“La disabilità non è nelle persone, ma nella società”: il coraggio di Salvatore Cimmino, che nuota per cambiarla

Salvatore oggi ha 57 anni e da più di 40 è senza la gamba destra a causa di un osteosarcoma, un tumore delle ossa. Eppure ha deciso di nuotare in ogni angolo del mondo per lottare per i diritti dei disabili e provare ad accorciare le distanze con la società. In occasione della Giornata internazionale per le persone con disabilità ha deciso di portarci in acqua con lui.
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Kevin Ben Alì Zinati 3 Dicembre 2021
* ultima modifica il 12/05/2022

“La disabilità non sta nelle persone, ma nella società: la nostra”. Salvatore Cimmino non lo dice con rassegnazione.

Forse te lo aspetteresti da uno che a soli 14 anni si è visto amputare la gamba destra pur di aumentare i 2-3 mesi di vita che l’osteosarcoma, un tumore delle ossa, gli aveva riservato.

Eppure Salvatore non è arrabbiato e non si fa scoraggiare dalla società italiana che definisce provocatoriamente handicappata e incapace di accogliere gli oltre 4 milioni di persone tra adulti e bambini che vivono con disabilità”. 

Nelle sue parole c’è la rabbia giusta, quella propositiva e costruttiva che accende la miccia della determinazione. La stessa che dal 5 novembre 2005 lo guida nelle sue nuotate in giro per il mondo.

Lo scorso maggio Salvatore ha completato il suo giro d’Italia. Si è tuffato nelle acque di Ventimiglia, in Liguria, e ha nuotato attorno allo Stivale raggiungendo la coste di Trieste in settembre, lottando con onde e Bora. Tutto senza una gamba.

Da maggio a settembre Salvatore ha nuotato attorio all’Italia. Qui è nelle acque di Positano, a ridosso della riva.

È una delle tante imprese con cui in questi anni Salvatore Cimmino ha impreziosito il suo progetto «A nuoto nei mari del globo, per un mondo senza barriere e senza frontiere». Ma guai a definirle imprese.

La terminologia è importante e connotare queste traversate come gesta incredibili ci allontanerebbe dal cuore della sua idea. “Ogni mia nuotata è un ponte. Un collegamento tra il mondo della disabilità e il resto della società.

Per Salvatore, oggi 57enne, la distanza tra i due mondi è ancora un problema grave. Perché anziché accorciarsi si allunga sempre di più.

La più importante delle ragioni risiede proprio qui, nelle parole. “Il termine «disabilità» oggi non è certo tra i più inclusivi. Ancora si categorizzano le persone in base alla disabilità ma allo stesso tempo se ne dimenticano altre”. 

Il suo Giro d’Italia si è concluso in uno dei luoghi più magici del nostro Paese: il Molo Audace di Trieste, di fronte a Piazza Unità: la più grande piazza posta sul mare al mondo.

Ovvero il milione di amputazioni di arti inferiori al giorno, “una ogni 30 secondi”, a causa del diabete o di un cancro, le conseguenze delle malattie rare “che per l’Oms hanno superato le 6mila unità” o ancora gli infortuni sul lavoro “per i quali secondo l’Inail 200 persone all’anno diventano disabili”.

Secondo Salvatore, di fronte alle quasi 300 persone che ogni giorno entrano nel mondo della disabilità, l’Italia oggi “fa zero”.

È per questo che nuota letteralmente ovunque sul Pianeta. Per contribuire ad accendere i due motori già installati nella macchina della nostra società. Che, se ben telecomandata, potrebbe aiutarci a percorrere questa distanza a velocità tripla “e ad uscire dalla prigione della disabilità. Quando la mobilità di un disabile è limitata da barriere architettoniche, sociali e culturali siamo in prigione".

Il termine «disabilità» oggi non è certo tra i più inclusivi, si pensa solo ai disabili fisici e ci si dimentica di tutti gli altri

Salvatore Cimmino

Il primo motore che contraddistingue il nostro Paese secondo Salvatore è quello legislativo. Dalla nostra avremmo un patrimonio prezioso che però non siamo in grado di sfruttare. “A gennaio 2017 sono stati modificati i Lea, ovvero quegli strumenti attraverso cui il SSN fornisce cure e tecnologie innovative. Malgrado la modifica e l’iscrizione nella Gazzetta Ufficiale del decreto della Presidenza del Consiglio, ad oggi però mancano ancora i decreti attuativi”.  

L’Italia, dice poi, è stata tra i primi paesi a legiferare in materia di barriere architettoniche. Nel 1986 è stata approvata la legge numero 41 che disciplina i Peba, ovvero i piani di eliminazione delle barriere architettoniche. “Sono uno degli strumenti che se applicati potrebbero davvero aprire le porte di questo «carcere». Ebbene: a distanza di quasi 40 anni solo 13 comuni su 8mila oggi si sono dotati dei Peba”.

