In Israele tornano i concerti: si comincia a intravedere la fine della pandemia grazie ai vaccini

Oggi il 49% della popolazione ha già ricevuto almeno la prima dose e la fascia over60 risulta del tutto immunizzata. Il risultato? I casi stanno calando di giorno in giorno e nel Paese riaprono negozi, palestre, scuole ed eventi. Forse per sempre. Non solo, ma arriva un’altra importante novità: forse la soluzione di Pfizer è in grado di prevenire anche l’infezione.
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Giulia Dallagiovanna 22 Febbraio 2021
* ultima modifica il 22/03/2021

In Israele si fanno concerti. In Israele stanno riaprendo centri commerciali, musei, biblioteche e palestre. Probabilmente in modo definitivo. In questo Paese insomma si comincia a vedere per davvero la fine della pandemia. I casi "sono in caduta libera", fa notare il professor Guido Silvestri, della Emory University, e accade perché il 49% della popolazione ha ricevuto almeno la prima dose di vaccino e la fascia over60 è quasi del tutto immunizzata. Non solo, il farmaco di Pfizer-BioNTech sta restituendo dati eccezionali, anche se per il momento alcuni sono solo preliminari e bisogna attendere delle conferme. Un esempio? Sarebbe in grado di prevenire anche l'infezione da SARS-Cov-2 e non solo la malattia, ovvero il Covid-19.

La situazione in Israele oggi

Possiamo dire che la popolazione israeliana oggi respira in modo più leggero. Qualcuno dei pesi che la pandemia ci ha costretto a sopportare sta venendo rimosso e le attività che sono permesse in quello Stato a noi sembrano ancora lontani miraggi. Una fra tutti, i concerti. Proprio così. In questo momento, chi abita in Israele può partecipare a un evento musicale – ma anche sportivo – sia all'aperto che al chiuso. Rimangono comunque alcune restrizioni, come il numero di partecipanti che nel primo caso è 500 e nel secondo 300 e che non può mai superare il 75% della capienza del locale. E naturalmente, tutti devono indossare la mascherina e mantenere le distanze. Ma quel che è certo è che le persone cominciano a percepire un lento e progressivo ritorno alla normalità.

Ricominciano gli eventi musicali e sportivi, riaprono palestre, scuole, musei e centri commerciali

Riaprono poi anche i musei, i negozi, le sinagoghe e le palestre. Chi vuole frequentare questi luoghi però deve presentare una sorta di passaporto che certifica l'avvenuta vaccinazione. L'unica eccezione riguarda alcune persone da poco guarite dal Covid-19 e che hanno dimostrato di aver sviluppato gli anticorpi. Senza alcun bisogno di lasciapassare, invece, sono ricominciate anche le lezioni in presenza a scuola.

Come ci sono riusciti

La risposta è semplice: vaccinando. Ti avevamo già parlato della velocità con la quale stava progredendo la campagna vaccinale in Israele e oggi tutti noi possiamo vedere i primi risultati concreti. Il Paese sta uscendo da un lockdown indetto il 27 dicembre scorso a causa dell'arrivo della variante inglese. Ma oggi, varianti o no, le nuove aperture sembrano davvero destinate a durare per sempre.

L'ordine con il quale hanno proceduto è quello comune a tutti gli Stati: prima il personale sanitario, poi gli over80 e via via le persone sempre più giovani. Secondo il Primo Ministro Benjamin Netanyahu entro la fine della prima settimana di marzo, il 95% degli over50 dovrebbe risultare del tutto immunizzato. Questa incredibile velocità è stata resa possibile da un accordo, che per molto tempo è rimasto segreto, tra il governo e l'azienda farmaceutica Pfizer: non solo le dosi sono state pagate di più, ma il Paese si è impegnato a fornire più dati rispetto ai soggetti che venivano vaccinati e ad eventuali reazioni avverse.

Pfizer previene l'infezione?

Non fa mai male ripeterlo: lo scopo principale per cui questi vaccini sono stati sviluppati e prodotti è quello di prevenire la malattia. Anzi, in modo ancora più ristretto, evitare che i sintomi del Covid-19 siano così gravi da costringerti a un ricovero. Perciò a partire da questa base, tutti i benefici che vengono ottenuti in più sono tanto di guadagnato. E nel caso dei vaccini a mRNA i dati che arrivano sono più che positivi.

