In Italia quasi un dipendente su due nasconde la propria malattia o disabilità a lavoro per paura di essere discriminato

Secondo un sondaggio condotto su 28.000 dipendenti in 16 Paesi nel mondo circa il 20% dei lavoratori con disabilità o malattia nasconde la propria condizione di salute sul posto di lavoro. In Italia la percentuale arriva al 46%. Abbiamo fatto un punto sulle discriminazioni di cui è ancora oggetto la disabilità negli ambienti lavorativi con Jessica Trapani, disabily manager della cooperativa sociale Equalis.
Maria Teresa Gasbarrone 26 Settembre 2023
* ultima modifica il 26/09/2023
Intervista a Dott.ssa Jessica Trapani Psicologa e disability manager presso la cooperativa sociale Equalis

Cercare lavoro non è quasi mai semplice, ma per chi ha una disabilità o una malattia cronica potrebbe essere perfino impossibile. Qualche settimana fa è finito su tutte le pagine di cronaca nazionale il caso della ragazza sarda esclusa  dall'accesso al corpo dei Vigili del fuoco, nonostante avesse superato tutte le prove e fosse risultata idonea.

Il motivo? Durante le visite mediche previste dall'iter di selezione, alla giovane candidata è stata diagnosticata la sclerosi multipla. Occorre però specificare che non solo la malattia è al momento completamente asintomatica, ma anche che la posizione stessa a cui si era candidata la giovane riguardava un ruolo amministrativo, che non richiede quindi particolari condizioni fisiche. Eppure, questo è bastato a toglierle ciò che le spettava di diritto.

In Italia il 46% dei lavoratori non ha dichiarato la propria disabilità o malattia sul posto di lavoro per timore di essere discriminato

Purtroppo, episodi come questo, ancora tutt'altro che sporadici, sono il riflesso di una mentalità ancora diffusa. La discriminazione verso la disabilità e la malattia nel mondo lavorativo è un problema più attuale che mai: nonostante l'accesso al lavoro delle persone con disabilità sia disciplinato a livello normativo (il collocamento obbligatorio è previsto dalla legge n.68 del 199), spesso chi si trova in particolari condizioni fisiche o psichiche finisce per subire forme di discriminazione, più o meno esplicite, all'accesso alla professione o durante la vita lavorativa.

"Ho una malattia (o una disabilità), ma non lo dico"

L'ennesima conferma arriva da una vasta ricerca condotta daBoston Consulting Group (BCG) sul numero di dipendenti con disabilità o malattia cronaca assunte all'interno delle aziende. Sulla base di un sondaggio su quasi 28.000 dipendenti in 16 Paesi nel mondo è emersa un'importante differenza tra i dati dichiarati dalle aziende e le informazioni rilasciate in forma anonima dai dipendenti. Stando al sondaggio, le persone con disabilità o malattia sul posto di lavoro sono circa il 25%, a differenza di quanto dichiarato dalla maggior parte delle aziende, per le quali i dipendenti con disabilità non superano la quota del 4%-7%.

In Italia i dipendenti intervistati che riportano una disabilità o una condizione di salute cronica sono il 21%. Il 46% di questi dichiara di non aver rivelato la propria disabilità sul posto di lavoro per timore di discriminazioni e pregiudizi, mentre il 43% che ha avuto il coraggio di farlo, invece, afferma di aver subito discriminazioni.

Perché questa differenza? È evidente che una percentuale importante dei lavoratori con disabilità o con malattia teme di rendere nota la propria condizione. È altrettanto evidente che chi decide di tenerla nascosta è perché ha paura di subire ripercussioni negative nelle relazioni umane e/o nelle condizioni lavorative.

Quali sono le cause

"Le cause dietro la paura che i propri responsabili, ma anche i propri colleghi, sappiano che ho una disabilità o una malattia cronica potrebbero essere diverse da soggetto a soggetto, ma alcune sono piuttosto diffuse", spiega la dottoressa Jessica Trapani – psicologa e disability manager della cooperativa sociale Equalis.

"Una delle paure più diffuse è che agli occhi degli altri la disabilità diventi un biglietto di visita che cancella tutte le altre qualità o competenze"

Jessica Trapani, Disability manager

Una delle paure più diffuse è quella dello, ovvero la paura di essere etichettati. "Chi ha una disabilità – prosegue Trapani – teme che agli occhi degli altri quest'ultima diventi il suo biglietto di visita, ciò che lo definisce, facendo passare tutte le sue altre qualità o competenze in secondo piano".

