La diagnosi di autismo: quali sono i criteri e a quale età viene fatta

Al momento la diagnosi di autismo viene formalizzata quando un bambino ha circa 3 o 4 anni di età, ma l’occhio attento di un neurologo potrebbe intuire i primi segnali di rischio già attorno ai primi 15 mesi di vita. A notare che qualcosa non va come dovrebbe sono di solito i genitori, ecco perché è importante sapere quali sono le prime manifestazioni di questa condizione, in modo da riconoscerla e poter intervenire il prima possibile.
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Giulia Dallagiovanna 4 Aprile 2019
* ultima modifica il 30/03/2021

L'autismo è un disturbo dello sviluppo che colpisce in particolare tre aree del cervello: quella che regola l'interazione sociale, quella che si occupa di gestire il linguaggio verbale e non verbale e la zona che determina gli interessi personali. Se ci pensi, sono tutti aspetti che in realtà si manifestano nella loro completezza solo una volta che siamo cresciuti. Quindi come si fa a capire se un bambino è autistico oppure no?  E a quale età diventa possibile?

Come accade nella maggior parte delle situazioni, più la diagnosi viene fatta precocemente più alte saranno le possibilità di migliorare la vita di una persona e della sua famiglia. Parte della ricerca va infatti in questa direzione e cerca di abbassare sempre di più il numero dei mesi di vita in cui si possono intuire i primi segnali che qualcosa non funzioni come dovrebbe. Al momento, ad esempio, non serve che tuo figlio abbia già imparato a parlare per individuare qualche atteggiamento che dimostri la mancata comprensione delle forme convenzionali utilizzate per comunicare.

Quali strumenti si usano per la diagnosi

Al momento, per effettuare una diagnosi ufficiale, si seguono i criteri stabiliti dal DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), un manuale che raccoglie tutti i disturbi mentali e le loro manifestazioni e che viene periodicamente aggiornato: al momento si è arrivati alla quinta edizione. I metodi descritti sono poi integrati da alcuni studi come: l’Autism Diagnostic Interview, più conosciuto come ADI e del quale è uscita una revisione nel 1994, l’Autism Diagnostic Observation Schedule, ovvero l'ADOS pubblicato nel 200o e che, assieme all'ADI, suggerisce i migliori strumenti per raccogliere tutte le informazioni necessarie, e infine la Childhood Autism Rating Scale,  la cosiddetta CARS che aiuta a classificare l'entità del disturbo e a distinguerlo da altre condizioni simili.

La diagnosi di autismo: i criteri del DSM

Non esistono esami di laboratorio o radiologici in grado di individuare la presenza di un disturbo dello spettro autistico. L'unico mezzo a disposizione è quello dell'osservazione. Di conseguenza, di solito sono i genitori i primi a rendersi conto che qualcosa non proceda come dovrebbe. Il problema è che il più delle volte succede quando il bambino ha già circa due anni e a quel punto ne passano altri due prima di ottenere un responso medico certo. Le diverse terapie entrano in gioco quindi quando un minore ha già raggiunto fasi importanti della propria crescita e i margini di miglioramento saranno più ridotti.

Capire quali sono i segnali ai quali prestare più attenzione è quindi molto importante per poter intervenire il prima possibile. Il fine naturalmente non è la "guarigione", in quando una cura vera e propria ancora non esiste, ma lo sviluppo di tutte le capacità che è possibile raggiungere e quindi una miglior qualità di vita per una persona affetta da questo disturbo e per chi la circonda. I criteri fissati dal DSM per poter affermare che un bambino è autistico sono tre: compromissione dell'interazione sociale, la compromissione della comunicazione verbale e non verbale, modalità di comportamento specifiche.

Compromissione dell'interazione sociale

Un bambino autistico mostra difficoltà nelle relazioni con le altre persone perché, il più delle volte, non capisce di preciso come queste dovrebbero avvenire. Non riesce a decodificare le espressioni del viso, i gesti o la posture di chi hanno di fronte. Non è in grado di associare istintivamente un sorriso a uno stato d'animo sereno e non saprà come ricambiarlo. Oppure non ti guarderà negli occhi quando gli parli: non sa che dovrebbe essere fatto e, in più, gli procura una certa dose di stress ricevere tutti quegli stimoli che non sa come interpretare.

