
Un giro di boa. Un punto fermo per andare a capo e provare a scrivere un capitolo nuovo. Va vista così la decisione della Johns Hopkins University che dopo 3 anni ha deciso di sospendere la propria raccolta dati su decessi e contagi legati a Covid-19.
La mappa si è fermata l'11 marzo 2023, esattamente a 36 mesi di distanza da quel giorno – che anche tu ricorderai – in cui l’OMS definì ufficialmente la diffusione globale del Covid-19 una «pandemia».
Mappa che, nelle fasi più dure della crisi, era diventata un punto di riferimento per i giornalisti e cittadini stessi, il termometro personale con cui ciascuno di noi provava a prendere le misure all’emergenza più drammatica del nostro tempo.
“Dopo tre anni di monitoraggio continuo dei dati COVID-19 provenienti da tutto il mondo, la Johns Hopkins ha interrotto le attività del Coronavirus Resource Center. I due archivi di dati grezzi del sito rimarranno accessibili per le informazioni raccolte dall’1 febbraio 2020 al 10 marzo 2023 su casi, decessi, vaccini, test e dati demografici”, si legge nella nota dell’Istituto, che in questo arco di tempo ha fatto registrare oltre 2,5 miliardi di visualizzazioni.
Il «bilancio finale» ha cristallizzato quindi 676.609.955 casi accertati, 6.881.955 morti e 13.338.833.198 dosi di vaccino somministrate in tutto il mondo.
“Ogni divisione della Johns Hopkins ha contribuito a rendere il Coronavirus Resource Center una fonte inestimabile e affidabile di informazioni e indicazioni a cui si affidano il pubblico e i responsabili politici – ha spiegato Ron Daniels, presidente della Johns Hopkins University -. Questa risposta rapida e interdisciplinare alla peggiore pandemia del mondo in un secolo esemplifica il ruolo critico che le università di ricerca devono svolgere nelle crisi globali”.
Come puoi vedere, metto «bilancio finale» tra le virgolette per un motivo semplicissimo: non può che essere un bilancio parziale. Se infatti è vero che ormai se ne parla sempre meno, deve restare tuttavia chiaro che la pandemia non è ancora finita.
Sars-CoV-2 resterà con noi ancora per un po’ di tempo, in un modo o nell’altro: perlomeno però oggi abbiamo imparato a conviverci e a gestirlo.
Fonte | Johns Hopkins University