaggio alla ricerca ma soprattutto per la ricerca, in fondo noi il nostro tesoro lo portiamo sempre nel cuore", ha scritto Andrea Gentile sulla pagina Facebook creata per sensibilizzare contro il DIPG.

E non è un caso nemmeno il fatto che l'altra iniziativa che a partire da quest'anno farà parte stabilmente delle campagne di Progetto Heal si chiami Recycle4Research. Nata come modo di eliminare l'imbarazzo che può arrivare quando si deve chiedere alle persone un contributo economico, ha finito per diventare una parte fondamentale dell'intero progetto. "Ho pensato che ciascuno di noi possiede tanti oggetti ancora di valore che però non usa più – ci spiega Simone De Biase. – Un libro, una bicicletta, un disco. Li accantoniamo nel sottoscala e alla fine li buttiamo via, creando altri rifiuti.  Ma si potrebbe dar loro una nuova vita, magari coinvolgendo persone che ci aiutino a riparare quelli che non funzionano più così bene, e poi vendendoli per raccogliere fondi per la ricerca. Qualche mattina fa ci hanno donato un monopattino elettrico ancora con il cellofan e lo abbiamo venduto subito, perché chi lo compra sa di sostenere la fondazione".

Si è creato un circolo virtuoso in cui si ricicla e si dona un vecchio oggetto, e poi si dona di nuovo al momento dell'acquisto. E intanto non si aggiunge nuovo indifferenziato ai cumuli che purtroppo già produciamo ogni anno.

Dall'altra parte, come anticipavo prima, c'è l'Ospedale pediatrico Bambino Gesù e in particolare l'equipe neuro-oncologica e multidisciplinare guidata dal professor Franco Locatelli e dalla professoressa Angela Mastronuzzi. È l'unico gruppo di ricerca di questo tipo che esiste in Italia e grazie ai fondi arrivati da Progetto Heal, diversi ricercatori italiani che lavoravano all'estero sono riusciti a tornare nel nostro Paese. "Un esempio è la dottoressa Maria Vinci  – precisa De Biase – che ha anche pedalato con noi in Puglia e che prima si trovava a Londra. Collaborare con il Bambino Gesù per noi è motivo di orgoglio". Healiade/Ride4Hope, ad esempio, è servito per finanziare un programma di riabilitazione post operatorio o post chemio per i bambini costretti a letto per lunghi periodi. In questo modo, i loro medici potranno rimanere sempre in contatto con loro, monitorandoli a distanza per capire se sia necessario intervenire a livello terapeutico o fisioterapico.

Come dice Caparezza in una delle sue canzoni:

"Quante volte son rimasto accucciato, che mi sentivo come un cane abbandonato, mi son guardato indietro e non ho visto più nessuno e me la sono presa col destino e proprio sull'orlo dell'abisso che chiedevo aiuto soltanto a me stesso, ho visto nella notte più nera del lutto una stella che mi ha illuminato tutto".

L'idea dietro Progetto Heal è un po' questa, una piccola stella che aiuti in una situazione dove nulla sembra avere più senso, come la malattia di un figlio.

La citazione non è casuale. Caparezza era il cantante preferito di Gaia. Assieme alla sua musica, è riuscita ad affrontare 40 cicli di radioterapia, senza sedazione, nonostante fosse costretta, come tutti i pazienti, a rimanere all'interno di una rete di plastica che la tenesse ferma al letto e le impedisse qualsiasi movimento. "Lui conosceva mia figlia e l'ha invitata spesso ai suoi concerti. Quando finiva la radioterapia aveva le vertigini e non voleva scendere dal letto, così un invito da parte di Caparezza le faceva riprendere la sua vitalità".

Gaia è arrivata al pronto soccorso il 23 dicembre 2013, quando il tumore da cui era affetta si era rivelato all'improvviso. Due anni e due giorni dopo è venuta a mancare. Aveva cinque anni. Ma la sua storia e quella dell'amicizia con il cantante ora diventeranno un racconto in cui una bambina imprigionata nel ghiaccio viene svegliata da un musicista vagabondo. E anche il ricavato di queste vendite sarà tutto a favore della ricerca.

Fonte| Progetto Heal

Credits photos: Ufficio stampa Progetto Heal

Le informazioni fornite su www.ohga.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.