Non serve però che un bambino abbia raggiunto l'età in cui dovrebbe stringere amicizie per individuare i primi segnali di una difficoltà in questo campo. Il sorriso, ad esempio, è una capacità che si possiede fin dai primi mesi di vita e più o meno dal primo giorno in cui è nato, un bambino tende a guardare i propri genitori e chi si trova di fronte. Non tutti i neonati naturalmente sviluppano le stesse abilità entro un preciso periodo di tempo, perciò a una determinata carenza non è detto che corrisponda in modo diretto un disturbo dello spettro autistico. Però è sicuramente un dato di fatto da esporre al tuo medico.

Compromissione della comunicazione verbale o non verbale

L'autismo preclude la capacità di capire non solo frasi complesse, ma anche il tono della voce che le accompagna o i gesti che sottolineano alcune parole. Non verranno quindi compresi i modi di dire, le espressioni linguistiche che non hanno un significato letterale o l'ironia. Certo, a due anni nessun bambino è in grado di comprendere questi aspetti della comunicazione. Esistono però alcuni indicatori di un mancato sviluppo di quell'area del cervello.

Hai presente quando provi a insegnare a un neonato una parola? Ad esempio, "Dì, mamma. Mammma". Ecco, un individuo autistico non proverà proprio a ripetere i suoni che sente emettere dagli adulti, anche se sono i suoi genitori, perché non sa che è quello il modo in cui le altre persone comunicano fra loro. Ci sarà di conseguenza un forte ritardo nello sviluppo delle capacità di linguaggio, che può essere semplicemente dovuto a un percorso di crescita fisiologico, o a un problema neurologico vero e proprio. Di nuovo, solo uno specialista potrà dirlo.

Modalità di comportamento specifiche

Interessi ristretti, attività ripetitive, azioni stereotipate. Sono tutte caratteristiche tipiche di questa condizione. Si tratta anche di meccanismo di difesa che un individuo utilizza per cercare di dare un ordine al caos del mondo esterno, che non riesce a comprendere del tutto e i cui stimoli gli provocano non poco stress. Il dondolarsi senza sosta, il continuo battere le mani o schioccare le dita sono atteggiamenti bizzarri, e fuori dalle convezioni sociali, che connotano l'autismo.

Le modalità in cui questi comportamenti si manifestano variano in base all'età della persona e alla fase di sviluppo. Ma le prime cose che si possono notare sono l'attrazione per movimenti sempre uguali, come la centrifuga della lavatrice o le pale del ventilatore che girano. Attrazione significa che potrebbe rimanere a fissarli per ora senza venire incuriosito da nessun altro oggetto nella stanza. E se pensi all'ultimo bambino molto piccolo che quando è entrato in casa tua ha tentato di afferrare ogni singolo soprammobile che ha visto, ti renderai conto che è un atteggiamento davvero anomalo.

L'età per la diagnosi di autismo

Al momento, la diagnosi di autismo non viene formalizzata fino a quando un bambino non ha circa 3 o 4 anni di età. Questo perché non è così semplice per i genitori, che naturalmente non hanno un approccio clinico nei confronti del figlio, rendersi conto che non ha sviluppato tutte le capacità che dovrebbe avere. Anche perché si tratta di un'età dove non tutti procedono alla stessa velocità: alcuni ritardi possono infatti essere dovuti a uno sviluppo più lento del minore o al suo carattere.

Conoscere quali sono i primi segnali con cui un disturbo dello spettro autistico si manifesta è però molto utile per potere abbreviare i tempi del riconoscimento del problema e degli interventi da mettere in atto. Un occhio attento potrebbe accorgersi già attorno ai 20 mesi che vi sono alcuni atteggiamenti atipici in un bambino, mentre un neurologo esperto potrebbe formulare una prima diagnosi precoce anche a circa 15-18 mesi.

Accompagnare subito un bambino autistico con le adeguate terapie, cognitivo-comportamentali ed eventualmente anche farmacologiche, consente di migliorare il suo sviluppo e gli permette di raggiungere tutti gli obiettivi che è in grado di ottenere. Inoltre, anche la famiglia può beneficiare di un supporto psicologico e medico per affrontare nel modo più adeguato e con minor stress la situazione.

Fonti| Fondazione Ares; IRCCS materno infantile Burlo Garofolo

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