La lotta al morbo di Alzheimer passa dall’infiammazione al cervello: ecco il meccanismo che conduce alla demenza

Un gruppo di ricercatori dell’Università di Pittsburgh ha osservato per la prima volta negli esseri umani il ruolo della neuroinfiammazione nei malati di Alzheimer, in grado di innescare il processo di accumulo di proteine che favorisce la progressione della malattia neurodegenerativa, portando alla sua forma più grave.
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Alessandro Bai 1 Settembre 2021
* ultima modifica il 01/09/2021

Per i malati di Alzheimer, l'infiammazione al cervello (o neuroinfiammazione) non è una semplice conseguenza della malattia, ma piuttosto un fattore chiave che favorisce la progressione di questa forma di demenza. A fare luce su questa differenza, apparentemente sottile ma in realtà molto importante, sono stati i ricercatori della School of Medicine dell'Università di Pittsburgh, che in uno studio pubblicato sulla rivista Nature hanno descritto i risultati ottenuti, osservati per la prima volta sugli esseri umani.

Il ruolo determinante della neuroinfiammazione, che consiste nell'attivazione delle cellule della microglia, era già stato studiato su animali e cellule in coltura: una ricerca italiana pubblicata nel 2020 aveva infatti ipotizzato che l'accumulo di placche amiloidi e proteine (specialmente la proteina tau) attorno ai neuroni, tipico del morbo di Alzheimer, potesse dipendere proprio dalla presenza di un'infiammazione cerebrale, un'intuizione che però richiedeva una conferma anche nell'uomo.

Per colmare questo vuoto, il team di ricerca dell'ateneo statunitense ha sfruttato la tecnica di live imaging per osservare cosa accadeva nel cervello sia di pazienti affetti da Alzheimer che di persone in salute di diverse età. Gli autori hanno quindi notato come la neuroinfiammazione fosse più evidente nei soggetti con problemi cognitivi e con demenza associata proprio all'Alzheimer, mentre altri anziani, pur presentando nel cervello le placche amiloidi, non mostravano segni della malattia neurodegenerativa. In seguito ad analisi più approfondite, poi, è emerso che l'attivazione delle cellule della microglia, e quindi l'infiammazione del cervello, rappresentava l'elemento chiave in grado di collegare l'aggregazione delle placche amiloidi alla diffusione delle proteine che avrebbe poi portato allo sviluppo di demenza.

Le conclusioni raggiunge sono state commentate da Tharick Pascoal, autore principale dello studio: "Sappiamo che di per sé le placche amiloidi non sono sufficienti per causare la demenza – i nostri risultati suggeriscono che è l'interazione tra la neuroinfiammazione e l'amiloidosi a scatenare la propagazione della proteina tau e causare in seguito ampi danni al cervello e i deficit cognitivi". Grazie a queste scoperte, sembra quindi aprirsi una nuova strada: in futuro, terapie mirate a ridurre la formazione di placche amiloidi e limitare l'infiammazione del cervello, potrebbero portare importanti benefici per i pazienti nei primi stadi di Alzheimer, invertendo o rallentando il processo che, spesso, porta inesorabilmente alla demenza.

Fonte| "Microglial activation and tau propagate jointly across Braak stages" pubblicato su Nature il 26 agosto 2021

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