Al momento si tratta di studi preliminari, cioè che devono ancora essere validati da revisori esterni e dunque è bene concedergli quel minimo di dubbio. Ma se fossero confermati, saremmo davanti a una vera svolta: il vaccino Comirnaty, prodotto da Pfizer-BioNTech, sarebbe in grado di prevenire anche l'infezione con un'efficacia attorno al 90%. Una percentuale che avrebbe valore anche nei confronti della variante inglese, che peraltro è la più diffusa in Italia. Preliminari, sì, ma che non sono i soli. Un'indagine pubblicata sulla rivista The Lancet ed eseguita tra il personale ospedaliero del Centro medico Sheba ha rivelato come le infezioni si siano ridotte del 75%.

Questo significherebbe che una persona vaccinata non rischierebbe più nemmeno di contrarre il virus e risultare positiva. Di conseguenza, si eviterebbe anche il rischio di trasmissione da un positivo asintomatico a una persona non ancora immunizzata. Il risultato? Il SARS-Cov-2 avrebbe sempre più difficoltà a circolare perché non saprebbe più da quale persona "farsi ospitare" per poter sopravvivere. I virus infatti hanno bisogno di infettare una cellula, altrimenti, semplicemente, muoiono.

E quello di Pfizer non è il solo ad aver mostrato percentuali di successo in questo senso. Nei dati pubblicati dall'FDA, l'ente americano che regola la commercializzazione dei farmaci, a dicembre 2020, trapelava già il sospetto che anche la soluzione di Moderna fosse in grado di prevenire l'infezione oltre che la malattia. Per la verità, non sarebbe una sorpresa: i due vaccini funzionano con la stessa tecnologia a mRNA e sono, sotto molti aspetti, davvero simili. C'è quindi da aspettarsi che i risultati che emergeranno a mano a mano che vari Paesi proseguiranno con le somministrazioni siano in buona parte sovrapponibili.

Gli altri ottimi risultati

Ma questa possibilità non è la sola a farci bene sperare. Come ha annunciato il ministro della Salute israeliano, il vaccino di Pfizer si è dimostrato capace di:

  • prevenire la malattia con un'efficacia del 95,5% (ancora maggiore rispetto a quella emersa negli studi di fase 3)
  • prevenire le complicazioni da Covid-19 con un'efficacia del 99,2%
  • prevenire il rischio di ricovero e di decesso con un'efficacia del 98,9%

Questi dai sono stati raccolti guardando alla popolazione che aveva già ricevuto la seconda dose, circa 1,7 milioni al 30 gennaio. Per farti capire quanto siano importanti, ti ricordo che l'antinfluenzale che viene modificato ogni anno ha un'efficacia che si attesta tra il 40% e il 60%, quello contro il morbillo è del 97% e del 92% per quanto riguarda la varicella.

E no, non è ancora finita. Nello studio pubblicato su The Lancet che ti citavo prima, emerge anche un altro importante aspetto: il vaccino di Pfizer raggiungerebbe un'efficacia dell'85% già dopo un paio di settimane dalla prima dose. Una scoperta che, se confermata, potrebbe anche condurre a una revisione della campagna vaccinale e magari a una sua auspicabile accelerazione.

E in Palestina?

Una questione che rimane sempre aperta quando si guarda all'efficiente campagna vaccinale di Israele è quella della Palestina, un Stato molto povero e abitato da 5 milioni di persone. Secondo l'Onu e l'Unione europea, territori come la Striscia di Gaza e la Cisgiordania risulterebbero ufficialmente occupati da Israele che dovrebbe quindi provvedere all'assistenza sanitaria e dunque anche alle forniture di vaccino. Israele invece ha semplicemente negato ogni responsabilità. Qualsiasi fornitura in ogni caso deve essere approvata da questo Stato, perché il carico deve superare prima i suoi confini per arrivare in Palestina.

Israele ha promesso di vaccinare i 100mila palestinesi che lavorano nel proprio territorio

Un piccolo spiraglio sembra essersi aperto, visto che all'inizio della scorsa settimana circa 2mila dosi del farmaco russo Sputnik V sono arrivate a destinazione e verranno inoculate in chi ha subito un trapianto di organi e chi soffre di insufficienza renale. Nel frattempo il ministro della Salute ha strappato un accordo al suo omologo israeliano per la vaccinazione dei circa 100mila palestinesi che lavorano in Israele. Per il resto, alla Palestina non resta che attendere l'arrivo delle 2milioni di dosi di AstraZeneca e soprattutto di quelle acquistate dal programma Covax dell'Organizzazione mondiale della sanità, che mira a comprare i vaccini per le nazioni più povere.

Fonti| Fondazione Veronesi; "Early rate reductions of SARS-CoV-2 infection and COVID-19 in BNT162b2 vaccine recipients" pubblicato su The Lancet il 18 febbraio 2021

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