
"In Italia c'è un problema di qualità del dibattito: quando una classe dirigente e politica può permettersi di portare avanti delle scelte così lontane dal sentire comune, è perché c'è una carenza di informazione da parte dell'opinione pubblica". Lo spiega così Marco Cappato, tesoriere dell'Associazione Luca Coscioni e leader dei radicali, il fenomeno per cui in Italia la maggior parte delle discussioni su eutanasia o suicidio assistito finiscano in un pugno di slogan. Per questa ragione su Ohga stiamo cercando di capire qualcosa in più su un tema così complesso e delicato, a partire dai termini che ruotano attorno al fine vita e dalle leggi in vigore nel nostro Paese.
Proviamo però a entrare più nel concreto e a capire cosa accade a una persona una volta che ha deciso di compiere un viaggio in Svizzera e ottenere il suicidio assistito. Innanzitutto perché proprio nella Confederazione elvetica? Perché è l'unica che accetta anche pazienti provenienti da altri Paesi, come appunto l'Italia. Secondo quanto ci ha riferito l'Associazione Coscioni, dal 2015 a oggi sono 728 gli italiani che si sono rivolti a loro in forma non anonima per informarsi ed essere aiutati a compiere questa procedura, ma, aggiungono: "Il numero quadruplicherebbe se calcolassimo anche tutti gli altri". I costi, che pesano interamente sul malato e sulla famiglia, possono variare dai 10mila ai 13mila euro.
Tra chi si è rivolto all'associazione, c'è stato anche Fabiano Antoniani, che forse tu conoscerai come Dj Fabo. La sua storia ha riempito giornali e siti di news durante i primi mesi del 2017, quando cioè si rivolse direttamente al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella affinché il mondo politico intervenisse con leggi precise riguardo l'eutanasia e il fine vita. Dj Fabo era infatti rimasto cieco e tetraplegico nel lontano 2014 in seguito a un incidente stradale e non riusciva più a sopportare le condizioni che la malattia gli aveva imposto: immobile in un letto e completamente al buio per tutto il resto della sua vita. Non ottenendo risposte concrete in Italia, si è rivolto a Dignitas, l'associazione che, come loro stessi ci hanno spiegato, non è una clinica ma un'organizzazione in contatto con i medici e dove si può effettuare il suicidio assistito. Fabiano Antoniani lo ottiene il 27 febbraio del 2017.
Ad accompagnarlo, come forse ricorderai, c'era proprio Marco Cappato, che il giorno successivo si è autodenunciato alla Procura di Milano. "Un'azione di disobbedienza civile", ha spiegato. Grazie al processo si riapre il dibattito e il 22 dicembre 2017 arriva la legge sul testamento biologico. Al momento, si vive una fase di stop: la Corte costituzionale ha chiesto al Parlamento di colmare un vuoto legislativo per quanto riguarda il reato di aiuto al suicidio e ha rimandato il verdetto a settembre. Noi intanto abbiamo chiesto a Marco Cappato di spiegarci meglio come funzioni il suicidio assistito in Svizzera, a partire proprio dalla sua esperienza.
Si contatta Dignitas e loro inviano tutte le istruzioni da seguire. In ogni caso prima bisogna redigere un testamento biologico e presentare le varie cartelle cliniche e tutta la documentazione medica necessaria. Se arriva la luce verde, si può prendere un appuntamento con un medico. Sarà infatti lui a verificare le condizioni dal punto di vita fisico e sanitario, ma soprattutto l'effettiva volontà da parte della persona stessa di arrivare al suicidio assistito. Quando il medico conferma e accerta che vi siano tutti i parametri richiesti, prescrive la sostanza da assumere, che poi verrà ritirata dalla farmacia. Il giorno successivo viene di nuovo chiesto alla persona se sia davvero sicura delle proprie intenzioni e solo dopo un'ulteriore risposta affermativa le viene messo a disposizione il farmaco letale. Il malato deve però assumerlo da solo. Di solito è un bicchiere dal quale si beve la soluzione. Può capitare, però, come è stato per Dj Fabo, che la malattia non gli renda possibile compiere questa azione. In quel caso era stata predisposta un'apparecchiatura attraverso la quale poteva essere attivata, tramite la bocca, l'assunzione del farmaco. Il punto fondamentale è che per chi è presente si tratta di assistenza alla morte volontaria.
In realtà ci sono diversi ostacoli e quello economico non è nemmeno il più grande. Alla fine, in Svizzera ci arrivano poche decine di persone ogni anno, cioè solo una su mille. Dalla maturazione della scelta al suo compimento concreto, in diversi finiscono con il rinunciare perché non sono più nelle condizioni di affrontare il viaggio. Lo stesso Dj Fabo se avesse abitato a Bari e non a Milano, non sarebbe mai potuto andare oltre confine e sobbarcarsi un viaggio di tre ore e mezza. Anzi, noi ne abbiamo impiegate 5 o 6, per le continue soste in autostrada per pulirlo o aspirargli la saliva. Si tratta anche di una serie di operazioni delicate e molto stancanti per una persona in quelle condizioni, che non può certo salire su un aereo.