Lo stigma che rischia di subire chi ha una disabilità o una malattia è estremamente complesso, e per questo impossibile da rimuovere, se non attraverso un profondo lavoro di educazione.

"Un altro fattore che potrebbe spiegare la decisione di tenere nascosta una disabilità o una malattia – aggiunge la psicologa – è il timore di diverso atteggiamento da parte dei colleghi. Spesso le persone con disabilità temono che i colleghi smettano di chiedere la loro collaborazione perché non riescono più a riconoscere il valore professionale".

A volte infatti, la discriminazione – soprattutto da parte dei colleghi – è dovuta all'incapacità di relazionarsi con un collega disabile o malato, o più semplicemente alla paura di sbagliare.

Ciò può dare esito a forme di abilismo. "Si tratta di quella forma di discriminazione, volontaria o meno, per cui le persone con disabilità sul piano di lavoro non vengono trattati alla pari dei colleghi", spiega Trapani.

Cos'è l'abilismo

L’abilismo può essere definito come una forma di discriminazione che riguarda la disabilità, conseguenza di una società fondata sulla contrapposizione tra ciò che è considerato "normale" e ciò che non rientra in questa visione stereotipata del concetto di normalità.

Da questo paradigma culturale può quindi dare esito a un atteggiamento discriminatorio e pregiudizialmente svalutativo verso le persone con disabilità.

Soddisfazione a lavoro

Sempre dal report di BCG è emerso che avere una disabilità è ancora un elemento penalizzante in ambiente lavorativo.

I dati del report sono stati raccolti attraverso un indice apposito, "Bliss Index" (acronimo di Bias-Free, Leadership, Inclusion, Safety, and Support), che misura su una scala da 1 a 100 i quanto i dipendenti si sentano inclusi.

Le persone con disabilità hanno riportato livelli inferiori di inclusione rispetto ai colleghi senza disabilità: il punteggio medio dell’indice Bliss è di 3 punti inferiore per le persone con disabilità rispetto a quello delle persone senza disabilità o particolari condizioni di salute. Inoltre, le probabilità che questi abbiano sperimentato discriminazione nella propria organizzazione maggiori di 1,5 volte rispetto ai loro colleghi.

Cosa dice la legge in Italia

Eppure le cose non dovrebbero essere così. Non si tratta di aziende o politiche aziendale più o meno inclusive, di scelte lungimiranti e progressiste. Avere un atteggiamento inclusivo verso i propri dipendenti, a prescindere dalle loro condizioni di salute, non è un'opzione, ma un obbligo per legge, almeno nei Paesi dell'Unione europea.

In Italio lo prevede il decreto legislativo 30 giugno 2022, n. 105, in attuazione della direttiva Ue 2019/1158 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza.

Relativamente ai lavoratori disabili, il decreto afferma che è vietato discriminare o riservare un trattamento meno favorevole ai lavoratori che chiedono o fruiscono dei benefici previsti dalle diverse legge sulla disabilità, nonché di ogni altro beneficio concesso ai lavoratori medesimi in relazione alla condizione di disabilità propria o di coloro ai quali viene prestata assistenza e cura.

Serve una cultura davvero inclusiva

Predisporre politiche e programmi incentrati sui dipendenti sembra essere la strategia vincente per aumentare il senso di inclusione. Il report di BCG ha rivelato che introducendoli in azienda, i dipendenti con disabilità riportano un punteggio nell’indice BLISS più alto, passando da 51 a 74 punti e superando anche il punteggio medio per i dipendenti senza condizioni cliniche particolari, che si attesta sui 65 punti. Ovvero, mostrano valori di soddisfazione in termini di eliminazione delle barriere e dei pregiudizi significativamente più elevati.

L'altra sfida da vincere è quella della creazione di un ambiente di lavoro anche fisicamente accessibile per tutti, cosa che si può realizzare dotando l'ambiente di lavoro di tutte le attrezzature e gli strumenti necessari: quando questi sono presenti i dati mostrano un aumento di ben 17 punti nell'indice BLISS per i lavoratori con disabilità, rispetto ai contesti in cui sono assenti o insufficienti.

Ancora una volta la conferma di come le barriere architettoniche siano sia materiali che mentale, e che è impossibile abbattere le prime senza scardinare le seconde.

Fonti | “Nulla su di noi senza di noi. Una ricerca empirica sull’abilismo in Italia”, di Rosa Bellacicco, Silvia Dell’Anna, Ester Micalizzi e Tania Parisi; Gazzetta Ufficiale; BCG

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