Quando la mobilità di un disabile è limitata da barriere architettoniche, sociali e culturali siamo in prigione

Salvatore Cimmino

Il sistema di leggi è arrivato a un punto incredibilmente positivo con la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità del 2009 e la progettazione universale per una società a misura di tutti. Tutto però sarebbe rimasto sulla carta. “Per una persona con disabilità è sempre più difficile entrare nel mondo del lavoro e oggi una scuola su tre è architettonicamente inaccessibile. Ecco perché la disabilità sta nella società e non nelle persone”. 

Sul lido di Ostia, pronto a tuffarsi per raggiungere Pomezia. Accanto a Salvatore c’è Maurizio, il collaboratore che lo segue dappertutto. Anzi no: il suo amico.

Accanto al patrimonio legislativo c’e quello offertoci dalla scienza e dal progresso tecnologico. “Tra gli altri ho avuto la fortuna di conoscere Hugh Herr, direttore del dipartimento di biorobotica del Mit di Boston – ha raccontato Salvatore dopo aver mostrato una delle sue foto in acqua – Qui ha sviluppato un dispositivo che senza fili riesce a dialogare con il nostro sistema nervoso. Applicando la sua caviglia bionica al mio dispositivo protesico mi ha permesso di risentire il mio piede a terra: una sensazione che avevo perso da 40 anni”. 

Per costruire i suoi ponti tra il mondo della disabilità e l’altro, Salvatore non utilizza cemento e ferro. È convinto che lo sport sia maestro di fatica, sacrificio e lavoro per un obiettivo e così Salvatore nuota: in mari, oceani e laghi. Ovunque serva per lanciare i suoi messaggi.

Sfruttando l’energia delle sue braccia e della sua gamba sinistra si tuffa nelle acque di tutto il mondo con il cuore e la determinazione di chi vuole provare a cambiare le cose. Senza la certezza di potercela fare e nemmeno la necessità di dover vedere il risultato. Lo fa perché ci crede.

Nella sua Torre Annunziata, prima di immergersi per un allenamento in una bellissima giornata d’inverno. Anche se sembra più estate.

Il 5 novembre del 2005 Salvatore è entrato in piscina per la prima volta per provare ad alleviare i dolori dovuti all’amputazione e alla malattia. Ha imparato a nuotare dopo “una vita passata a saper galleggiare” e da allora non ha più lasciato l’acqua. “Questo coraggio me l’ha insegnato la disabilità. L’essere umano è un animale paradossale, nelle difficoltà anziché accogliere ti emargina ma con il coraggio ho sconfitto lo stigma e insieme alle persone che prima mi avevano allontanato sono riuscito a costruire quello che oggi è la mia realtà”.

Oggi una scuola su tre è architettonicamente inaccessibile per un disabile

Salvatore Cimmino

Salvatore dice che le sfide che trovi nella vita sono come quelle che incontri nel mare. Dove, tra l’altro, ha rischiato di morire per due volte. La prima nello Stretto di Cook, tra l’isola del Sud e del Nord in Nuova Zelanda “dove ho nuotato con una temperatura dell’acqua di -10° e alla fine sono andato in ipotermia rimanendo svenuto per 6-7 ore”, l’altra nel Lago Kivu, in Congo.

Salvatore insieme a due amici neozelandesi. Alla sua destra c’è John Kirwan, ex rugbista e uno degli All Blacks più famosi della storia. A sinistra invece c’è Philip Rush, l’organizzatore della traversata nello stretto di Cook.

È uno pochi luoghi in tutto il Pianeta dove Salvatore si è sentito a casa e dove spera di trasferirsi una volta in pensione perché qui le persone sono di un’accoglienza incredibile.

Quella che avrebbe dovuto compiere a casa sua era una traversata di più di 60 km e volevano vietargliela perché il lago è una sorgente di gas metano e rischiava di morire ad ogni bracciata per le esalazioni.

Salvatore racconta che durante la conferenza stampa un ufficiale della marina militare congolese gli fece di «no» con il dito accompagnandolo con un «non si può, è pericoloso». Forse, secondo lui, non ne valeva la pena.

Però quella traversata Salvatore l’ha portata a termine. “Io in acqua e l’ufficiale sulla barca a seguirmi”. Come l’ha convinto? Al no sventolato di fronte al viso non si è scomposto. Ha guardato l’ufficiale e gliel’ha detto: “Mi dispiace, ma non sarò né il primo né l'ultimo a morire per un’idea”

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