Sì, certo. Ci sono tante persone che avanzano la domanda, ma non rientrano nei criteri, soprattutto per quanto riguarda casi di sofferenza psichica e non fisica. Un po' come è successo a Noa Pothoven in Olanda: anche se era una situazione irreversibile, le hanno comunque negato l'eutanasia perché ritenevano che ci fosse ancora qualche tipo di speranza. In questo anche Dignitas è molto rigorosa e infatti da quando opera non ha mai perso una causa.
Sì, accade anche questo. Io ne sono stato testimone quando ho accompagnato una donna diversi anni prima di Dj Fabo. Una volta arrivati sul posto, lei ha spiegato ai medici che non se la sentiva di bere direttamente dal bicchiere perché aveva subito un'operazione e aveva paura che la soluzione le andasse di traverso. Le hanno però chiesto come si nutrisse normalmente e, poiché non aveva difficoltà nell'alimentarsi, le è stato negato il suicidio assistito. La ragione è che le spiegazioni avanzate dalla donna potevano essere un segnale del fatto che non fosse convinta al 100% e quindi è dovuta tornare a casa.
È stata un'azione di disobbedienza civile che ho voluto portare avanti in nome dei principi costituzionali. Esiste infatti una legge che punisce l'aiuto al suicidio, ma anche dei principi generali di libertà e inviolabilità del copro umano. La Costituzione dice chiaramente che nessun trattamento medico possa essere fatto contro la volontà del paziente. Io ritengo di aver fatto il mio dovere dal punto di vista morale e personale, indipendentemente dalla legge. Sarà poi la Corte costituzionale a stabilire se sia un diritto del malato essere assistito oppure no in questo momento.
Un ottimo risultato, un passo avanti per il quale ci siamo battuti e senza la vicenda di Dj Fabo e della mia autodenuncia non sarebbe mai stato compiuto. Proprio durante i giorni del processo, il Parlamento ha preso coraggio per andare al voto definitivo. Nella situazione di Fabio Antoniani, se fosse già stato possibile redigere una Disposizione anticipata di trattamento, avrebbe poi potuto morire a casa sua, facendosi sedare e sospendere nutrizione e idratazione. Come però abbiamo spiegato anche in aula, se nel caso di Piergiorgio Welby furono necessari 20 minuti, in questo si parlava di una settimana o 10 giorni. Rimane quindi il problema della dignità e dei diritti del paziente, che potrebbe scegliere di morire nel giro di 5 minuti e invece si vede allungare i tempi. Anche per i suoi genitori e la fidanzata si sarebbe trattato di una tortura psicologica che non si capisce come mai debba essere inflitta, se a una persona è già stato riconosciuto il diritto a morire.
E poi c'è un altro problema e riguarda i pazienti che non sono sottoposti a trattamenti che li tengono in vita, e dunque non è possibile sospendere nulla. Eppure anche loro sono affetti da una malattia irreversibile e vivono delle sofferenze insopportabili. Di nuovo, potrebbero essere sedati, ma arriverebbero alla morte naturale dopo mesi. Che senso ha?
Il problema è quello di ottenere che il diritto di poter interrompere la propria sofferenza non dipenda dalle modalità con la quale una persona è tenuta in vita o potrebbe essere fatta morire. Ma che la discriminante siano le sue condizioni oggettive. C'è una sorta di ipocrisia di fondo, per cui se il comportamento del medico è omissivo allora è accettabile, se invece è attivo, non va più bene. A mio avviso però tutto questo non ha senso perché non rispetta l'elemento centrale: la volontà della persona e le sue condizioni oggettive. A quel punto, cosa cambia? Se uno beve un bicchiere, riceve un'iniezione letale o gli vengono sospesi i trattamenti. Un diritto non dovrebbe dipendere da un aspetto tecnico, ma da requisiti di accessibilità.
C'è sicuramente un problema di qualità del dibattito. I sondaggi dicono che i cittadini italiani sono in maggioranza favorevoli a una legge sull'eutanasia. La questione, allora, riguarda la classe dirigente, più che la popolazione. Evidentemente c'è un problema di coscienza e di informazione dell'opinione pubblica. Il dibattito parlamentare oggi è viziato e dovrebbe essere accompagnato da vere tribune politiche, dove vengono approfondite le ragioni pro e contro. A quel punto diventerebbe difficile per i partiti prendere posizioni lontane dal sentire comune. Ci sono poi motivazioni ancora più profonde e storiche e che riguardano la tentazione da parte di qualsiasi forma di potere di esercitarsi anche sul corpo delle persone. È così per le donne e lo stesso discorso vale per le persone malate. Non sarei per dare tutta la colpa al Vaticano: mentre negli anni '90 e 2000 era molto presente sulla scena politica, ora la predicazione di papa Francesco continua, sì, a essere contraria all'eutanasia, ma la classe dirigente agisce per conto proprio. Il problema quindi è più che altro l'informazione, che consente una sorta di sottrazione alle proprie responsabilità da parte del ceto politico.
Fonte| Associazione Luca Coscioni