Il vaccino antinfluenzale? In farmacia non c’è e ai medici arriva con il contagocce: a che punto siamo

In una recente intervista il dottor Silvestro Scotti, segretario della federazione dei medici di medicina generali, ha lanciato l’allarme sulla questione vaccini: ora a rischio non ci sarebbe solo la popolazione attiva, ma anche i medici di base di diverse regioni italiane non starebbero ricevendo le dosi acquistate.
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Kevin Ben Alì Zinati 12 Novembre 2020
* ultima modifica il 13/11/2020

All’emergenza influenza sembravamo aver trovato una potenziale mezza soluzione. Le prime dosi di vaccino erano state consegnate ai medici di famiglia e perciò almeno la popolazione a rischio, seppur in ritardo, sarebbe stata vaccinata e protetta, con buona pace (forse) di quella attiva che invece avrebbe dovuto attendere, e sperare. Ora però anche questo mezzo sorriso sembra ormai lontano perché i medici di famiglia di "più della metà delle regioni sarebbero rimasti senza dosi". La denuncia arriva dal dottor Silvestro Scotti, segretario della Fimmg, la federazione dei medici di medicina generali che all’Agi ha spiegato che le dosi "affidate in prima battuta sono già state consumate e ora si è creata una pausa”.

Milioni e ritardi

Con l’influenza all’orizzonte e la pandemia da Coronavirus in lenta ripresa, era stata l’Aifa, ancora a settembre, a rassicurare gli animi sul vaccino antinfluenzale parlando di 17 milioni di dosi acquistate dalle Regioni: una quota che avrebbe risposto “ampiamente al fabbisogno della popolazione” visto che la campagna vaccinale dello scorso anno aveva portato a una distribuzione di 12,5 milioni di dosi e a una copertura del 54,6% negli over65.

Per far fronte alla sovrapponibili con il Coronavirus e per rendere agevole la vaccinazione a fronte di tutte le norme anti contagio, per quest’anno il Ministero della Salute aveva annunciato l’avvio anticipato della campagna vaccinale a ottobre e non più a novembre. Fin da subito però la stagione fredda si era portata dietro l’emergenza vaccino. Nel senso che le dosi non c’erano, né per le categorie a rischio, quindi anziani (over60) e persone con patologie, né per i “sani” che l’avrebbero acquistato in farmacia a proprie spese.

Il dottor Cricelli, presidente della Società italiana di medicina generale, ci aveva spiegato che le mani vuote di medici e farmacie erano dipese, in sostanza, a una scarsa lungimiranza delle amministrazioni regionali e delle farmacie che, rimaste a lungo immobili, avevano finito per muoversi in ritardo con l’acquisto dei composti. Il polverone si era così alzato e la paura che il vaccino per i privati potesse davvero non arrivare aveva assalito più di un farmacista.

A fine settembre un rapporto pubblicato dalla fondazione Gimbe aveva fotografato la situazione vaccinale in cui viveva l’Italia. Dai dati raccolti emergeva che solo 12 regioni avevano comprato vaccini sufficienti per “pungere” l’obiettivo minimo per frenare la diffusione del virus, ovvero il 75% della popolazione a rischio, diversamente da Trento e Bolzano, Piemonte, Umbria, Molise, Lombardia, Val d’Aosta, Basilicata e Abruzzo che invece non avrebbero raggiunto la soglia con le loro dosi. A metà ottobre, però, negli studi dei medici di base erano arrivate le prime dosi e la situazione aveva cominciato a sbrogliarsi. O quasi.

Il caso della Lombardia 

Sì, perché le dosi avevano riempito gli scaffali dei medici ma in quantità diverse. In Veneto, per esempio, ogni medico nel mese di ottobre avrebbe avuto a disposizione 400 vaccini, ai medici di medicina generale lombardi invece era giunta una comunicazione diversa. L’Ats di Milano aveva specificato che dal 19 ottobre, ogni medico avrebbe potuto richiedere solo 30 dosi di vaccino con la possibilità di averne solo altre 20 la settimana successiva, non una di più. A ottobre quindi ogni medico avrebbe potuto vaccinare un massimo di 50 persone che, su una media di 1400 pazienti a testa, puoi capire quanto possa (non) incidere.

Secondo la fondazione Gimbe solo 12 regioni avrebbero acquistato dosi sufficienti per vaccinare il 75% della popolazione a rischio

Secondo il dottor Scotti, il tempo che si era guadagnato dando avvio anticipato alla campagna rischia concretamente di andare perso ora che in regioni come la Lombardia o anche la Sicilia “stanno arrivando ad ogni medico 30 dosi di vaccino alla settimana, ma 30 dosi ci mettiamo un giorno a farle. La situazione, per il segretario della Fimmg, sarebbe addirittura al punto che in alcune regioni sarebbero insorte conflittualità tra i pazienti e i propri medici.

E le farmacie? 

Le consegne delle dosi di vaccino non starebbero avvenendo con il contagocce solo ai medici, anche nelle farmacie di diverse regioni italiane il vaccino latiterebbe. Ti avevamo raccontato dell’accordo secondo cui l’1,5% dei vaccini acquistati dalle regioni sarebbe stato ridistribuito alle farmacie: sto parlando di un totale di 250.000 dosi a fronte però di un fabbisogno stimato tra 1,2 e 1,5 milioni. Non a caso, infatti, lo stesso report della fondazione Gimbe di cui ti ho parlato prima aveva stimato che 2 persone su 3 non avrebbero potuto comprarlo in farmacia.

Secondo Federfarma ad inizio novembre in Lazio sarebbe arrivata l'ultima tranche di 20mila dosi di vaccino, per un totale di 100mila dosi, 20mila a settimana alla fascia di popolazione attiva. In Lombardia invece la profilassi dei “sani” sarebbe "un problema reale” che dovrebbe perdurare almeno fino alla terza settimana del mese, in Sicilia sarebbero arrivate dosi insufficienti, 12-13 a farmacia, superata da Genova dove la quota media sarebbe circa di 17 a farmacia.

Fonti | Federfarma; Aifa

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